Chi è Jimmy Lai, magnate "eroe" e "traditore"


AGI – Per gli attivisti di Hong Kong che lottano per la democrazia e l’indipendenza da Pechino è “un eroe, un uomo che si è costruito da solo e che è in grado di resistere con il suo impero dei media all’oppressione cinese”. Per Pechino è invece “un traditore, istigatore della protesta del 2019” che ha mandato nel caos l’intera isola.

Jimmy Lai, arrestato nella mattinata a Hong Kong (l’una di notte in Italia), è un volto preminente del braccio di ferro tra l’ex colonia britannica e il governo cinese. Dall’anno scorso, quando incontrò il segretario di Stato americano, Mike Pompeo, e il vice presidente, Mike Pence, è accusato di collusione con una potenza straniera.

E ora rischia una condanna all’ergastolo. Due settimane prima che la legge sulla sicurezza nazionale a Hong Kong entrasse in vigore, Lai si era detto “pronto ad andare in prigione”. “Se costretto, potrò finalmente leggere libri che non ho mai letto”, aveva ironizzato. “Non posso fare altro che restare ottimista”, aveva aggiunto. Sulle accuse di collusione, ha sempre spiegato che “le persone di Hong Kong hanno il diritto di incontrare politici stranieri”.

Lai, 71enne padre di sei figli e capo di Next Media, che comprende l’Apple Daily e la rivista Next, è ‘archetipo del self made man. E’ sbarcato illegalmente a Hong Kong con la sua famiglia all’età di 12 anni, nascosto nello scafo di una barca proveniente da Canton.

Da subito ha iniziato a lavorare in una fabbrica tessile, poi, poco più che trentenne, ha imparato l’inglese e ha aperto una propria attività tessile. Fu la soppressione della rivolta di Tiananmen nel 1989 a trasformare la sua visione politica e nel 1990 lo portò a fondare Next Media.

“Finché sarò vivo, Next Media non cambiera’”, aveva assicurato alcuni anni fa. “Non voglio che i miei figli, i miei nipoti, pensino che il loro padre e il loro nonno fosse ricco ma una cattiva persona. Non posso contare sui miei soldi per essere felice”, aggiunse.

In una sua intervista a fine di giugno, aveva spiegato che la legge sulla sicurezza “segnerà la fine di Hong Kong” e aveva espresso il timore – poi avverato – che le autorità perseguissero i suoi giornalisti. 

 

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Fonte: estero agi