|DI GIULIANA VENDOLA
Margherita è una bimba bionda, con due occhioni verdi e allungati, vispissimi e luminosi, il riflesso della complicità e dell’amore consapevole che traspare nei gesti di Mary e Francy, le sue mamme. Margherita cresce, i capelli si fanno più scuri, si fa volitiva, colorata, schietta, non smette di domandare e muore dalla voglia di rispondere, piena di quella vivacità tipica dei millennials che si fanno altissimi facendo slalom tra i tempi sempre più svelti, come molle elastiche abituate ad avvolgere, avvolgersi e includere nella rete di relazioni l’altro, con le sue spontaneità, le sue sempre nuove abitudini, le sue contraddizioni, le sue forze e fragilità.
Margherita accompagna per mano i suoi tre fratelli più piccoli, fa loro da apripista tracciando le linee delle prime volte; quelle in cui andranno a scuola, stringeranno amicizie, si scontreranno, verranno giudicati, strapperanno sorrisi e ne regaleranno, così come quelle in cui si troveranno dinanzi a chi chiederà loro con morbosa curiosità “cosa sono?“, “come si vive con due mamme?“, se “essere figli di due donne lesbiche significa sviluppare tendenze omosessuali?“, quasi fosse un patto con il diavolo, una patologia o per chi pensa tra sé e sé di non volerci andare giù pesante “un carattere genetico, ereditario e magari determinato dall’ambiente”. Tutte domande spicciole, putride e dall’olezzo omofobico, ma che aprono al dibattito, danno modo a Margherita, ai suoi fratelli, a tanti altri bimbi, figli, di narrare la storia di una famiglia, raccontarne i cardiopalmi per febbroni da cavallo nel cuore della notte e rientri a tarda ora, le lacrime dinanzi alle candeline spente e i quadri a fine anno scolastico, le commozioni per i contratti di lavoro, i bisticci per l’ultimo pezzo di pizza da mangiare sul divano davanti a una serie Netflix.
Margherita oggi ha 21 anni, ha contezza dei propri diritti di figlia, donna e cittadina, ma non smette di ripetere ciò che ha sempre detto fin da quando ha coscienza della parola: “Chiedetelo a me se sto bene con due mamme o se mi è mai mancato avere un padre. Chiedetemi com’è la mia famiglia arcobaleno, se ci sentiamo violati nei diritti di bambini, ragazzi, adulti, esistenzialmente figli. Chiedetemelo e poi potrete discuterne”.
Chi è Margherita Fiengo Pardi?
Sono una ragazza di 21 anni, figlia di due madri, Mary e Francy, e sorella di tre fratelli. In pratica una famiglia composta da due mamme, un sacco di figli e un numero svariato di animali, che non sto qui a spiegare. Sono nata con l’inseminazione artificiale in Olanda, mentre i miei fratelli con la stessa pratica di riproduzione medicalmente assistita in Belgio. Ovviamente le nostre mamme hanno fatto delle fecondazioni eterologhe ed entrambe in periodi alterni hanno portato avanti le nostre gravidanze, dando ognuno di noi alla luce.
Come si sono conosciute Mary e Francy?
Ho varie versioni della loro storia in realtà. Si sono conosciute tramite un giro di amici comuni; ovviamente a quei tempi si frequentavano un po’ tutti nella comunità Lgbtq+. Una di loro viveva a Parigi e aveva prestato la sua tessera per girare la città all’altra, che doveva andarci per qualche giorno. Poi dopo un po’ di tempo si sono ribeccate per caso, incontri vaghi tramite conoscenti. A quel punto hanno iniziato a uscire e oltretutto al loro primo appuntamento la mia mamma biologica Mary ha tamponato un’auto per l’emozione, mentre c’era Francy in macchina con lei. Ecco, non degli ottimi presupposti come prima uscita, ma potremmo dire che è andata bene, dato che poi nel 2012 si sono sposate a Barcellona – all’epoca in Italia non c’era nemmeno la possibilità di essere unite civilmente. Io avevo 10 anni, lo ricordo come uno dei momenti più belli e divertenti della mia vita. C’erano tutti i nostri amici, una giornata indimenticabile. Il giorno del matrimonio la famiglia era già al completo, c’erano tutti miei fratelli, l’ultimo aveva 5 anni.
