…come oggi. 22 dicembre 1947 Nasce la nostra Costituzione


di Civismundi

La Costituzione della Repubblica italiana compie 73 anni. Di fronte alla storia essa è dunque una Carta ancora giovane.

Negli anni immediatamente successivi alla fine della seconda guerra mondiale la scelta della forma repubblicana, l’elezione dell’Assemblea Costituente ed il testo della nuova Costituzione da questa prodotto furono il portato dell’ardente aspirazione del popolo italiano di lasciarsi alle spalle le rovine della dittatura e della guerra, di dotarsi di nuovi ordinamenti liberali e democratici, rispondenti agli ideali che avevano animato la Resistenza contro il nazifascismo.

Piero Calamandrei, parlando agli studenti milanesi nel gennaio del 1955, disse le parole celebri che interpretano con la massima efficacia questo sentimento:“Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati”

Il 22 dicembre del 1947 l’Assemblea Costituente, eletta il 2 giugno 1946, nello stesso giorno del referendum popolare per la scelta tra Monarchia e Repubblica,  si riunisce in seduta antimeridiana, con all’ordine del giorno “Votazione finale a scrutinio segreto della Costituzione della Repubblica italiana”.  

Nella gremita aula legislativa del Palazzo di Montecitorio, il “Velario”, lo straordinario lucernario Liberty opera di Giovanni Beltrami, illumina un’atmosfera composta e solenne, come raramente si era vista prima e si vedrà dopo quello storico momento.

Alla presidenza siede Umberto Terracini (in carica dall’8 febbraio del 1947, subentrato a Giuseppe Saragat, dimissionario in seguito alla scissione socialdemocratica di Palazzo Barberini), uno dei fondatori del PCI, avvocato di famiglia ebraica, comunista “critico” allora cinquantaduenne.

Appena aperta la seduta, prende la parola il Presidente della Commissione per la Costituzione, Meuccio Ruini, per la consegna del testo definitivo.

La Commissione per la Costituzione, detta “Commissione dei 75” per il numero dei suoi componenti, era stata incaricata di redigere, per proporlo in aula, il testo costituzionale. Meuccio Ruini, demolavorista, consigliere di Stato in quel momento settantenne, ministro nei governi che precedettero l’avvento del fascismo e, nuovamente, nel dopoguerra, diventerà in seguito Presidente del Senato e senatore a vita.

Le parole di Ruini risuonano forti nell’emiciclo: “Questa è un’ora nella quale chi è adusato alle prove parlamentari, chi è stato in trincea, chi ha conosciuto il carcere politico, è preso da una nuova e profonda emozione. È la prima volta, nel corso millenario della storia d’Italia, che l’Italia unita si dà una libera Costituzione: Un bagliore soltanto vi fu, cento anni fa, nella Roma repubblicana di Mazzini. Mai tanta ala di storia è passata sopra di noi.

Questa Carta che stiamo per darci è, essa stessa, un inno di speranza e di fede. Infondato è ogni timore che sarà facilmente divelta, sommersa, e che sparirà presto. No; abbiamo la certezza che durerà a lungo, e forse non finirà mai, ma si verrà completando ed adattando alle esigenze dell’esperienza storica. Pur dando alla nostra Costituzione un carattere rigido, come richiede la tutela delle libertà democratiche, abbiamo consentito un processo di revisione, che richiede meditata riflessione, ma che non la cristallizza in una statica immobilità. Vi è modo di modificare e di correggere con sufficiente libertà di movimento. E così avverrà; la Costituzione sarà gradualmente perfezionata; e resterà la base definitiva della vita costituzionale italiana. Noi stessi — ed i nostri figli — rimedieremo alle lacune ed ai difetti, che esistono, e sono inevitabili.

I «principî fondamentali» che sono sanciti nell’introduzione, e che possono sembrare vaghi e nebulosi, corrispondono a realtà ed esigenze di questo momento storico, che sono nello stesso tempo posizioni eterne dello spirito, e manifestano un anelito che unisce insieme le correnti democratiche degli «immortali principî», quelle anteriori e cristiane del sermone della montagna, e le più recenti del manifesto dei comunisti, nell’affermazione di qualcosa di comune e di superiore alle loro particolari aspirazioni e fedi.

