Cento anni fa la nascita del Pci: una data da celebrare o da dimenticare?


AGI –  Cento anni fa il vento Rivoluzione russa del 1917 iniziava a spirare anche in Italia.  Al Congresso di Livorno del Partito socialista, infatti, la minoranza di sinistra rompe con il resto del movimento e fonda il Partito comunista d’Italia. E’ il 21 gennaio 1921 e ‘l’Avanti!’ saluta la scissione con un titolo al vetriolo: “L’inesorabile volontà di Mosca si è compiuta”.

La storia del Pci è durata 70 anni, ha attraversato diverse stagioni in cui il partito ha avuto varie evoluzioni. La data dello scioglimento è il 3 febbraio 1991, quando la maggioranza decide di chiudere la storia del più grande Partito comunista dell’Europa occidentale e di fondare il Partito democratico della sinistra. Per l’ultimo segretario del Pci Achille Occhetto, e per il suo omologo nella Federazione giovanile comunista Gianni Cuperlo, il Partito comunista ha svolto un ruolo “fondamentale” per lo sviluppo della democrazia italiana. Al contrario, secondo l’ex ministro socialista, Rino Formica, quella della nascita del Pci è una data da “dimenticare”. 

Dalla scissione di Livorno alla Bolognina

Il Pci del 1921 era sicuramente diverso da quello del secondo dopoguerra e poi da quello della ‘svolta della Bolognina’. L’ultimo segretario del Partito comunista italiano, Achille Occhetto, sottolinea che “a Livorno era nato un partito leninista, strettamente legato all’idea fondamentale di difendere la Rivoluzione russa”. Ma oggi “il Pci di cui parliamo tutti, è profondamento diverso, perché è quello rifondato dopo il 1945”. Un partito che, nel frattempo,spiega Occhetto, aveva modificato la sua “concezione dello Stato”, aveva un “differente il rapporto con la democrazia rappresentativa” e “concepiva la Costituzione non solo come legge da rispettare, ma come l’orizzonte nel quale collocare la via italiana al socialismo”.

Poi, aggiunge Gianni Cuperlo, con Berlinguer il partito si aprì “alla stagione dei movimenti, al pacifismo, ai germi della cultura ambientalista che si sarebbe sviluppata negli anni successi, all’attenzione per i diritti della persona”. E tenne la ‘barra’ della democrazia dritta “con il contrasto alla deriva eversiva, che si manifestò anche a sinistra in quegli anni”. 

Una lettura che, tuttavia, non convince Rino Formica. “Si tratta – chiede l’ex ministro del Psi – di una data da dimenticare o da celebrare? Io non sono un celebrante, ritengo che ebbe ragione Saragat quando fu chiamato ad esprimere un giudizio su fascismo e comunismo e disse: ‘il fascismo è la vergogna del capitalismo, il comunismo la tragedia del socialismo‘”. Formica, poi, invita ad approfondire “cosa fu il Pci tra il 1926 e il 1944, quando di fatto era la sezione italiana del Pcus. Il Togliatti che torna in italia nel 1944, era certamente il Togliatti della scissione del ’21, del Comintern, però è anche il Togliatti dell’Hotel Lux di Mosca”, uno dei luoghi simbolo delle ‘purghe’ staliniane. Dunque si faccia “uno sforzo per farci capire cosa fu il Pci tra il 1926 e il 1945, perché è la parte che poi spiega il dopo ’45: fu una vera adesione alla democrazia o fu semplicemente una accettazione delle condizioni che si erano create, in accordo col Pcus?”.   

Gli errori, a cominciare dall’Ungheria

Sia Occhetto che Cuperlo individuano, comunque, alcuni errori commessi dal partito. Per l’ex segretario del Pci la mancata condanna dell’invasione sovietica dell’Ungheria nel 1956 è il principale: “Siamo stati diversi ma non innocenti, perché abbiamo condiviso molte scelleratezze del blocco sovietico”, sottolinea l’ex segretario del Pci. “Allora – continua – ero segretario di un circolo universitario, avevo 20 anni, e scrissi il primo documento della mia vita con titolo ‘Il furore alberga nel cuore dei giovani comunisti'”.

Oltre a quell’evento, Cuperlo aggiunge: “Il limite fu l’errore di non avere ben compreso la svolta che stava investendo l’Occidente: le vittorie della destra con Thatcher e Reagan, aprivano la stagione del neo-liberismo e archiviavano quella dell’economia keynesiana. Ci fu un ritardo e un limite nella comprensione di questi processi e forse questo ebbe a che fare con il declino politico del partito”. 

Le opinioni di Formica da un lato e di Occhetto e Cuperlo dall’altro, divergono anche sul rapporto che il Pci ha avuto fino alla fine con il Partito comunista sovietico. “La critica vera al comunismo internazionale dell’Urss – attacca l’ex ministro – gli eredi del Partito comunista l’hanno fatta solo quando è caduto il comunismo internazionale. Non c’è stato un distacco prima del comunismo italiano, non è diventato revisionista, se non quando il Pcus scompare”. Ma Cuperlo, che si è iscritto al Pci nel 1976, sottolinea che, almeno la sua generazione “non ha mai messo in dubbio l’appartenenza all’Occidente, non ha mai subito il fascino delle società comuniste dell’est”. Dunque “la scelta di campo era netta per noi”. 

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Fonte: cronaca agi