Di Angelo Panebianco
Ruoli Nel centrosinistra, l’impressione è che Fratoianni e Bonelli, anti-tutto, in qualche modo nascondano altre e più importanti divisioni
Per ragionare sulle coalizioni che si fronteggiano dobbiamo ricordarci che esse sono il prodotto della legge elettorale esistente. Per la quale, al posto del latinorum — il Rosatellum — si potrebbe ricorrere a un (più elegante) anglicismo: the stack law, la legge dell’accatastare, dell’ammucchiare. La legge obbliga, da una parte e dall’altra, a mettere insieme tutto e il suo contrario: i nemici di Putin e gli amici di Putin, i sostenitori sinceri della politica di Mario Draghi e quelli per i quali Draghi è la longa manus del capitale finanziario internazionale. Inoltre, data l’impossibilità del voto disgiunto, la legge obbliga il povero elettore che mette una croce su un nemico di Putin a votare anche per i suoi amici, quello che vota per il candidato sostenitore della politica di Draghi a votare anche per chi la detesta. Per giunta, come tocco finale — e questo state pur certi che sta bene a tutte le segreterie di partito — consente di fare entrare in parlamento folle di yes men (o di yes women) non perché scelti dagli elettori ma perché è stato così deciso da chi manipola le liste attraverso il gioco delle candidature plurime. Come hanno suggerito Massimo Teodori (Huffington Post) e Roberto Gressi (Corriere del 5 agosto), con una legge simile, è probabile che la prossima legislatura faccia la fine della precedente: governi che, nella loro composizione, prescindono totalmente dagli schieramenti che si sono presentati alle elezioni.
Per ora, comunque, bisogna ragionare su ciò che c’è.
Eciò che c’è è rappresentato dalle due principali coalizioni che si fronteggiano. Con alcune incognite su ciò che resta fuori da quelle coalizioni: di quanti punti in percentuale sotto il dieci per cento scenderanno i 5 Stelle? Riuscirà Matteo Renzi a superare la soglia di sbarramento del 3 per cento? Cose importanti per capire quali equilibri politici si daranno nel prossimo Parlamento.
Partiamo dalla coalizione favorita dai sondaggi. Al traino di una leader indubbiamente capace e carismatica come Giorgia Meloni. Dismessi i panni dell’oppositrice (per esempio, con i no di principio ai provvedimenti attuativi del Pnrr), Meloni sta già pensando e agendo ora come primo ministro in pectore: in quanto tale è giustamente preoccupata della governabilità. Ha preparato bene il passaggio: schierandosi con il governo Draghi e con la Nato sull’Ucraina ha rassicurato di colpo lo schieramento occidentale e si è procurata un bonus che ora potrà spendere. È singolare che mentre lei sosteneva lealmente il governo sull’Ucraina e contro Putin, i suoi attuali partner di coalizione, pur facendo parte della maggioranza Draghi, si comportassero come il signor Tentenna: non si potevano evidentemente permettere di essere altrettanto lineari della Meloni.
Messe da parte (o così si spera) certe incaute promesse demagogiche, Meloni ora deve lavorare su due fronti: tenere a freno gli esuberanti partner specializzati nel promettere la luna agli elettori e rassicurare Bruxelles. Ci riuscirà col programma comune che il centro-destra sta redigendo? Meloni dice che va rinegoziato il Pnrr. E se i partner europei non sono disposti a rinegoziarlo, che si fa? Si rinuncia agli ingentissimi fondi europei? Non si può credere che Meloni sia disposta a pagare — e a farci pagare — un prezzo simile. Si è letto che avrebbe in mente un giro nelle capitali europee e a Bruxelles. Sarebbe quanto mai opportuno che lo facesse. È necessario, per il nostro bene, che l’Europa sia rassicurata sui comportamenti del futuro governo italiano. Ha ragione Guido Crosetto: ci aspettano tempi molto duri. Finiti i fuochi e i furori della campagna elettorale, bisognerà che le forze politiche responsabili presenti in Parlamento, chiunque vinca (ammesso che qualcuno vinca), cerchino di collaborare per fronteggiare l’emergenza: un Paese a pezzi non conviene a nessuno. Ma questo riguarda il dopo elezioni. Resta aperto quello che, in questo momento storico, è il principale quesito: in caso di vittoria della destra, i rapporti di forza entro la coalizione saranno tali da permettere a Meloni di imporre ai partner, sul terreno cruciale della politica estera, che non ci siano deviazioni dall’allineamento atlantico?
Veniamo alla coalizione di centro-sinistra. L’ impressione è che gli ormai celebri Fratoianni e Bonelli, anti-Draghi, anti-Nato, antigas si ficat ori, anti-tutto, in quella coalizione recitino la parte della donna dello schermo: servono a nascondere altre e più importanti divisioni.
Le correnti di sinistra del Pd (in sintonia con la Cgil) hanno subìto obtorto collo — ed è un grande merito di Enrico Letta — la politica di Draghi ma saranno pronte a scartare se ne avranno la possibilità. Ci sono gruppi entro il Pd (gli stessi che sono oggi le vedove inconsolabili dell’alleanza con i 5 Stelle) che diffidano del mercato e che, per esempio, sulla concorrenza non hanno posizioni troppo diverse da Matteo Salvini. Hanno lasciato che fossero Salvini e Meloni (più l’estrema sinistra) a passare per i nemici della concorrenza (taxi, concessioni balneari) ma, di sicuro, i mercati concorrenziali non sono una loro priorità. Se, poniamo, a causa di una seria sconfitta del Pd, queste correnti riuscissero a sbarazzarsi di Letta, che fine farebbe l’alleanza Pd-Calenda?
Ricordiamoci anche che se una sconfitta spostasse a sinistra gli equilibri interni al Pd, la sua posizione sulla politica estera forse cambierebbe. Non è affatto sicuro che le suddette correnti, pur tacendo al momento per disciplina di partito, la pensino diversamente da Salvini sull’invio di armi all’Ucraina. Più in generale, è da vedere se il Pd abbia davvero al suo interno, come sostengono i suoi dirigenti, una compatta e convinta maggioranza di sostenitori della politica di Draghi e disposta a continuare sulla stessa strada.
Forse la qualità della nostra democrazia migliorerebbe se, per lo meno, il prossimo Parlamento facesse una legge elettorale, maggioritaria (come chi scrive preferirebbe) o proporzionale, senza trucchi, trucchetti e camicie di forza. Con la trasparenza che manca del tutto alla legge elettorale ora in vigore. Per aiutare gli elettori a capire un po’ di più per chi e per che cosa stiano votando.
Fonte: corriere della sera