Chiusura dei Pronti soccorsi? A Brescia, si privatizza l’emergenza


 

Di Roberta Lisi

Riceve cinque giorni a settimana per undici ore, è il primo pronto soccorso privato del Paese. Il “modello Lombardia” colpisce ancora.

 

Ènato da 15 giorni a Brescia, in una regione quindi che della teoria del sistema misto pubblico-privato ha fatto pratica quotidiana, accompagnato da una eco mediatica degna di miglior causa. È il primo pronto soccorso privato d’Italia e a leggere il sito si rimane, quanto meno, sconcertati: “Il nostro ambulatorio di medicina d’urgenza e primo soccorso nasce in risposta a tutti coloro che necessitano di una risposta rapida, ma non possono o non desiderano aspettare ore in pronto soccorso ospedaliero”.

La concorrenza è l’anima del commercio

Tariffe esplicite, un prezzo per ogni prestazione, si va dai 30 ai 500 euro, ma quel che davvero colpisce è che nella presentazione dei servizi che si offrono, li si mette in concorrenza esplicita con le risposte che è possibile trovare rivolgendosi al pronto soccorso degli ospedali. “Intanto è improprio parlare di pronto soccorso”, afferma Vincenzo Morriello, segretario generale della Fp Cgil bresciana, che aggiunge: “Quella struttura, infatti, può occuparsi solo dei codici bianchi e verdi, quelli che in realtà non dovrebbero rivolgersi ai pronto soccorso ospedalieri ma trovare accoglienza nella sanità di territorio”.

I rischi che si corrono

Quasi il 70% degli accessi alle strutture di emergenza urgenza dei nosocomi italiani sono proprio i codici bianchi e verdi. Vengono definiti accessi impropri perché potrebbero e dovrebbero trovare soluzione in strutture diverse dai pronto soccorso. Ma il punto è proprio questo, potrebbero e dovrebbero, ma siccome il condizionale è d’obbligo, significa che non esiste altro che possa dar risposte a quelli che sono comunque bisogni di salute da colmare in larga parte del territorio nazionale.

 

Dice Cristiano Zagatti, responsabile Politiche della salute della Cgil nazionale: “Strutture come quella di Brescia possono mettere a rischio chi vi si rivolge. Non basta l’insegna ‘Pronto Soccorso’ a garantire risposte adeguate, si pensi alle vere emergenze mascherate da una blanda sintomatologia dove ogni minuto può fare la differenza. Ecco perché ogni pronto soccorso dovrebbe necessariamente trovarsi in strutture adeguate per garantire la tutela delle persone e, aggiungo, del personale sanitario”.

 

La privatizzazione del Ssn

“In realtà da tempo – sottolinea Moriello -, in Lombardia (e non solo, aggiungiamo noi) una parte delle prestazioni vengono appaltate ai privati. Nei pronto soccorso degli ospedali della città, ad esempio, 1 turno sui 4 delle 24 ore è dato in appalto strutturalmente a cooperative”.

E questa tendenza non riguarda solo Brescia. È stato lo stesso assessore al welfare regionale, Guido Bertolaso, a dare i numeri della privatizzazione. 18.735 turni appaltati a camici bianchi a gettone solo nei 4 tipi di reparti dove il fenomeno è più diffuso (ma è presente in tutti). E per il 2023 le previsioni sono ben peggiori: 1.524 turni nei reparti di anestesia, 2.272 nei pronto soccorso, 1.076 nelle medicine penitenziarie, 11.863 nei reparti di psichiatria saranno assegnati con i medici pagati a cottimo.  E siamo al paradosso che non si assume personale per il noto tetto di spesa imposto alle Regioni (quando si spese nel 2004 meno l’1,4%), ma il costo orario di un medico a gettone è

quasi doppio rispetto a quello di un dipendente.

 

Dispercezioni ottiche

In realtà BresciaMed, raccontato come pronto soccorso privato, è un ambulatorio privato aperto al territorio che eroga prestazioni sanitarie, diagnostiche e specialistiche, rigorosamente a pagamento. Qualche esempio? Leggiamo sempre dal sito all’elenco prestazioni: visita d’urgenza, e fin qui ci sta, ecografia dell’addome o dei polmoni, infiltrazioni ecoguidate intrarticolari di cortisone o acido ialuronico, elettrocardiogramma. E poi visite ginecologiche, urologiche, cardiologiche ecc.

“Insomma – aggiunge il segretario della Fp – sono le attività che dovrebbero essere effettuate, in maniera universale e gratuita, nelle case di comunità e dalla sanità di territorio. Se e quando queste strutture saranno operative i cittadini e le cittadine avranno la giusta risposta ai propri bisogni di salute e si risolverà, almeno in parte, la annosa questione del sovraffollamento dei pronto soccorso e si ridurrebbe, con la prevenzione e la presa in carico delle fragilità, il numero dei codici bianchi e verdi che vi si rivolgono”.

Un sospetto sorge spontaneo

BresciaMed, lo dicevamo, funziona solo di giorno e nei giorni feriali, lasciando quindi inevitabilmente ai nosocomi pubblici l’onere di soccorrere non solo i codici gialli e rossi ma anche gli altri quando è festa. E poi è bene ricordarlo, è una struttura “privata privata” come ricorda Moriello, qualunque prestazione è completamente a carico dell’utente. “Ma – si domanda il dirigente sindacale – non sarà che proprio in vista dell’avvio delle case di comunità, si occupa uno spazio per poi chiedere di essere integrati come struttura privata accreditata, nel Servizio Sanitario?”

 

Il futuro della sanità di territorio

La presidente del Consiglio ha già cominciato a sparare a palle incatenate contro le cattedrali nel deserto della sanità. Il ministro Fitto lascia intendere che il numero delle case di comunità previste dal Pnrr potrebbe essere radicalmente ridotto, ben 309 in meno quelle che devono essere costruite, perché le altre dovrebbero essere ospitate in strutture già esistenti.

Non sarà che tra chi, come il responsabile sanità di Fratelli d’Italia Marcello Gemmato, nonché sottosegretario alla salute – proprietario di farmacie – e il responsabile sanità di Forza Italia Andrea Mandelli – presidente dell’Ordine dei farmacisti – pensa che la sanità territoriale debba ruotare attorno alle farmacie, che per oltre il 90% sono private, e chi apre poliambulatori privati sul territorio si stia aprendo una strada, forse un’autostrada alla privatizzazione anche della sanità di territorio?

Ricordarsi: il privato ha come fine ultimo quello di far profitto, non di attuare l’articolo 32 della Costituzione.

 

Fonte: collettiva.it