di Antonio Pio Di Bari
Da ormai alcuni giorni è arrivata l’ufficialità dell’ennesimo colpo inglese, vale a dire Romero che parte in direzione Tottenham dall’Atalanta per un prezzo che si aggira intorno ai cinquanta milioni di euro che con i bonus potrebbero arrivare a sessanta. Nello specifico il club bergamasco ha pagato sedici milioni alla Juventus per acquistare Romero a titolo definitivo (dato che era in prestito la scorsa stagione), per poi andarlo a rivendere in questa stessa sessione di mercato per le cifre sopra indicate.
Il ragazzo classe 1998 è senza alcun dubbio uno dei migliori difensori in rampa di lancio sul mercato, a seguito di una buona seconda parte di stagione con la maglia del Genoa due anni fa e una grande annata con l’Atalanta conclusasi con un terzo posto, coronata dalla vittoria della Copa America con la sua Argentina. Il valore tecnico del ragazzo non si discute, e non può che aumentare grazie alla giovane età e alla permanenza in un club come quello di Londra, dove andrà a completare un reparto difensivo fresco e costruito con intelligenza dalla dirigenza, di cui fanno parte anche Gollini appena arrivato anche lui dall’Atalanta e Sanchez. Ma quella offerta dagli Spurs è veramente una cifra congrua al valore del giocatore?
Si tratta indubbiamente di un colpo improntato al futuro, che va ad ingigantire una valutazione che Romero potrebbe tranquillamente raggiungere nel giro di qualche stagione e quindi si può parlare di un rischio calcolato, come quello che si assunse il Liverpool prima di ingaggiare Virgil Van Dijk per una cifra che si aggirava intorno ai settanta milioni di euro per un calciatore mai stato realmente a grandi livelli, ma che ormai è uno dei difensori più completi in circolazione.
Liverpool, City, United, Chelsea sono solo alcuni esempi della potenza economica inglese, che nasce oltre che dagli investimenti dei singoli presidenti, grazie ad una spartizione equa degli introiti provenienti dai diritti televisivi a differenza di quanto accade in Italia dove ad esempio i diritti TV sono divisi con un sistema proporzionale tra le squadre del campionato, che porta solamente le big a giovare della maggior parte del capitale. Il modello inglese, per il quale la prima e l’ultima classificata possiedono un budget minimo uguale per tutti, permette di investire sul mercato, importando sempre più campioni e visibilità all’interno del campionato. Tale visibilità si traduce in un investimento ancora più grande delle televisioni nazionali e internazionali, che porta ad una crescita economica importante. In Italia o Spagna invece a poter investire sono sempre le più forti e ciò riduce anche il margine di errore per un affare alla Romero.
Possiamo ad esempio pensare alla crisi del Barcellona che negli ultimi giorni ha dovuto dire addio a Lionel Messi dopo ventuno anni di storia per ragioni finanziarie che hanno portato uno dei club più blasonati della storia a perdere quello che è il calciatore più forte di tutti i tempi. Le ragioni del dramma blaugrana si trovano nelle precedenti campagne acquisti fatte per rimpiazzare Neymar dopo la sua partenza per 222 milioni di euro, che hanno portato a scommettere cifre superiori ai 100 milioni su giocatori come Dembèlè, Coutinho, Griezmann, che non hanno mai fatto raggiungere al club i trofei e il denaro proveniente da essi come invece aveva fatto il brasiliano. Oltre tutto per competere con il modello inglese molte società hanno investito pesantemente sugli stipendi dei calciatori per convincerli a rimanere, portandoli a chiedere cifre sempre più alte, spesso precedute da un mancato rinnovo con il club di appartenenza, che costringe la società a piegarsi al volere di un giocatore o a lasciarlo partire a 0, come è ormai possibile a partire dal 1995 grazie alla sentenza Bosman.
In tutto ciò i procuratori dei professionisti giocano un ruolo fondamentale perché riescono spesso ad far ottenere ai propri i assistiti uno stipendio superiore al rientro economico che portano ai club. Dal 1995 inoltre con la possibilità dei parametri 0 non è raro vedere calciatori che lasciano le proprie squadre senza far incassare nulla dalla loro cessione, chiedendo però uno stipendio esagerato dato che hanno fatto evitare alla nuova società la spesa del loro cartellino.
Tutto questo si traduce in quella che è la crisi del calcio, fatta di esuberi che non riescono ad essere piazzati per i loro ingaggi faraonici come Ramsey della Juventus, Vidal dell’Inter, Abraham del Chelsea per citarne alcuni oppure in una girandola di parametri 0 che aggraveranno sempre di più i bilanci dei club e che finiranno a vestire le maglie unicamente delle formazioni più potenti dal punto di vista economico, creando uno squilibrio abissale nel mondo del calcio che porterebbe ad un disinteresse nel gioco più bello del mondo che si configura in una crisi economica ancora più grande dato la conseguente riduzione degli investimenti televisivi . Per questa ragione la soluzione escogitata dalle squadre in crisi più influenti del panorama calcistico è quella della Superlega: un’ipotesi di cui si è parlato questo inverno che prevedeva la nascita di un unico grande campionato, costituito da quindici grandi squadre europee più altre cinque scelte in base ai risultati ottenuti nei loro campionati nazionali, decantata come unica speranza per salvare il calcio, dato i pesanti investimenti che le televisioni farebbero per offrire la visione di match di alto livello ogni giornata. La proposta però è subito stata bocciata da molti tifosi di tutto il mondo perché andrebbe a togliere il merito sportivo per il fatto che i quindici club fondatori non potrebbero retrocedere in una eventualmente seconda divisione, senza contare che si andrebbero a sciogliere o sminuire competizioni nazionali ed internazionali storiche.
Esistono allora delle soluzioni per riprendersi dagli errori commessi in passato, aggravati dal Covid, per i quali si sta pagando il conto adesso? È ben intuibile come le televisioni giochino un ruolo fondamentale, ma queste basano i propri investimenti sull’interesse dei loro abbonati. La soluzione è quindi quella di riaccendere l’interesse della gente e per fare ciò l’adozione del modello inglese sembra la soluzione più adatta oltre all’istituzione di un fair play finanziario che vada ad agire imponendo un tetto salariale massimo direttamente proporzionale alle entrate dei club al fine di creare quanto più equilibrio possibile. Inoltre negli ultimi anni si sta puntando su quello che è conosciuto come campionato spezzatino, ossia partite distribuite i maniera quanto più omogenea durante differenti fasce orarie, dando la possibilità di assistere a quasi tutte le partite disputate nell’arco dell’intero weekend. Tutto ciò conferisce quella stabilità in termini economici e di valori in campo di cui il calcio ha bisogno per tornare ancora più grande