Occhio critico rubrica a cura di Franco La Magna
L’orrore della guerra senza la guerra, attraverso la guerra evocata, apparentemente lontana. 1918: anno della vittoria. Notte. Boati sinistri, distanti. Cadaveri ammonticchiati. Il braccio d’un milite, creduto morto, si protende, uscendo da quelle salme ammassate, purulente, nauseabonde. Salvato si ritroverà in un ospedale militare, tra crumiri, vigliacchi ed eroi. Due ufficiali medici amici attendono alle cure dei feriti. Entrambi innamorati della stessa donna, sono moralmente ed ideologicamente antitetici sul giudizio dato alla “Grande guerra”: uno antimilitarista, umano e sodale con i combattenti, votato alle ragioni del sentimento e dell’umanitarismo, si prodiga per aiutare i feriti a non tornare al macello del fronte (“Perché li sto strappando ad una grande ingiustizia”, dice); l’altro, impietoso, spietato, prono alla necessità del dovere militare verso la patria asservita e calpestata dai crucchi, li rispedisce in prima linea non appena guariti. Un crumiro siciliano, di S. Maria di Licodia, accusato di automutilazione e autolesionismo, scoperto e denunciato viene fucilato, davanti a tutti, come terribile esempio. Lo strazio, il sangue, la polmonite, le epidemie. L’inferno descritto da Amelio in “Campo di battaglia”, presentato a Venezia, si sposta dalla linea del fronte agli ospedali militari, amalgamando la sofferenza collettiva dei poveri soldati – derelitti, colpiti, mutilati, sfregiati, sbandati, ignari delle ragioni del conflitto, provenienti dalle varie regioni (mantenuto l’uso dei vari dialetti) – con l’intensità introspettiva dei due medici amici. La ripugnanza e il totale rigetto per la guerra, mostrata nei suoi aspetti più nascosti e poco narrati, serpeggia tra le corsie degli ospedali abborracciati, i lamenti dei feriti, le fasciature insanguinate, i volti sfigurati, l’ombra sinistra della morte. Tratto dal romanzo “La sfida” di Carlo Patriarca, pubblicato da Rizzoli nel 2018, con la materia letteraria transcodificata in immagini il film si carica con la “mostrazione” d’una più palpabile, tangibile, tragicità, alternando con l’orrore evocato dagli spasimi delle corsie macchiate di sangue la vicenda dei due amici innamorati della stessa donna, ricordando il sovraneggiare dell’irrazionalità del sentimento, al di là delle pur stridenti diversità. Sceneggiato dallo stesso Amelio con Alberto Taraglio. Ottima l’intensa recitazione dall’intero cast (Alessandro Borghi, Gabriel Montesi, Federica Rosellini, Giovanni Scotti, Vince Vivenzio, Alberto Cracco Luca Lazzareschi, Maria Grazia Plos, Rita Bosello) e la ricostruzione ambientale (scenografia di Beatrice Scarpato); costumi d’epoca di Luca Castigliolo; fotografia di Luan Amelio Ujkaj; montaggio Simona Paggi; musiche Franco Piersanti, trucco Roberto Pastore.