Ci sono tre indagati per la morte del parà Emanuele Scieri


La procura generale militare di Roma, a quanto apprende l’AGI, ha chiuso l’inchiesta sulla morte dell’allievo parà Emanuele Scieri, avvenuta nell’caserma ‘Gamerra’ di Pisa.

L’avviso di conclusione indagini –  atto che prelude di solito a una richiesta di rinvio a giudizio – firmato dal procuratore generale della Corte militare d’appello di Roma Marco De Paolis e dal sostituto pg militare Isacco Giustiniani, riguarda tre indagati: si tratta di Andrea Antico, Alessandro Panella e Luigi Zabara, – solo il primo è ancora in servizio nell’Esercito – che, all’epoca dei fatti, rivestivano il ruolo di caporali nella caserma di Pisa dove morì Emanuele Scieri.

L’ipotesi di reato formulata nei confronti di tutti e tre dalla procura generale militare di Roma è quella di concorso in “violenza ad inferiore mediante omicidio pluriaggravato”, in base a quanto previsto dall’articolo 195 del codice penale militare di pace.

Sul caso Scieri, sul fronte della giustizia ordinaria, è tuttora aperta un’indagine a Pisa. ​I tre indagati, si legge nel provvedimento della procura generale militare di Roma (il pg Marco De Paolis, lo scorso autunno, aveva deciso di avocare a sé l’inchiesta), “agendo in concorso tra loro e per cause non estranee al servizio e alla disciplina militare, cagionavano con crudeltà la morte dell’inferiore in grado allievo-paracadutista Emanuele Scieri”.

Obbligato a eseguire prima numerose flessioni e poi un esercizio di arrampicata, il tutto sotto i colpi dei tre indagati e, caduto a terra da un’altezza “non inferiore a 5 metri”, fu lasciato agonizzante senza alcun soccorso: questa la ricostruzione della procura generale militare di Roma , secondo cui “i tre caporali, tra le ore 22,30 e le 23,45 del 13 agosto 1999 – si legge nell’avviso di conclusione indagini visionato dall’AGI – allorché incontravano l’allievo paracadutista Emanuele Scieri, che stava per effettuare una chiamata con il suo telefono cellulare poco prima di rientrare negli alloggiamenti del reparto di appartenenza per ottemperare all’obbligo imposto alle reclute, lo fermavano e, qualificandosi come caporali del Reparto corsi e suoi superiori in grado, gli contestavano di aver violato le disposizioni che, per ragioni di disciplina, gli vietavano di utilizzare il telefono cellulare“. 

Quindi, è la tesi del pg militare, “esercitando con abuso di autorità ed in modo illecito i doveri del superiore di far osservare le norme di servizio e di disciplina, di rilevare e far constatare le infrazioni disciplinari ai militari inferiori in grado, gli intimavano di effettuare subito numerose flessioni sulle braccia e, mentre le eseguiva, lo colpivano con pugni sulla schiena e gli comprimevano le dita delle mani con gli anfibi, per poi costringerlo ad arrampicarsi sulla scala di sicurezza della vicina torre di prosciugamento dei paracadute, dalla parte esterna, con le scarpe slacciate e con la sola forza delle braccia, vale a dire con modalità corrispondenti a quelle richieste per eseguire (con le opportune cautele) l’esercizio addestrativo denominato ‘arrampicata a sole braccia del palco di salita’.

Subito dopo, secondo l’accusa, “mentre l’allievo-paracadutista stava risalendo, veniva seguìto dal caporale Panella che, appena raggiunto, per fargli perdere la presa, lo percuoteva dall’interno della scala e, mentre il commilitone cercava di poggiare il piede su uno degli anelli di salita, gli sferrava violentemente un colpo al dorso del piede sinistro”. Per questo, a causa dell'”insostenibile stress emotivo e fisico subito, provocato dai tre superiori”, Scieri “perdeva la presa e precipitava al suolo da un’altezza non inferiore a mt.5, in tal modo riportando lesioni gravissime (fratture alla sesta vertebra dorsale e politraumatismi vari al cranio e ad altre parti del corpo)”.

Subito dopo la caduta, scrive la procura generale militare di Roma, i tre indagati, “constatato che il commilitone, sebbene gravemente ferito, era ancora in vita, pur essendo consapevoli dell’obbligo di dover agire per soccorrerlo, lo abbandonavano sul posto agonizzante e, violando uno specifico dovere militare di comportamento, così ne determinavano la morte”, che, invece, “il tempestivo intervento del personale di Sanità militare da loro precluso avrebbe potuto evitare”. 

“Particolare soddisfazione per la giustizia militare che è riuscita a chiudere dopo tanti anni un’indagine su un caso così importante e delicato” è stata espressa dal procuratore generale della Corte militare d’appello di Roma, Marco De Paolis. “E’ un tributo che si deve alla famiglia Scieri, che ha tanto creduto nella giustizia – ha aggiunto il magistrato – speriamo che ci sarà una conclusione positiva anche in sede dibattimentale”. De Paolis, infine, ha rivolto un “ringraziamento” alla Commissione parlamentare di inchiesta sul caso Scieri, “il cui lavoro ha stimolato le indagini”. 

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Fonte: cronaca agi