Nessuno si deve scandalizzare se nei testi costituzionali è entrata — ormai da tempo — la nota dei rapporti economici. Le direttive che noi abbiamo formulato aprono, con la maggior adeguatezza possibile, la via a progressive riforme verso quella che deve essere ormai, lo abbiamo detto nel primo articolo, la democrazia basata sul lavoro; e nel tempo stesso escludono, proprio per lo sforzo di tracciare concreti istituti, i metodi rivoluzionari e violenti.

più di ogni altra Costituzione la nostra definisce e precisa gli istituti del decreto legge, del decreto legislativo, della formazione e della gerarchia delle leggi.

Per quanto riguarda la magistratura, vi possono essere rilievi e riserve; ma in sostanza si è fatto un passo decisivo, il solo possibile, non ancora raggiunto in molti altri paesi, verso la unicità della giurisdizione, con l’obbligo di trasformare in sezioni specializzate degli organi giudiziari ordinari le attuali giurisdizioni speciali, esclusi soltanto per necessità imprescindibili delle loro funzioni il Consiglio di Stato e la Corte dei Conti.

La nostra Costituzione affronta lo spinoso problema dell’ordinamento regionale. Molti sono i dubbi; e vi possono essere inconvenienti; ma non si poteva non andare incontro ad una irresistibile tendenza; vi sono riforme storiche che non si possono evitare; e si sono di fatto predisposti i nuovi istituti in modo che la prova concreta e l’adattamento della esperienza, consentirà di dare ad essi maggiore o minore ampiezza, salvaguardando in ogni caso la necessità suprema della unità ed indivisibilità della patria.

La Costituzione, come ogni opera collettiva, non può che essere, come si dice in senso deteriore, un «compromesso». Preferisco dire con il purissimo Cattaneo che non può essere se non «una transazione», come è tutta la storia. Ed è «equilibrio»; questa è la caratteristica della nostra Costituzione; un equilibrio realizzato, come era possibile, fra le idee e le correnti diverse. Mi si dica in quale altro modo – forse con una prevalenza forzata, forse con un totalitarismo costituzionale – si sarebbe potuto fare una Costituzione democratica. Anche le altre Costituzioni storiche, che oggi ci sembrano monolitiche, furono sempre il risultato di transazioni e di equilibri.

Con queste dichiarazioni mi onoro consegnare al Presidente dell’Assemblea Costituente il testo definitivo della Carta costituzionale”.

Il processo verbale della seduta annota a questo punto: “L’Assemblea sorge in piedi – Vivissimi, generali, prolungati applausi – Da una tribuna un gruppo di garibaldini intona l’Inno di Mameli, ripreso dall’Assemblea e dal pubblico delle tribune – Rinnovati, vivissimi applausi).

Si apre quindi la votazione a scrutinio segreto, della quale il Presidente proclama il risultato: presenti e votanti 515, maggioranza 258, voti favorevoli 453, voti contrari 62.

La Costituzione della Repubblica italiana è così approvata dai rappresentanti del popolo dopo diciotto mesi di vita dell’Assemblea Costituente, con 347 sedute di cui 170 esclusivamente dedicate alla Costituzione,1663 emendamenti presentati sui 140 articoli del progetto originario (292 approvati, 314 respinti, 1057 ritirati o assorbiti), 1090 interventi in discussione da parte di 275 oratori, 44 votazioni per appello nominale e 109 scrutini segreti e 40 ordini del giorno votati.

Parla ora il Presidente Terracini: “Noi consegniamo oggi, a chi ci elesse il 2 giugno, la Costituzione; noi abbiamo assolto il compito amarissimo di dare avallo ai patti di pace che hanno chiuso ufficialmente l’ultimo tragico e rovinoso capitolo del ventennio di umiliazioni e di colpe; e, con le leggi elettorali, stiamo apprestando il ponte di passaggio, da questo periodo ancora anormale, ad una normalità di reggimento politico del Paese nel quale competa ad ogni organo costituzionale il compito che gli è proprio ed esclusivo: di fare le leggi, al Parlamento; al Governo di applicarle; ed alla Magistratura di controllarne la retta osservanza.

