…Come Oggi 08 Febbraio nasce Joseph Schumpeter


IMPRENDITORE E CAPITALISTA

In occasione del 138° anniversario della nascita di Joseph Schumpeter, il celebre economista austriaco che teorizzò uno sviluppo economico fondato su una figura nuova e “rivoluzionaria” di imprenditore innovatore, capace di sfruttare le innovazioni tecnologiche per cambiare i processi produttivi,  pubblichiamo un saggio di Renato Costanzo Gatti, studioso di storia economica e dei problemi attuali dell’economia, che analizza, attraverso brani dalle opere di autori classici e moderni, tra i quali lo stesso Schumpeter, la differenza tra il capitalista come possessore del capitale e il capitalista che esercita la funzione di imprenditore. Per arrivare ad una radiografia del presente e ad una previsione del prossimo futuro.

di Renato Costanzo Gatti

Da Karl Marx, “Il Capitale. Libro III. Sezione V: “Suddivisione del profitto in interesse e guadagno dell’imprenditore”. “Il capitale produttivo d’interesse” Capitolo 23, Interesse e guadagno d’imprenditore”.

Si suppone qui che il capitalista operante non sia il proprietario del capitale. La proprietà del capitale si trova di fronte a lui rappresentata da chi lo ha dato in prestito, dal capitalista monetario. L’interesse che egli paga a quest’ultimo appare dunque come parte del profitto lordo che spetta alla proprietà del capitale in quanto tale. In contrasto con ciò la parte di profitto che tocca al capitalista attivo appare ora come guadagno d’imprenditore, proveniente esclusivamente dalle operazioni o dalle funzioni che egli compie con il capitale nel processo di riproduzione in particolare dalle funzioni che egli esercita come imprenditore nell’industria o nel commercio. Di fronte a lui l’interesse appare come semplice frutto della proprietà del capitale in sé, astratto dal processo di riproduzione del capitale dato che esso non «lavora», non opera; mentre il guadagno d’imprenditore gli appare come frutto esclusivo delle funzioni che egli compie con il capitale, come frutto del movimento e del processo del capitale, di un processo che gli appare unicamente come sua propria attività, in contrasto con l’inattività, la non partecipazione, del capitalista monetario al processo di produzione.

Questa distinzione qualitativa fra le due parti del profitto lordo, per cui

– l’interesse è frutto del capitale in sé, della proprietà di capitale indipendentemente dal processo di produzione,

– il guadagno d’imprenditore è frutto del capitale in funzione, il quale opera nel processo di produzione e quindi costituisce la parte attiva di colui che impiegando il capitale lo rappresenta nel processo di riproduzione;

questa distinzione qualitativa non è assolutamente una mera opinione soggettiva del capitalista monetario da un lato e del capitalista industriale dall’altro. Essa si basa su fatti oggettivi, in quanto:

l’interesse fluisce al capitalista monetario, ossia a colui che ha prestato e che è semplice proprietario del capitale e che rispetto al processo di produzione e al di fuori del processo di produzione rappresenta la semplice proprietà di capitale;

il guadagno d’imprenditore fluisce al capitalista che è semplicemente operante, che non è proprietario del capitale.

Tanto per il capitalista industriale, nella misura in cui egli lavora con capitale preso a prestito, quanto per il capitalista monetario, nella misura in cui egli stesso non impiega il suo capitale, la ripartizione puramente quantitativa del profitto lordo fra due diverse persone che hanno entrambe dei titoli giuridici diversi sul medesimo capitale e quindi sul profitto da esso prodotto, si trasforma così in una ripartizione qualitativa.

Una parte del profitto si presenta ora come frutto del capitale che gli spetta in sé e per sé sotto una forma determinata, come interesse; l’altra parte si presenta come frutto specifico del capitale in una forma opposta e quindi come guadagno d’imprenditore; l’una come semplice frutto della proprietà di capitale, l’altra come frutto del semplice operare con il capitale, come frutto del capitale operante nel suo processo o delle funzioni che il capitalista attivo esercita”.