Che percorso hanno affrontato per darvi alla luce e costruire la vostra famiglia?
Tutte e due le mie mamme hanno avuto gravidanze ed entrambe hanno affrontato un’inseminazione artificiale eterologa.
Cosa vuol dire avere due mamme?
Siamo cresciuti normalmente. Non mi sono mai posta il problema di non avere un padre, del fatto che avessi due mamme, due donne come genitori. Alla fine io ero una bambina, mi crescevano, non mi facevano mancare nulla, vivevo la mia vita senza alcun problema. Noi siamo una delle prime famiglie omogenitoriali in Italia e le mie mamme sono tra le fondatrici dell’Associazione Famiglie Arcobaleno. Con il tempo sono caduta dal pero, fino a che verso gli 11-12 anni ho capito che non eravamo socialmente accettati come famiglia. Io e i miei fratelli siamo stati tra i primi figli di coppie omogenitoriali nel nostro Paese e per questo più esposti.
Purtroppo per quanto i nostri genitori abbiano cercato di proteggerci, non potevamo che sbatterci la testa contro questa società. Ad esempio una volta, navigando su internet, facendo vedere alle mie amiche le nostre foto e le interviste che avevamo rilasciato, sono finita per imbattermi nei commenti di gente che diceva che facciamo schifo, che siamo una famiglia sbagliata, che non dovremmo esistere, che siamo malati e le nostre mamme delle pervertite, alcuni addirittura sono convinti che ci molestino.
Poi a un certo punto tutto è peggiorato quando si è cominciato a parlare della nostra famiglia non solo sul web, ma anche in televisione. Si facevano salotti in cui veniva invitata gente che parlava della nostra vita senza sapere niente, cosa che succede ancor di più oggi. Quel momento non è stato facile, lì mi sono resa conto di come gran parte dell’opinione pubblica ci considerasse diversi. Non è stato facile. Dico sempre alle famiglie arcobaleno di tenere lontani i bambini dai media o da situazioni in cui possono ascoltare persone che vomitano odio contro la comunità Lgbtq+, perché la gente che fa commenti sulla tua famiglia fa sempre schifo.
Qual è stato il commento che ti ha ferito di più?
Ferito no, ma ce ne sono tanti che mi hanno colpito molto. Ne parlo anche nel mio cortometraggio Chiedimi se, basato anche un po’ sulle critiche più forti che ci vengono rivolte. Le peggiori restano quelle dei politici; tipo, ‘questi bambini non esistono’, ‘è meglio non nascere che nascere con due madri’. Quest’ultima mi ha segnata molto, perché mi sono chiesta tante volte cosa significhi… Cioè, io dovrei perdermi la vita solo perché secondo loro non devo avere due madri?! Io credo che nascere sia sempre una fortuna e che lo sia ancora di più avere due mamme. Se io mi confronto con qualcuno della mia età e parlo della mia infanzia non è diversa dalla sua; poi, con tutto il rispetto per i padri, ma io non ne ho sentito affatto la mancanza.
Quando siete stati trascritti all’anagrafe come figli di una coppia omogenitoriale a Milano dal sindaco Beppe Sala che cosa è cambiato?
È successo nel 2018, quando avevo 16 anni ed è stato più che altro una questione di onore personale, ha significato per me e per noi aver vinto una battaglia. Mi scocciava non avere due madri legalmente, difatti ogni volta sul registro a scuola mi segnavo sempre con il cognome di entrambe le mie mamme, Fiengo Pardi, io ufficialmente ero solo Fiengo. Quando Beppe Sala ci ha riconosciuto come figli dei nostri genitori ero già grande, sapevo che da quel momento avevo legalmente due madri, ma fino ad allora non avevo davvero capito quanto in realtà quella trascrizione mi avrebbe protetto da tutto ciò che poteva succedermi, dai rischi che potevo correre.
