Come stanno i soccorritori del 118? Il racconto di un milanese


AGI – “Ciao, sono un soccorritore milanese e volevo farvi sapere che stiamo male”.

Comincia così il post su Facebook diventato virale di Francesco Nucera, 42 anni, da 19 dipendente di un’associazione che si occupa del primo soccorso ai cittadini. Contattato dall’AGI, spiega di averlo scritto “per far conoscere la realtà di chi, un anno fa in pieno Covid, veniva considerato indispensabile, ma oggi si trova nelle condizioni di prima, se non peggio. Credevo che la piccola notorietà raggiunta come eroi ci avrebbe aiutato a star meglio, a farci trattare da veri lavoratori, ma così non è stato”.

“1.000 euro al mese, non bevo perché la pipì è un lusso”

 Nucera, che è anche delegato sindacale, si riferisce alle condizioni di stipendio, la media è di mille euro, ma anche al modo di lavorare che non prevede postazioni fisse, né luoghi per cambiarsi o ristorarsi. Un ‘on the road’ incessante che rende tutto molto faticoso, a volte ai limiti della resistenza, come testimoniano le condivisioni dei colleghi al suo post.

Fa l’esempio di una giornata tipo: “Turno di 13 ore, sveglia alle 5 e poi via fino alle 19. Sempre che dalla Centrale non arrivi un servizio all’ultimo minuto. Ultimamente sento il peso del caldo. Forse per colpa dei camici che uso per il Covid, o più semplicemente perché sto invecchiando. Non ho un tetto che mi permetta di schivare l’afa e neppure un bagno per sciacquare la faccia. Devo scegliere se tenere l’ambulanza accesa per avere l’aria condizionata o morire di caldo. Vorrei rispettare l’ambiente, e spegnere il motore, ma fa troppo caldo: le ascelle pezzano, il sudore scivola lungo la schiena e bagna la polo dell’associazione. Devo tirare sera e non ho modo di cambiarla. Quindi: ‘scusa natura, ma io ho bisogno dell’aria condizionata’”

“Non bevo da inizio turno – prosegue – fare la pipì è un lusso che non posso permettermi. Non ho voglia di farmi dieci caffé al giorno per ‘scroccare’ il bagno al bar e non ho nemmeno voglia di spendere più di dieci euro per farlo. I due caffé giornalieri li prendo alle macchinette, decisamente più adatto alle tasche di chi fa questo mestiere. Solo due caffé al giorno perché è il limite che mi permette la gastrite. Negli anni ci sono rimasto male, pare che ingoiare il cibo a orari improponibili, spesso in piedi, non sia il massimo per il nostro apparato digerente. Ma d’altronde noi la pausa pranzo non l’abbiamo. Le persone non smettono di star male a mezzogiorno e nessuno ha mai pensato di trovare una soluzione. E poi, i vestiti: non possiamo una lavanderia come qualsiasi lavoratore normale? Laviamo le divise a casa, anche quando sono sporche di sangue e molto altro.”.

“L’ambulanza ora si chiama anche per la febbre”

A Milano, spiega Nucera, “le Odv (organizzazioni di volontariato della Croce Rossa) hanno a disposizione delle piazze, in alcune non c’è nemmeno un parcheggio per noi e stiamo in seconda fila. Sarebbe bello che ci dessero delle strutture dove stare, mangiare, rinfrescarci, ma nell’attesa si potrebbero studiare delle soluzioni, per esempio metterci a disposizione delle Asl, almeno per il bagno”.

Nei suoi 19 anni di servizio ha visto le condizioni di lavoro peggiorare. “Questo perché prima c’era l’educazione a chiamare le ambulanze solo se necessario, ora, in base alle nuove leggi, anche chi sta male in ufficio o a scuola ci chiama e, in generale, come dimostrato dal Covid, la sanità lombarda è incentrata sugli ospedali. Così anche solo per una febbre chiamano noi”. “Stiamo cercando di dialogare con Areu, l’Agenzia regionale per l’emergenza – conclude – anche se i nostri datori di lavoro sono le Odv. Non so cosa riusciremo a ottenere. In fondo, anche quando ci consideravano eroi, in cuor nostro sapevamo di non contare nulla”.

Source: agi