Come ha fatto la Svezia ad appiattire la curva epidemica senza lockdown?


A metà luglio, mentre i preoccupanti dati sui decessi rendevano sempre piuùrumoroso il coro di critiche contro la sua risposta alla pandemia, il primo ministro svedese, Stefan Lovfen, non aveva ceduto di un millimetro. La scelta di Stoccolma è stata controcorrente: nessun lockdown per non distruggere l’economia, forse con la speranza di raggiungere l’immunità di gregge. “La strategia è quella giusta, ne sono assolutamente convinto”, aveva dichiarato al quotidiano Aftonbladet. Era il 16 luglio e la nazione scandinava stava registrando un numero di morti pro capite superiore a quello degli Stati Uniti.

Due settimane dopo, i dati dicono che la Svezia è riuscita ad appiattire la curva epidemica senza nessun lockdown. La media settimanale dei nuovi casi è scesa a 200 alla fine del mese scorso, a fronte dei circa 1.140 di metà giugno. E il numero quotidiano di decessi legati al coronavirus è da due settimane a due cifre, dopo aver toccato un massimo di 115 a metà aprile. L’epidemia sembra quindi essere sotto controllo ma i critici ritengono che il prezzo, in termini di vite umane, sia stato troppo alto e che, se il governo covava in segreto l’obiettivo di immunizzare la popolazione lasciando circolare il Covid, il risultato non sembra essere stato raggiunto.

Il confronto con l’Italia

Agli osservatori locali viene naturale fare il confronto con i vicini nordici: 567 morti per milione di persone (dati Worldometers) possono apparire molti se paragonati con i 106 della Danimarca, i 59 della Finlandia o i 47 della Norvegia. Il quadro cambia se la comparazione è con i 581 morti per milione di abitanti dell’Italia o i 680 della Gran Bretagna, la cui curva epidemica stenta ad appiattirsi.

Anders Tegnell, epidemiologo capo dell’Agenzia della Sanità Pubblica di Stoccolma non ha dubbi: la via svedese funziona. Di avviso diverso i venticinque accademici svedesi che, in un editoriale pubblicato da Usa Today, scrivono che l’approccio del governo ha avuto come effetti “morte, tormento e sofferenza”. “Abbiamo dato al mondo un esempio su come non affrontare una malattia contagiosa mortale”, scrivono.

Niente lockdown, niente mascherine, e chiusura, in un primo momento, solo per scuole superiori e università. Agli svedesi è stato chiesto solo di astenersi dai viaggi non essenziali e lavorare da casa quando possibile. Negozi e ristoranti hanno dovuto ridurre il numero di persone che potevano entrare ma non hanno mai chiuso. Gli assembramenti sono stati vietati, sì, ma solo oltre le 50 persone. Agli ultrasettantenni è stato suggerito di non uscire ma è stato lasciato tutto al loro buonsenso, senza la minaccia di sanzioni. Cosa è successo quindi in Svezia? Una spiegazione condivisa non esiste ancora e gli esperti hanno elaborato alcune teorie.

Cosa dicono gli esperti

“Gli svedesi, in generale, hanno cambiato il loro comportamento durante la pandemia e la pratica del distanziamento sociale è stata molto diffusa”, ha dichiarato al sito specializzato MedPageToday Maria Furberg, infettivologa dell’Università di Umea, “da marzo a inizio giugno tutti i negozi erano pressoché vuoti, la gente aveva smesso di cenare con gli amici e le famiglie avevano interrotto i contatti persino con i parenti più stretti. Un lockdown non avrebbe potuto essere più efficace. Lavarsi le mani, usare il più possibile i disinfettanti e stare a casa al primo segnale di freddo è diventato la normalità molto presto”.

Secondo Mozhu Ding, epidemiologo del Karolinka Institute, l’appiattimento della curva è dovuto “probabilmente a una combinazione di misure adottate da individui, aziende e effetti della vasta campagna di informazione lanciata dal governo”. “Anche senza un lockdown rigido e obbligatorio, molte aziende hanno consentito ai dipendenti di lavorare da casa e le università hanno offerto corsi a distanza agli studenti”, ha dichiarato alla testata scientifica.

Un altro fattore potrebbe essere stato l’arrivo della bella stagione, con la chiusura delle scuole e la possibilità di compiere escursioni nella natura. Secondo Anne Spurkland, immunologa dell’università di Oslo, “forse la Svezia ha finalmente raggiunto un controllo maggiore della disastrosa diffusione del virus nelle case di riposo, il che puo’ spiegare fino a un certo punto il tasso di mortalità relativamente alto“. La metà delle 5.730 morti registrate dalla Svezia sono infatti avvenute nei ricoveri per anziani. Secondo Spurkland è pero’ “troppo presto per stabilire che l’approccio svedese sia stato il più saggio”. Occorrerà aspettare l’autunno e vedere se si verificherà una seconda ondata in Norvegia e nelle altre nazioni vicine che hanno imposto il lockdown.

La questione dell’immunità di gregge

Le cautele richieste alla popolazione sembrano far escludere – come sostengono i critici più accesi – che lo scopo del governo fosse l’immunità di gregge, ovvero quanto vagheggiato dal premier britannico Boris Johnson all’inizio dell’epidemia. Eppure dichiarazioni come quella, recente di Karin Tegmark Wisell, microbiologa capo dell’Agenzia della Sanità Pubblica (“gran parte della popolazione non è protetta perché non è infetta”) sono sembrate suggerire il contrario. L’obiettivo sembrerebbe, nel caso, fallito, dal momento che la positività agli anticorpi nella popolazione svedese appare inchiodata al 10%. La questione potrebbe però essere più complessa.

Uno studio del Karolinska Institute ha infatti dimostrato che il 30% degli asintomatici o degli infetti da coronavirus con sintomi deboli risultano negativi agli anticorpi ma possiedono un’immunità legata ai linfociti T. “È una notizia splendida dal punto di vista della sanità pubblica”, sottolinea Ding, “le persone risultate negative al test degli anticorpi potrebbero essere comunque immuni al virus a livello cellulare”.

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Fonte: estero agi