Ma forse, sì, non tacciamolo, onorevoli colleghi, molta parte del popolo italiano avrebbe voluto dall’Assemblea Costituente qualcos’altro ancora. I più miseri, coloro che conoscono la vana attesa estenuante di un lavoro in cui prodigare le proprie forze creatrici e da cui trarre i mezzi di vita; coloro che, avendo lavorato per un’intera vita, fatti inabili dall’età, dalla fatica, dalle privazioni ancora inutilmente aspettano dalla solidarietà nazionale una modesta garanzia contro il bisogno; coloro che frustano i loro giorni in una fatica senza prospettiva, chiudendo ad ogni sera un bilancio senza residui, utensili pensanti e dotati d’anima di un qualche gelido mostruoso apparato meccanico, o forze brute di lavoro su terre estranee e perciò stesso ostili: essi si attendevano tutti, che l’Assemblea esaudisse le loro ardenti aspirazioni, memori come erano di parole proclamate e riecheggiate.

Noi lo sappiamo, oggi, che ciò avrebbe superato le nostre possibilità. Ma noi sappiamo di avere posto, nella Costituzione, altre parole che impegnano inderogabilmente la Repubblica a non ignorare più quelle attese, ad applicarsi risolutamente all’apprestamento degli strumenti giuridici atti a soddisfarle. La Costituzione postula, senza equivoci, le riforme che il popolo italiano, in composta fiducia, rivendica. Mancare all’impegno sarebbe nello stesso tempo violare la Costituzione e compromettere, forse definitivamente, l’avvenire della Nazione italiana”.

Il presidente dell’Assemblea Costituente conclude leggendo il messaggio inviato dal Presidente della Repubblica, De Nicola.

Prende poi la parola il Presidente del Consiglio dei Ministri, il sessantaseienne (in quel momento) statista trentino Alcide De Gasperi, fondatore della DC: “Il Governo ora, fatta la Costituzione, ha l’obbligo di attuarla e di farla applicare: ne prendiamo solenne impegno. Noi tutti però sappiamo, egregi colleghi, che le leggi non sono applicabili se, accanto alla forza strumentale che è in mano al Governo, non vi è la coscienza morale praticata nel costume”.

Dopo De Gasperi, viene data la parola al vecchio Vittorio Emanuele Orlando, 87 anni, eletto all’Costituente nella “Unione Democratica Nazionale”, il listone dei moderati. Lo statista siciliano aveva presieduto la seduta d’insediamento dell’Assemblea Costituente, aprendone i lavori, ed ora li conclude con parole profetiche: Qui è un’era che succede ad un’altra; è un tipo di Stato che si sovrappone ad un altro. Fino ad oggi abbiamo innanzi agli occhi lo Stato nazionale, originato nel secolo XVI, subito dopo il medio evo, sulla base della sovranità esclusiva, dei rapporti interni, dei rapporti internazionali: abbiamo, dunque, una comunità di Stati senza che fra essi esista un vero e proprio coordinamento giuridico. Ora, per effetto di questa tremenda rivoluzione che stiamo attraversando, questo tipo di Stato va a tramontare; e vi si sostituirà una forma di superstrato. Quale? Non si fa l’indovino nella storia. Tante incognite pendono: a crearlo sarà la forza o sarà l’accordo o sarà qualche cosa tra l’uno e l’altra? E sarà esso in un senso continentale o sarà in un senso razziale? Chi potrebbe dirlo? Misteri della storia futura”!

Dopo la memorabile seduta del 22 dicembre, la Costituzione sarà promulgata il giorno 27 dal Capo provvisorio dello Stato, il settantenne giurista napoletano Enrico De Nicola che era stato eletto a quella carica dall’Assemblea Costituente il 28 giugno 1946, e che, in virtù della stessa Carta appena promulgata, diventa il primo Presidente della Repubblica italiana. Pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale quello stesso 27 dicembre, la Costituzione entra ufficialmente in vigore il 1° gennaio 1948. Il testo si compone di 139 articoli, cui si aggiungono 18 disposizioni transitorie e finali.

Esistono tre originali della Carta costituzionale, uno di essi è conservato presso l’archivio storico della Presidenza della Repubblica.

Quanto è stato attuato in sette decenni dei principi fondamentali voluti dalle madri e dai padri costituenti? Cosa rimane di quello slancio, di quello straordinario fervore di ricostruzione morale e materiale? E quanti oggi in Italia (forse anche fra coloro che ne parlano tanto, e tanto a sproposito) conoscono veramente la nostra Costituzione? Pochi, soprattutto tra le ultime generazioni. Noi pensiamo che sia necessario e urgente ripristinare lo studio della legge fondamentale della Repubblica in tutte le scuole di ogni ordine e grado, all’interno dell’insegnamento della storia il quale, non a caso, si chiamava una volta “storia ed educazione civica”.