Questo passo del Capitale evidenzia, ai fini del presente articolo, una distinzione di ruoli, ma soprattutto di interessi, tra le due figure che il “capitalista” assume, ovvero:

tra il capitalista nella sua figura di possessore del capitale il cui scopo è l’interesse sul capitale che lui ha prestato all’impresa,
e il capitalista nella sua funzione di imprenditore il cui scopo è la massimizzazione del profitto realizzabile con le tecniche e le tecnologie disponibili, e che si traduce in plusvalore e quindi profitto da ripartire in due parti: quella spettante al capitalista misurata dal saggio di interesse e quella spettante all’imprenditore misurata nella parte residua.

Configurando le due nature del capitalista e i diversi obiettivi che essi perseguono, vorremmo evidenziare una contraddizione insita nei rapporti tra esse, studiare le configurazioni e conseguenze di tale contraddizione ed eventualmente pensare a come utilizzare detta contraddizione a favore del mondo del lavoro.

Da Schumpeter J.A., “Teoria dello sviluppo economico” (Sansoni, Firenze, 1971)

Chiamiamo impresa l’introduzione di nuove combinazioni (di mezzi di produzione) e chiamiamo imprenditori quei soggetti economici la cui funzione consiste nell’introdurle.

Questi concetti sono insieme più larghi e più stretti della consuetudine. Più larghi, perché in primo luogo chiamiamo imprenditori non solo quegli uomini di affari indipendenti in una economia di scambi, che sono usualmente così designati, ma anche tutti coloro che effettivamente svolgono la funzione mediante la quale definiamo il concetto, anche se essi sono, come sta diventando la regola, impiegati dipendenti di una società, come manager, membri del Consiglio di Direzione e così via, oppure se il loro effettivo potere di svolgere la funzione imprenditoriale ha qualsiasi altro fondamento del controllo di una maggioranza di azioni. (…) D’altro lato, il nostro concetto è più stretto di quello tradizionale  in quanto non include tutti i capi di imprese, o manager e industriali che operano puramente negli affari , ma che non svolgono effettivamente quella funzione”.

Il realizzare nuove combinazioni (…) la funzione essenziale dell’imprenditore, deve sempre apparire congiunta con altri tipi di attività, che di regola devono essere assai più vistose di quella essenziale. Per cui la definizione marshalliana di imprenditore, che identifica semplicemente la funzione di imprenditore con il management nel senso più ampio, piacerà naturalmente alla maggior parte degli economisti. Noi non l’accettiamo, solo perché a noi interessa proprio quel punto essenziale, che dà origine a fenomeni particolari e che distingue in maniera caratteristica l’attività di imprenditore da altre attività”.

Secondo Schumpeter, una novità di un’azienda (start-up) può risiedere nei seguenti aspetti: produzione di un nuovo bene o una nuova qualità di un bene; introduzione di un nuovo metodo di produzione, cioè non ancora noto al settore industriale interessato; sviluppo di nuovi mercati di vendita; utilizzo di nuove fonti di approvvigionamento; riorganizzazione di un’industria, ad esempio creando un monopolio o rompendo un monopolio. Secondo Schumpeter: “[…]  qualcuno è fondamentalmente un imprenditore solo se implementa una nuova combinazione”. Poiché il nuovo qui sostituisce il vecchio, Schumpeter parla anche di “distruzione creativa” in questo contesto.

Determinante è quindi l’introduzione di nuove combinazioni dei mezzi di produzione  che connotano gli imprenditori quali innovatori (unternehmer) mentre quelli che non hanno questa caratteristica sono semplicemente business men o speculatori.