Noi prima di quel riconoscimento vivevamo in una situazione in cui per me la mia mamma non biologica e il mio fratello non biologico non erano nessuno dal punto di vista legale, erano praticamente considerati dallo Stato come persone che vivevano con me, alla stregua di coinquilini. Se la mia mamma non biologica fosse morta mio fratello non avrebbe avuto nessun tipo di legame giuridico con noi, e cosa sarebbe successo? In questi casi se ti va bene te lo affidano, se ti va male lo danno in adozione a qualcun altro. Questa era la cosa che non avevo ben capito fino a quel certificato che ci ha riconosciuti come figli di entrambe le nostre mamme. Faccio un esempio: se io o i miei fratelli finivamo in ospedale poteva venirci a trovare solo la nostra mamma biologica, l’altra non era nessuno.
La cosa più brutta è che si tratta di situazioni a cui devi continuamente pensare. Io ricordo momenti in cui io e i miei fratelli siamo stati male tanto da dover essere ricoverati subito. La discriminazione non è solo il fatto che le nostre mamme non ci possano assistere entrambe in certe situazioni, ma che dobbiamo vivere pensando e temendo tali evenienze. Questo è il problema. Ogni volta che vado in tv e mi chiedono quali siano i diritti che mi mancano, ecco uno di quelli che ci viene negato è il diritto di vivere serenamente e pensare che qualsiasi cosa ci succeda i nostri genitori potranno starci vicino e viceversa. Noi ora siamo tutti trascritti e non rischiamo più nulla, ma abbiamo vissuto con una spada di Damocle sulle nostre teste.
Però sappiamo bene che da qualche mese a questa parte il Governo ha bloccato le trascrizioni dei figli delle coppie omogenitoriali, quindi il rischio di cui tu parli per tantissimi bambini ora è una realtà…
Esatto. C’è una famiglia italiana composta da due papà, in cui il padre biologico purtroppo è venuto a mancare. Il Tribunale dopo il decesso ha trascritto il figlio automaticamente, riconoscendo legalmente il padre intenzionale. È importante che la legge abbia dichiarato immediatamente la genitorialità di quest’uomo, ma irrispettoso, immorale, aberrante che si debba anche solo pensare che si deve morire perché le famiglie omogenitoriali vengano riconosciute. È assurdo anche solo pensare che in caso di morte del genitore biologico ci sia il rischio che il bambino non venga affidato all’altro genitore intenzionale; è mio padre, è mia madre, perché farci vivere pensando che un domani potrebbero esserci strappati?
Cosa rispondi a chi vi considera figli di serie B, come gran parte del centrodestra al Governo?
Rispondo: ‘Chiedimi se’. Prima di parlare della mia situazione perché non venite a chiedermi cosa ne penso? Sarebbe tutto molto più facile se smettessero di esprimersi a caso e venissero a parlare con me, ma ascoltandomi seriamente. Perché poi mi capita anche di confrontarmi con queste persone che fanno orecchie da mercante, continuando a dire che ho torto, che non ho due madri perché quella che mi ha partorito è solo una. Per capire basterebbe ascoltare la mia storia, chiedermi come sono cresciuta, vissuta, se sono felice, se mi manca qualcosa. Lo so io cosa è bene o male per me e la mia famiglia. Credo siano ottusi e che questa gente abbia proprio un problema con noi.
Che significato assume quest’anno il Pride?
Quest’anno è molto più importante. Vado al Pride da quando sono nata e per me è sempre stato una festa. Per quanto ci fossero alla base delle importanti battaglie per i diritti, me la sono sempre vissuta benissimo. Ho sempre portato con me tutti i miei amici, era un giorno di divertimento assoluto, che mi ha sempre affascinato perché potevo vestirmi dei colori dell’arcobaleno, ballare sotto il palco spensierata. Ma quest’anno è tutto molto diverso, il Pride rappresenta un atto politico. Chi decide di venirci è perché sta scegliendo di prendere una posizione. Partecipare a queste manifestazioni significa schierarsi da una parte della storia, con noi o contro di noi.
