Come cresce la spesa sociale dei comuni


 

Servizi sociali: i compiti di comuni e regioni

Gli interventi di natura sociale, anche in ossequio al principio di sussidiarietà verticale, sono una delle funzioni che più caratterizzano l’azione di governo sul territorio di un comune, in un’ottica di redistribuzione in favore dei ceti più deboli.

Con la legge quadro n. 238 del 2000 sulla realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali, i comuni sono divenuti titolari delle funzioni amministrative per gli interventi sociali a livello locale, mentre le regioni svolgono le funzioni di programmazione e coordinamento, integrando gli interventi sociali con quelli sanitari, formativi e per l’inserimento lavorativo. Nelle regioni a statuto speciale il bilanciamento dei ruoli tra gli enti territoriali può assumere forme diverse rispetto alle regioni a statuto ordinario.

Nel 2022 i comuni italiani hanno speso oltre 10 miliardi di euro per diritti sociali, politiche sociali e famiglia (missione 12 del bilancio comunale), il 13,5 per cento dei 75 miliardi complessivi che compongono la spesa finale. Vi si aggiungono altri 5 miliardi di residui passivi, relativi a somme non pagate negli anni precedenti.

Le spese ricomprese nella missione 12 sono quelle riferite a interventi per infanzia, minori, asili nido; disabilità; anziani; soggetti a rischio di esclusione sociale; famiglie; diritto alla casa; rete dei servizi sociosanitari e sociali; cooperazione ed associazionismo; servizio necroscopico e cimiteriale.

La fetta maggiore è riservata a infanzia, minori e asili nido (26,3 per cento del totale), segue la rete dei servizi sociosanitari e sociali (15,6 per cento) e i soggetti a rischio di esclusione sociale (15,3 per cento). Gli stanziamenti a favore di questi ultimi avevano raggiunto gli 1,7 miliardi di euro nel 2020 (17,1 per cento), l’anno del Covid, quando attraverso i comuni furono distribuiti buoni per la spesa alimentare destinati a famiglie indigenti. In aumento negli ultimi due anni i fondi per la disabilità (12,5 per cento), mentre quelli in favore degli anziani si sono ridotti dal 13,9 per cento del 2016 al 10,2 per cento del 2022, nonostante il progressivo invecchiamento della popolazione.

L’andamento degli impegni di spesa per il sociale per ciascun residente è crescente tra il 2016 (148 euro per abitante) e il 2022 (179 euro per abitante). L’incremento maggiore (da 152 a 169 euro) si è avuto nel 2020 per fronteggiare l’emergenza Covid ed è aumentato ulteriormente nei due anni successivi.

L’aumento della spesa nel periodo è risultato pari al 21 per cento, ma anche tenendo conto dell’inflazione, si registra una crescita reale del 7,4 per cento, poco più dell’1 per cento l’anno.

 

Le differenze territoriali

La spesa sociale non è uniforme sul territorio nazionale e mostra un’evidente situazione di svantaggio per i piccoli comuni e per il Meridione.

Nel 2022 la spesa pro capite è di soli 133 euro nei comuni con popolazione inferiore ai 10 mila abitanti ed è il doppio nelle città con più di 100 mila abitanti, dove le economie di scala giocano un ruolo determinante.

L’andamento territoriale mostra una spesa per abitante di 205 euro nel Nord-Est, 180 nel Nord-Ovest, 187 al Centro e appena 131 al Sud (con 113 euro in Calabria e 115 in Campania). Le Isole sono fortemente eterogenee, con il valore più alto d’Italia in Sardegna (411 euro) e uno tra i più bassi in Sicilia (142 euro).

Ma le differenze non si esauriscono qui. La percentuale di spesa destinata al sociale rispetto alla spesa finale (spesa corrente, in conto capitale, per l’incremento di attività finanziarie) è alquanto stabile nel tempo e nel 2022 (13,5 per cento) è tornata ai livelli pre-pandemici.

Escludendo i valori troppo alti (Sardegna e Friuli Venezia Giulia) o troppo bassi (Valle d’Aosta) di alcune regioni a statuto speciale, in cui le competenze sono diversamente ripartite tra gli enti territoriali, una maggiore attenzione alle politiche sociali si riscontra tra i comuni dell’Emilia Romagna (15,9 per cento) e Lombardia (15 per cento). Le situazioni più penalizzate sono, invece, quelle di Calabria (8,4 per cento), Abruzzo (8,5 per cento) e Campania (10,1 per cento).

La capacità di pagamento delle somme impegnate per interventi di natura sociale, comprensiva dei residui degli anni precedenti, non supera mai i due terzi del totale e nel 2022 si è fermata al 65 per cento. In questo particolare settore, i ritardi nei pagamenti sono poco giustificabili, trattandosi per lo più di spesa corrente destinata a contrastare situazioni di disagio.

Le differenze territoriali nella capacità di pagamento sono ben marcate. Le regioni del Centro-Nord e la Sardegna riescono a soddisfare oltre il 70 per cento degli impegni di spesa (quadranti in alto), mentre tutte le regioni del Sud non arrivano al 60 per cento, con Campania e Calabria intorno al 40 per cento (quadranti in basso). Anche il Lazio (54,5 per cento) si trova molto al di sotto della media, penalizzata dal basso livello di pagamenti di Roma Capitale (52,2 per cento), in cui si concentrano quasi i due terzi della spesa regionale.

La minore allocazione di interventi per il sociale al Sud (il 73 per cento del valore nazionale pro capite) dipende da una serie di fattori. Pur potendo disporre di entrate in linea con la media nazionale, dati i vincoli e gli equilibri di bilancio, la scarsa capacità di riscossione (37,6 per cento) ne limita fortemente l’utilizzo, causando una riduzione della spesa finale per abitante (il 90 per cento dei 1.324 euro per italiano). Alla scarsità di risorse finanziarie, derivante anche da una maggiore incidenza degli interessi passivi sui debiti pregressi, si aggiungono poi le scelte di politica locale nel ripartire la spesa tra le diverse funzioni. Un ulteriore fattore negativo è costituito dalla ridotta capacità di pagamento, in quanto aumenta la massa dei residui passivi da smaltire negli anni successivi. Non appare, invece, rilevante la dimensione media comunale in termini di popolazione, che al Sud risulta in linea con quella degli altri comuni italiani.

Ricapitolando, la spesa sociale per abitante sostenuta dai comuni italiani risulta in aumento tra il 2016 e il 2022, soprattutto a partire dal 2020, quando si è reso necessario predisporre misure straordinarie di sostegno a seguito dell’emergenza Covid. Tuttavia, in termini relativi rispetto alla spesa finale, non si registra una maggiore destinazione di risorse agli interventi di natura sociale da parte dei comuni. In ritardo, sia per quanto riguarda l’incidenza di spesa che la capacità di pagamento, è soprattutto il Sud, dove i bisogni sono maggiori, ma la risposta degli enti locali non è adeguata.

 

Fonte: lavoce.info