Da Paolo Leon, “I poteri forti” (Castelvecchi, 2016)

Paolo Leon si avvale della duplicità della figura dell’imprenditore da quella del capitalista, nella nota 13 del suo libro avverte:

Utilizzerò spesso questa coppia, rivoltandola ogni volta che mi sembrerà  prevalga, nell’impresa, l’una o l’altra figura. Non si tratta di una fuga da un’analisi più precisa, ma di una necessità logica, come vedremo più avanti. Anzi, proprio lo sdoppiamento di queste figure può aiutare a comprendere la natura delle imprese e, soprattutto, la loro dinamica, che non è indifferente a quale delle due figure sia egemone.”

(…) L’andamento del mercato finanziario influenza il valore dei titoli, ma non necessariamente il valore dell’investimento sottostante. I titoli e l’investimento sembra possano vivere le loro indipendenti esistenze. (…) Quando la separazione è palese, si manifesta anche una dicotomia nella gestione delle imprese, tra il capitalista da una parte e l’imprenditore dall’altra. L’imprenditore è la figura dominante quando si tratta di investire in nuova capacità produttiva; il capitalista è dominus nell’altro caso. L’andamento del mercato finanziario, fermo restando quello reale, interessa più il secondo del primo, mentre l’andamento del mercato reale riguarda l’imprenditore, e il processo decisionale aziendale rivela una dialettica tra le due figure, figlia del mercato, più che di autonome decisioni. La separazione consente anche di distinguere tra capitale ed accumulazione, non tanto per i diversi mercati di riferimento, ma perché il capitale produttivo è un oggetto poco rilevante per il capitalista”.

Da Antonio Gramsci “I quaderni dal carcere”

Ogni gruppo sociale ‒ scrive Gramsci ‒ nascendo sul terreno originario di una funzione essenziale nel mondo della produzione economica, si crea insieme, organicamente, uno o più ceti di intellettuali che gli danno omogeneità e consapevolezza della propria funzione non solo nel campo economico, ma anche in quello sociale e politico (Quaderni del carcere, cit., p. 1513). Gramsci definisce questo tipo di intellettuali «intellettuali “organici»”.

Conviene precisare che la figura di «intellettuale organico» per eccellenza della società borghese è, per Gramsci, «l’imprenditore capitalistico», sia perché «crea con sé il tecnico dell’industria, lo scienziato dell’economia politica, l’organizzatore di una nuova cultura, di un nuovo diritto ecc.» (p. 1513), sia perché, se non tutti gli imprenditori, almeno una élite di essi deve avere una capacità di organizzatore della società in generale, in tutto il suo complesso organismo di servizi, fino all’organismo statale (Quaderni del carcere, cit., p. 1513).

In altre parole, la direzione politica, sia prima della conquista del governo sia dopo, poggia su una combinazione di «dominio» e «direzione intellettuale e morale», senza la quale non può «essere mantenuta». Questa «combinazione», in cui consiste l’egemonia, è il risultato di una determinata relazione fra i gruppi sociali e i loro rappresentanti, ovvero della organicità fra un determinato gruppo sociale e i suoi intellettuali:

Lavoro versus capitale

Abbiamo individuato, attraverso la lettura dei testi di differenti autori, la duplicità del capitalista-imprenditore; figura che oggi è forse rappresentata da persone fisiche, se non classi di persone, diverse (i gestori e gli azionisti) ma che nel familismo italiano sono spesso riunite nella stessa persona. Ciò che distingue queste due figure è l’obiettivo finale: per l’imprenditore l’obiettivo è lo sviluppo produttivo, per il capitalista l’obiettivo è la speculazione finanziaria; per il primo conta la “cosalità” del produrre, per il secondo la “ipostatizzazione” finanziaria dell’impresa; per il primo la economia concreta, per il secondo l’economia di carta.