Come ci si sente a 21 anni a esser scelta come madrina del Pride di Pavia?
Onoratissima. Significa coronare un sogno d’infanzia.
Le tue mamme cosa ne pensano?
Loro sono molto orgogliose di me, come sempre.
Tra i vostri odiatori c’è chi pensa che i tuoi genitori ti abbiano spinto a intraprendere un percorso di attivismo nella comunità Lgbtq+…
Lo pensano e lo dicono. Ecco, un must nei commenti che mi hanno sempre rivolto fin da piccola è che sarei stata pagata dalle mie madri per dire ciò che volevano loro, c’era chi sosteneva mi scrivessero addirittura i discorsi. Io ero e sono qui di mia spontanea volontà. Adesso tirano fuori tante altre castronerie, perché non sono più una bambina, sono adulta, lavoro. A proposito di questo, io guadagno e pago le tasse, faccio il mio dovere di cittadina e perché non dovrei avere anche gli stessi diritti degli altri, dato che ho gli stessi doveri?
Alla luce di tutto questo e al fatto che siamo al 34esimo posto nella Rainbow Map europea 2023 su 49 Paesi per la tutela e l’uguaglianza delle persone Lgbtq+, tu hai mai desiderato vivere altrove?
Sì, anche se forse non l’ho desiderato consciamente. Però considerando questo momento storico, direi a tutte le mamme e i papà omosessuali che vogliono avere figli o ne hanno di piccoli, di proteggerli, non esporli a questa società perché è rivoltante. Probabilmente i figli delle famiglie arcobaleno di oggi vivranno anche molto peggio di come ho vissuto io il confronto con l’opinione pubblica, potrebbero stare malissimo sentendo Fontana che definisce le nostre famiglie delle “schifezze”. Cose che non ti fanno vivere serenamente se sei un bambino. Se l’aria non dovesse cambiare in meglio, consiglio a queste neomamme e neopapà di andare altrove, lontano da questo Paese.
Il 19 giugno verrà discusso alla Camera il ddl che mira a rendere la gestazione per altri “reato universale”, che intende punire con il carcere da 3 mesi a 2 anni e multe da 600mila a un milione di euro chi “commette il fatto all’estero”, cercando di fermare il cosiddetto “turismo procreativo“. Che ne pensi?
Aspetto con ansia di capire se verrà davvero mai approvato questo testo normativo, sono molto curiosa. Rendere reato universale questa pratica medicalmente assistita non significa che si smetterà di intraprenderla, ma che verrà fatta illecitamente, allargando le maglie della clandestinità. È la naturale conseguenza del proibizionismo. Conosco tanti bambini figli di due papà che sono amatissimi e felicissimi; situazioni regolari in cui non vi è stata alcuna mercificazione del corpo e della psiche delle gestanti. Si tratta semplicemente di donne che si sono rese disponibili e dopo il parto sono rimaste anche in contatto con queste famiglie.
Famiglie che hanno potuto realizzare il loro sogno di genitorialità e hanno incontrato gestanti felici di portare a termine la gravidanza per loro, che si sono offerte volontariamente di mettere alla luce i loro figli in maniera del tutto regolare. Non ci sono ombre di sfruttamenti dove la pratica è regolamentata, proprio perché molti Paesi in cui la gpa è legale tengono sotto controllo le derive da business. Rendere reato universale la gestazione per altri significherebbe annientare la possibilità di intraprendere questo percorso con ogni tutela nei confronti delle gestanti, dei bambini e dei genitori intenzionali, e infittendo invece il sottobosco dell’illegalità.
