Charles Baudelaire


 

 

Poeta francese (Parigi 1821 – ivi 1867). Pur fra interpretazioni diverse o opposte, è ritenuto l’iniziatore di un nuovo corso poetico, e la sua opera viene collocata fra le più alte espressioni della poesia di tutti i tempi e paesi. Autore di un unico ma fondamentale libro di poesie, Fleurs du Mal (1857), la sua grande originalità non fu interamente compresa dai suoi contemporanei, nemmeno dai suoi amici più vicini (Gautier o Sainte-Beuve), ma esercitò subito un’influenza notevolissima sul Parnasse, e poi sulla scuola simbolista; e quindi grande suggestione ebbe su Verlaine, su Mallarmé, su Rimbaud, e su tutta la successiva poesia francese ed europea, fino al surrealismo.

 

VITA E OPERE

Rimase orfano di padre a sette anni, e le nuove nozze della madre con l’ufficiale di carriera Jacques Aupick costrinsero il suo temperamento nervoso e sensibilissimo a formarsi in una solîtudine quasi completa. Per volere della famiglia intraprese a vent’anni un viaggio verso l’India, che durò dieci mesi e fu interrotto all’isola Maurizio: ne riportò impressioni e ricordi che influirono sui suoi gusti e su taluni spunti e motivi della sua poesia. Al ritorno, divenuto maggiorenne e entrato in possesso dell’eredità paterna, fece vita a sé: frequentò letterati, giornalisti, pittori, strinse amicizia con Th. Gautier, Th. de Banville, Sainte-Beuve, si legò a una mulatta, Jeanne Duval (la “Vénus noire”) con un amore che durò, fra alterne vicende, fino al 1861. Esordì come critico d’arte (Salon de 1845; Salon de 1846) e poi continuò a collaborare a riviste e giornali, ancora con articoli di critica d’arte e letteraria, o con rari e brevi racconti (La Faufarlo, 1847); ma presto sua cura costante fu di raccogliere in volume le sue poesie, che intanto apparivano in riviste, isolatamente o a gruppi, e venivano annunciate sotto titoli diversi (Les Lesbiennes, 1845-46; Les Limbes, 1849; Les Fleurs du Mal, 1855). Finalmente la raccolta, di 101 poesie, fu pubblicata nel 1857, col titolo definitivo di Fleurs du Mal; la sua apparizione provocò un processo giudiziario per immoralità, che terminò con una condanna pecunaria per l’autore e l’editore, e con la prescrizione di togliere sei liriche. Dopo tale successo scandalistico, B. pensò subito a una seconda edizione, che apparve nel 1861, con l’aggiunta di altre trentacinque liriche, alcune fra le più belle, e con la ripartizione in sei sezioni (Spleen et Idéal, Tableaux parisiens, Le Vin, Fleurs du Mal, Révolte, La Mort).

Concependo la poesia come fenomeno irrazionale, individuale e perciò unico e inimitabile, B. aderì all’esigenza di attualità e di realtà della scuola romantica, e della vita del suo tempo ritrasse e interpretò anche gli aspetti più oscuri e scabrosi, trasfigurandoli in un linguaggio stilisticamente elaborato, e con immagini, simboli e “corrispondenze” di grande efficacia rappresentativa. Ma del romanticismo rifiutò l’effiusione sentimentalistica, né condivise la fiducia di alcuni settori nel progresso continuo, materiale e morale, dell’umanità; l’espressione indiretta, allusiva, del suo contenuto lirismo, tradusse piuttosto l’esasperato pessimismo di molti poeti e letterati della sua generazione, disse la tormentata malinconia d’una condizione di caduta e di rinuncia, la noia che opprime e isola, gli slanci verso ideali di bellezza assoluta, le rivolte, i rinnegamenti, le evasioni verso i regni della voluttà, del vizio, dell’autoesaltazione, del sogno e della morte, e sempre con un senso quasi cristiano di colpa, con una lucida coscienza del peccato, con un miraggio di elevazione e purificazione.

Questi principî e questi aspetti si ritrovano anche nello Spleen de Paris (o Petits poèmes en prose, raccolti in volume soltanto dopo la morte di B., nel 1869), e nei Paradis artificiels (1860), in cui, sull’esempio delle Confessions of an English Opium-Eater (1821) di Th. de Quincey, tratta da esperto e da poeta degli effetti dell’oppio, dell’hasḥīsh, del vino, come mezzi di ricerca di voluttà e di moltiplicazione dell’individualità. Di grande acutezza sono i suoi saggi critici su Delacroix, Constantin Guys, V. Hugo, Wagner, ecc., raccolti nei due volumi Curiosités esthétiques e L’art romantique (1868), nella prima edizione di opere complete curata da Th. de Banville e Ch. Asselineau, con prefazione di Th. Gautier (1868-1870, 7 voll.). Ammirò moltissimo, per affinità di gusti e di temperamento, E.A. Poe, e ne tradusse l’opera narrativa e altri scritti (Histoires extraordinaires, 1854-1856; Nouvelles histoires extraordinaires, 1857; Aventures d’Arthur Gordon Pym, 1858; Euréka, 1864; Histoires grotesques et sérieuses, 1865). Le traduzioni da Poe e due nuove brevi raccolte di altre poesie (Les Épaves e Nouvelles Fleurs du Mal, 1866) furono le sue ultime fatiche, cui attese durante il suo forzato e ingrato soggiorno in Belgio (1864-1866), dove si era rifugiato per sottrarsi ai creditori, e da cui non tornò a Parigi se non per morirvi qualche tempo dopo.