Calcio: Messi e quell’ottavo Pallone d’oro che sa di ‘commiato’ (2)


 Roma, 31 ott. – Nonostante le grandi prestazioni in Florida, però, la sensazione è che la serata di Parigi sia stata quasi un commiato, il modo migliore per onorare un campione che si è avviato verso la sua ultimissima parte di carriera e a cui il mondo del calcio ha voluto rendere omaggio per ciò che ha fatto. Sono infatti passati più di 14 anni dal suo primissimo Pallone d’oro e oltre vent’anni da quando il Barcellona, volgendo lo sguardo verso Rosario, si accorse di un ragazzino gracile, timido, di poche parole. Un ragazzino con un dono speciale per il calcio, con il baricentro bassissimo e la palla sempre attaccata ai piedi. Un ragazzino che aveva bisogno di crescere, fisicamente e mentalmente, e che poteva farlo solo smettendo la maglia del Newell’s Old Boys per abbracciare quella della ‘cantera’ catalana.
Di acqua ne è passata sotto i ponti da allora. E i trofei, sulla sua bacheca, si sono moltiplicati: 4 Champions League, 10 titoli della Liga, 7 Copa del Rey, 3 Mondiali per club, 8 Supercoppe spagnole e 3 Supercoppe europee con la maglia blaugrana. L’esordio sotto la guida di Frank Rijkaard e poi il sodalizio fortissimo con Pep Guardiola, ben coadiuvato da altri campioni come Andrés Iniesta, Xavi Hernández, Luis Suárez e Neymar. Con la squadra azulgrana, Messi ha segnato 672 gol in 778 presenze, un’enormità. Un giocatore a tratti imprendibile, devastante, tanto che fu lo stesso Pep Guardiola a celebrarlo quando disse: “Il Pallone d’Oro dovrebbe avere due categorie, una per Messi e una per gli altri”. E poi, in Francia, i due ‘scudetti’ e la supercoppa nazionale. Altre vittorie, altri salti in spogliatoio.
Quelli che temeva di non poter più fare con la Nazionale argentina dopo anni di delusioni, sconfitte, eliminazioni precoci. Tutto cancellato dal successo in Qatar, da quella Coppa alzata in cielo. Un successo atteso da anni che ha posto fine a una ‘maledizione’ incentrata sui paragoni con Diego, i dubbi sulla leadership, le mancanza dal punto di vista caratteriale, il presunto egoismo. Tutto spazzato via in sette partite nel torrido clima del Golfo. Messi tornerà ora a Miami per continuare a divertirsi, giocare e comunicare bellezza con un pallone tra i piedi. “Non voglio dimenticarmi di Haaland e Mbappé, che hanno fatto una stagione incredibile – ha detto riferendosi agli altri due giocatori finiti sul podio per il Pallone d’Oro -. Sicuramente entrambi nei prossimi anni si porteranno a casa questo premio. Ci sono tanti giovani di classe che in futuro ci porteranno grande qualità e un grande calcio”. Sembra un commiato, un saluto finale alla platea e un augurio a chi verrà dopo e che non sarà, questo è certo, mai come lui, ancora una volta ‘il più forte di tutti’.

Vincere il Pallone d’oro, l’ottavo della sua fantastica carriera, nell’anniversario della nascita di Diego Armando Maradona. Non c’era giorno più giusto per Lionel Messi per consacrarsi, ancora una volta, come calciatore più forte del mondo. La ‘pulce’ è tornata trionfalmente a Parigi per baciare un trofeo che, dieci mesi dopo aver sollevato la Coppa del Mondo, in Qatar, con la maglia della sua Argentina, non poteva che avere un sapore speciale. Ed è stato proprio il Mondiale in terra araba ad avergli dato la possibilità di guardare, ancora una volta, tutti dall’alto verso il basso. “L’unico trofeo che mi mancava”, ha ricordato durante la cerimonia. La stagione con il Psg, infatti, aveva attraversato chiaroscuri: momenti di gioia, come la vittoria della Ligue 1, e altri di profonda delusione, come l’ennesima eliminazione precoce dalla corsa alla Champions League. Messi era apparso triste, a tratti svogliato, lontanissimo da quello che faceva ballare i tifosi al Camp Nou di Barcellona, la sua vera casa calcistica. E la conferma è arrivata da Miami dove l’attaccante albiceleste è arrivato in estate inanellando gol, regalando magie e, finalmente, ritrovando il sorriso.