Come la pandemia ha rivoluzionato i menu dei ristoranti


Un’indagine del New York Times rivela come i locali abbiano ripensato la loro proposta cartacea dopo i lockdown

AGI – Gli anni della pandemia, tra divisori in plexiglass e continue consegne a domicilio, hanno prodotto molti cambiamenti nei nostri ristoranti. E oggi, con i locali che sono tornati a essere pieni di clienti senza mascherine, non è difficile osservare come alcuni elementi classici, come i menu, stiano rivivendo una sorta di ‘nuova giovinezza’, coinvolti in un processo creativo di rinascita sempre più evidente e legato all’attualità. A indagare queste “capsule del tempo rivelatrici” è stato il New York Times, con un longform interattivo, volto a dimostrare come questi elementi abbiamo più personalità che mai. Anche al tempo dei qr code.
Le nuove tendenze
I giornalisti del prestigioso giornale americano sono tornati in redazione con 121 menu ‘fisici’ di altrettanti ristoranti. L’analisi successiva, tra elementi ben evidenti e dettagli più nascosti, ha permesso di stilare alcuni nuovi ‘trend’ che li accomunano.
I piatti che non mancano mai
Ci sono alcune voci che hanno particolarmente colpito gli esperti gastronomici. La ‘Caesar Salad’, ad esempio, non manca mai e ha conquistato anche i locali con una forte impronta tradizionale, come quelli orientali, cubani o sudamericani. Ognuno, però, la personalizza aggiungendo elementi specifici. La si può trovare anche con il miso, per fare un esempio un po’ più al limite.
Il caviale è un altro ingrediente che va per la maggiore. Lo si trova ovunque e in tutte le forme possibili tanto che “potresti persino trovarlo dentro una quesadilla messicana”, si legge nel report. Ma spiccano anche lo Yuzu, tipico agrume giapponese, e, per quanto riguarda i dolci, si segnala il ritorno prepotente della panna cotta, dessert molto gettonato soprattutto per la sua semplicità in un’epoca di continuo aumento delle materie prime.
C’è anche un ritorno molto forte alla creatività per quanto riguarda le bibite non alcoliche. Si moltiplicano le varietà di tè, succhi appena spremuti o cocktail analcolici, sempre più ricercati e complessi, che possono arrivare a costare come i loro cugini alcolici.
L’estetica
I menu si sono rimpiccioliti. E a loro volta anche i caratteri e i font utilizzati sono sempre più piccoli, più leggeri, più facili da distinguere per gli occhi. Molti ristoranti preferiscono un menu verticale e lungo non più mezza pagina, la dimensione ritenuta più giusta per tenerlo tra le mani. Basta, insomma, con le pagine da sfogliare e, sempre più, con troppe pietanze tra cui scegliere.
La rivoluzione riguarda anche i colori. Il bianco, il crema, e altre tinte più standard stanno lasciando il posto a versioni da ‘evidenziatore’, ‘fluo’, con rimandi precisi. Ad esempio il ‘rosa shocking’ tipico di Barbie. L’obiettivo, scrive il Nyt, è anche quello di creare dei contrasti netti con le scelte cromatiche adottate per la sala, i tavoli e le sedie, l’ambiente.
Mascotte e animali
Distinguersi significa anche identificarsi in forme, personaggi e animali sempre più originali. Nei menu abbondano così ritagli, forme astratte, disegni artistici ispirati a figure come Matisse, Chagall, Cocteau o, anche, a più moderni fumettisti. Per gli esperti “i ristoranti sono diventati sempre più dei marchi” esattamente come “le etichette di moda”. E a volte le scelte stilistiche di questo tipo pagano di più che optare per loghi molto ricercati.
Vince l’informalità
Una formattazione all’apparenza traballante, una carta semplice, un aspetto generalmente disordinato potrebbero far storcere il naso a molte persone ma, in realtà, si tratta spesso di scelte ben consapevoli per far sì che venga trasmesso un senso di accessibilità, familiarità, vicinanza tra chef e cliente. L’umanità come preponderante ‘goal’.
Sensibilità verso lo staff e i produttori
C’è una grande attenzione nei confronti dei propri lavoratori, con la sottolineatura di alcune iniziative, come la presenza di ‘costi di servizio’ destinati a garantire salari più alti e condizioni più favorevoli. Il 20% dei menu analizzati dal Nyt prevede anche delle spiegazioni, anche piuttosto lunghe, che spiegano queste politiche. Non mancano i nomi della squadra, in sala e in cucina, con indicazioni sulle loro specialità e talenti.