Da questo ddl nessuno ne troverà giovamento, né le donne, né i nati, né le coppie, né lo Stato che continua a dirsi paradossalmente preoccupato per l’inverno demografico in atto. Va detto che non ricorrono alla gpa solo le coppie omosessuali, bensì per il 90% si tratta di eterosessuali. Credo che si tratti di un tema che non riguarda la comunità Lgbtq+, un argomento che viene usato per bersagliarla, ma che non c’entra assolutamente nulla con i diritti delle famiglie arcobaleno. Se vogliamo parlare di gestazione per altri spostiamo il dibattito altrove, dove si possa discuterne seriamente, non usiamo una questione così delicata per colpire i diritti degli omosessuali, per usarli come capri espiatori e insinuare nella popolazione l’idea che siano solo loro a intraprenderla.
Tu sei molto operativa sui social anche nel campo dell’attivismo. Come ti capita di rapportarti con i tuoi coetanei e chi appartiene ad altre generazioni su questi temi? Noti un cambiamento rispetto a qualche anno fa?
Decisamente sì. Magari sono anche io che mi ritrovo a confrontarmi con gente che la pensa come me, ma ritengo che i giovani siano più predisposti culturalmente. Basti pensare che fino agli anni ’90 l’omosessualità era considerata una malattia mentale che andava curata con l’elettroschock, per questo capisco che una persona cresciuta in una società in cui i gay venivano chiusi in manicomio resti perlomeno perplessa, oggi, dinanzi a una coppia omogenitoriale. Magari i più anziani pensano ‘ecco, dei malati che fanno dei figli’, e non gliene faccio una colpa perché so che non è facile abituarsi a vedere le cose in modo diverso rispetto a come ce l’hanno insegnato. Chiedo solo un po’ di apertura mentale, di ascoltarci e sentire le nostre storie. Nei giovani c’è questa predisposizione, proprio perché sono cresciuti in una società in cui l’omosessualità non è trattata come una patologia e se ne parla anche di più. Ci sono molte ragazze lesbiche che mi ringraziano, perché con me hanno capito che anche due donne innamorate possono avere dei figli, costruire un nucleo familiare.
Le domande più ricorrenti che ti fanno i giovani?
Non me ne fanno tante in realtà, quando ero piccola mi chiedevano perché avessi due mamme. Rispondevo: ‘Ma come perché? Perché si amano e hanno fatto dei figli’. Poi crescendo c’è stato qualcuno che mi ha chiesto: ‘Ah ma quindi non sei lesbica?’; tutt’ora c’è chi mi fa questa domanda, c’è questo pregiudizio. No, non sono lesbica, l’orientamento sessuale non è una malattia contagiosa, è semplicemente un gusto personale! E io non ho i gusti delle mie madri! C’è sempre una buona dose di domande trash. C’è chi mi chiede se senta la mancanza di un papà o chi sia il mio donatore. Anche su questo c’è ignoranza; molti pensano che chi dona sia una specie di padre con cui si abbiano dei rapporti, ma in realtà la donazione è spesso completamente anonima. Però ci sono Paesi in cui si può scegliere di non mantenere l’anonimato; ad esempio io sono stata inseminata in Olanda e posso conoscerlo dai 18 anni, ma in Belgio, dove sono nati i miei fratelli, non è così.
Hai mai avvertito la curiosità di conoscerlo?
Sì, ma non saprei cosa dirgli. Vorrei vederlo per capire se gli assomiglio esteticamente, anche perché quelli della clinica mi hanno detto che è così. Però attualmente non lo farei, tra studio ed esami universitari non avrei nemmeno il tempo; magari più avanti, chissà.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Studio cinema allo IED e vorrei lavorare in questo mondo. È il mio sogno da sempre. Speriamo di realizzarlo prima o poi.
Mary e Francy che dicono?
Loro sono super contente, non sono quei genitori che ti vogliono per forza medico o avvocato, hanno capito che dietro la macchina da presa c’è la mia strada. Sono felici di vedermi felice.
Fonte: strisciarossa.it/