Dato per scontato che ambedue le figure mirano al massimo profitto (massimizzazione del plusvalore) la differenza tra le due figure esplode nell’utilizzo del profitto realizzato:

per l’imprenditore il profitto va reinvestito in azienda, in nuovi investimenti tecnologici e produttivi alla ricerca di un vantaggio competitivo nei confronti della concorrenza; per l’imprenditore il profitto è un flusso interno al processo produttivo che rinnova e/o innova il processo stesso;
per il capitalista il profitto va impiegato laddove il tasso di remunerazione del capitale è più alto; per il capitalista il profitto è una fonte di finanza che va incanalato là dove la remunerazione finanziaria è più attraente, estraendo quindi capitali alla produzione per dirottarli verso la finanza.

Trent’anni di stagnazione dell’economia italiana, di livello zero nell’andamento della produttività, di sciopero degli investimenti produttivi, di crollo nella propensione al reinvestimento degli utili, la polarizzazione delle ricchezze, l’incremento delle disuguaglianze, la povertà dilagante, la disoccupazione crescente, la precarietà del lavoro dilagante, evidenziano in modo preciso quale sia la logica egemone tra quella dell’imprenditore e quella del capitalista, anche se nel 2007 la logica capitalista, l’economia di carta sono state sconvolte da un uragano, che ancora ci tormenta, che ha messo in discussione l’egemonia della visione capitalista.

Ci troviamo in un periodo storico-economico che Marx ha ben disegnato:

Nella produzione sociale della loro vita gli uomini entrano in determinati rapporti necessari e indipendenti dalla loro volontà, rapporti di produzione che corrispondono a una certa fase di sviluppo delle loro forze produttive materiali (…) In una certa fase del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in conflitto coi rapporti di produzione esistenti, e – per formulare in termini giuridici lo stesso concetto – coi rapporti di proprietà nell’orbita dei quali si erano finora mosse. Si apre allora un’epoca di rivoluzione sociale. Col cambiamento della base economica si sconvolge, più o meno rapidamente l’intera gigantesca soprastruttura”

L’avvento della robotizzazione è destinato a mettere in crisi tutti i rapporti sociali oggi peraltro in forte disagio; diminuiranno enormemente i posti di lavoro non specializzati via via sostituiti da robots sempre più intelligenti; il machine learning e l’intelligenza artificiale svolgeranno compiti oggi svolti non solo da lavoratori specializzati, ma da professionisti, lavoratori autonomi, studi professionali, managers; le persone non digitalizzate si troveranno spiazzate in un mondo dove le macchine tecnologiche arriveranno al punto di progettare e produrre macchine più avanzate di nuova generazione; il lavoro vivo rappresenterà sempre meno la quota del lavoro prodotto.

Ma la robotizzazione va vista come una grande avventura umana dove scompare il lavoro comandato, il lavoro svolto per altri per sopravvivere, il lavoro sfruttato che rende il lavoratore oggetto di sfruttamento. La liberazione dal lavoro comandato rappresenta l’orizzonte del mondo del lavoro libero; quindi non solo ”liberazione dal lavoro” ma anche “liberazione del lavoro”. E in questo percorso la lotta sarà sempre più violenta tra capitale e mondo del lavoro. E quest’ultimo deve saper sfruttare le contraddizioni tra capitalista e imprenditore; tra il rappresentante della logica del capitale e il rappresentante della logica del lavoro, cercando di farselo alleato, esasperando la dialettica con il capitalista e facendone l’intellettuale organico del nuovo modo di produzione che modificherà i sovrastrutturali rapporti di proprietà dei mezzi di produzione.

Da Karl Marx, “Il Capitale”. Libro III, cap XXVII

Questo risultato del più avanzato sviluppo della produzione capitalistica è un momento necessario di transizione per la ri-trasformazione del capitale in proprietà dei produttori, non più però come proprietà privata di singoli produttori, ma come proprietà di essi in quanto associati, come proprietà sociale diretta. E inoltre è momento di transizione per la trasformazione di tutte le funzioni che nel processo di riproduzione sono ancora connesse con la proprietà del capitale, in semplici funzioni dei proprietari associati, in funzioni sociali”.