CALAMITÀ E SICUREZZA CHI PAGA?


Di Gian Antonio Stella

«Bella idea. Il rischio è che si pensi che sia una tassa sulla jella». Renato Brunetta dice di ricordare bene quando propose a Silvio Berlusconi l’introduzione di una polizza assicurativa che coprisse almeno in parte i danni dei disastri naturali spiegando gli effetti positivi che avrebbe avuto responsabilizzando di più i costruttori, le amministrazioni pubbliche e i cittadini e facendo crescere la cultura del rispetto delle regole e della manutenzione. Il Cavaliere stesso, in una lettera a Tremonti nel 2003, aveva scritto: «Non credo sia ancora possibile che l’italia rimanga uno dei pochi Paesi industriali dove lo Stato si assume l’onere di provvedere a rifondere per intero i danni prodotti dalle calamità naturali». Ma da qui a fare il passo in più. Proprio per questo e per altri precedenti come il coro di proteste che si levò contro Mario Monti nel maggio 2012, quando ipotizzò dopo il terremoto in Emilia una riforma della Protezione civile che prevedeva un piccolo balzello sulla benzina e un coinvolgimento nel rimborso danni da parte delle assicurazioni private («È la tassa sulla sfiga», tuonò Bobo Maroni), meritano attenzione le parole dette l’altro ieri da Luca Zaia a Marco Cremonesi: «Sarebbe utile mettere in piedi a livello nazionale una polizza catastrofale mutualistica per tutti. Un’assicurazione a prezzi calmierati che possa incentivare i cittadini a mettersi in sicurezza». Il tutto, onore al merito, due settimane prima delle Europee.
Il «Doge» veneto lo ha detto da una posizione di forza: i lavori ai grandi 23 bacini di laminazione in buona parte in funzione, lavori avviati dopo la disastrosa alluvione del novembre 2010 a Vicenza e dintorni, hanno evitato nei giorni scorsi al Veneto una catastrofe simile nonostante «il diluvio di 400 mm d’acqua concentrati in poche ore». Quanto basta a Zaia per ribadire: «Meglio spendere un miliardo per la prevenzione piuttosto che due, o chissà quanti, per riparare i danni». Parole d’oro. Scandite mentre Erasmo D’angelis su greenreport.it ricordava impietoso che in Lombardia il Seveso (El Seves fiùmm de Milan) «allaga dal basso perché è costretto a scorrere intubato sotto la città per circa 10 km in sezioni insufficienti per le portate di piena» e ha appena fatto segnare «la 120ª esondazione dal 1975». Di più: «La verità che fa male è che ad oggi solo la vasca del Parco Nord di Milano al confine con Bresso è stata realizzata, con lavori partiti a luglio 2020. Le altre che devono contenerlo lungo la pianura a nord di Milano, segnano ritardi cronici».
Che lo Stato fatichi sempre di più a farsi carico dei danni dovuti un po’ al Fato («La natura non è buona o cattiva: se ne infischia di noi», ricordò anni fa Renzo Piano, «Inutile chiamarla in causa. I terremoti ci sono sempre stati e sempre ci saranno. Ed è stupido fingere che non sia così») ma soprattutto allo sfascio del territorio amplificato dai cambiamenti climatici, è difficile da contestare. Tanto più in un Paese come il nostro dove su 58 milioni di abitanti più della metà vivono in aree esposte a frane, esondazioni, terremoti, bradisismi e dove la sola alluvione in Emilia-romagna, dice il report Aon 2023, è stata il «6º evento catastrofale mondiale per perdita economica, 9,8 miliardi di dollari, con perdite assicurate per 600 milioni di dollari». Con i governi via via affannati a recuperare annualmente miliardi su miliardi di «danni catastrofali» in costante crescita: 196 dal 1968 in Belice al 2023. Per i soli terremoti. Più gli altri disastri.
Un quadro che avrebbe dovuto spingere gli italiani a cogliere l’occasione Superbonus 110% per mettere il più possibile in sicurezza le loro case, soprattutto quelle più a rischio. Così non è stato: della massa spropositata di soldi denunciata in questi mesi da Giorgetti, ad esempio, nel 2021 solo il 3,74% è finito in migliorie antisismiche. Un ventisettesimo. Peggio: come ha ricordato Mario Sensini «l’agevolazione per i lavori di consolidamento statico assorbita dal Superbonus (…) non è mai stata monitorata. Anche se dal 2020 a oggi sono stati spesi una quarantina di miliardi di euro, soldi dei quali non si sa praticamente nulla». Una grande occasione perduta.
Fatto sta che il coinvolgimento dei cittadini nella presa di coscienza collettiva che è sempre più difficile pretendere che lo Stato si faccia carico di tutti i danni da catastrofi (qualunque Stato, fosse pure il più ricco e non avesse a che fare con un Paese come il nostro dove si sono accatastate case sui fianchi dei vulcani e negli alvei dei fiumi) si è fatto di anno in anno inevitabile. E la decisione del governo di introdurre entro il 2024 l’obbligo per le imprese di stipulare polizze contro gli «eventi catastrofali», contro i quali è assicurata oggi solo una minima parte delle aziende (le più grandi) va in questa direzione. In attesa, probabile, di un passo successivo con il coinvolgimento dei privati cittadini. Con quali tariffe per le aree a rischio, quali garanzie di copertura per le stesse compagnie in caso di apocalissi (l’uragano Andrew, scrive l’economista Sergio Vergalli, portò a fallire 11 compagnie obbligando a fare la sua parte anche uno Stato poco statalista come la Florida), quali coperture per le famiglie povere che spesso vivono proprio negli edifici più vulnerabili? È grande tema dei prossimi anni. Purché, si capisce, non si preferisca mettere la testa sotto la sabbia.

Fonte: Corriere