Butler. Questioni di genere. Il femminismo e la sovversione dell’identità. Un assaggio.


 

A cura di Paola Parisio

Judith Butler scrive “Gender trouble. Feminism and the Subversion of identity” nel 1990 ed è stato tradotto in italiano quattordici anni dopo con il nome di “Scambi di genere. Identità, sesso e desiderio”[1] e ventitré anni dopo con il nome “Questioni di genere. Il femminismo e la sovversione delle identità”[2]. La traduzione di Gender Trouble pone dei problemi specificamente linguistici irrisolvibili per la mancanza di un termine corrispondente in italiano. Ma trouble si riferisce a qualcosa che dis-turba il concetto di genere. È una dichiarazione implicita alla provocatorietà del testo. Il testo è provocatorio non solo rispetto alla comoda concettualizzazione dei rapporti tra sesso-genere-desiderio eteronormativi, conservatori e patriarcali ma anche nei confronti delle filosofie femministe che si sono sviluppate negli ultimi decenni. La critica al modello patriarcale ed eteronormativo è sicuramente il fil rouge che accompagna la decostruzione femminista del soggetto razionale maschio, bianco ed eterosessuale e del soggetto-oggetto donna come specchio hegeliano del maschio costruito storicamente e culturalmente in occidente. Butler fa un’accesa critica alle filosofe femministe, accusandole di aver prima criticato l’essenzializzazione del maschile e del femminile secondo certi canoni e poi costruito una speculare essenzializzazione dei soggetti senza tener conto del reale problema performativo del genere-sesso; in questo si trova evidentemente in disaccordo anche con Braidotti che invece si concentra molto sulla donna e le sue differenze nei confronti dell’uomo, delle altre donne, e di se stessa[3]. Butler osserva che il femminismo ha inconsapevolmente e ingenuamente attraversato la problematica di “genere” senza realmente decostruire il dualismo tra i “sessi”, reitelandolo semplicemente sotto un altro punto di vista. L’autrice, al contrario, si questiona sui rapporti tra genere, sesso, identità e desiderio cercando di trascendere la legge eterosessuale della sessuazione di matrice psicanalitica.   La psicanalisi è una teoria che si basa sull’eterosessualità normativa e che spiega l’omosessualità in chiave eterosessuale in quanto spiega l’omosessualità e tutte le altre forme intellegibili di esistenza come un “pervertimento del normale sviluppo psicosessuale”. L’esistenza del soggetto è di fatto composta da: sessualità, comportamento sessuale, sesso, esperienza, linguaggio, desiderio, genere e socialità. Secondo il paradigma classico, mentre sesso è anatomia, biologia, destino, il genere è una costruzione, e in quanto tale, libera e modificabile ma culturalmente codificata secondo una gerarchia che ha posto sempre la donna ai gradini più bassi della scala, insieme agli altri soggetti inintelligibili e alla natura. Il termine genere (gender – 1957; Money) si è diffuso negli anni ’70 in America grazie a correnti della sociologia che cercavano si “definire” le differenti “identità sessuali” che non hanno niente a che fare né con la biologia né con l’orientamento sessuale. Nella differenza sessuale troviamo due estremità composte dal potere sociale che crea una performatività comportamentale e dal potere linguistico che crea divaricazioni dualistiche. Il “genere” come categoria, non esiste se non come concetto astratto. La differenza sessuale è il luogo dell’interrogativo relativo al nesso tra biologia e cultura di dimensioni “psichiche, somatiche e sociali” o come l’ha definito Braidotti il luogo del “Simbolico a venire: il non-uno”. La voglia di tornare ad essere uno (paradossalmente) insieme all’altro, secondo il modello d’amore materno, quell’esperienza senza parole che tutti/e vivono nascendo, è la voglia di sopraffare e annullare la separatezza e l’inavvicinabilità dell’Altro, la distruzione dell’alterità. Questo primo amore è un amore perfetto, ideale, indifferenziato, oblativo ed è un amore incestuoso sia per maschi che per femmine e omosessuale per le femmine. Freud in “Disagio della civiltà e altri scritti” afferma che è sul tabù dell’incesto che si fonda la società, quindi per questa Legge, non scritta ma molto forte, che l’incesto non può essere attuato (neanche quello del complesso Edipico). Questo tabù procurerebbe un “pervertimento” del vero amore verso altre mete, eterosessuali e fuori dall’ambito familiare. In quest’ottica l’inconscio è il luogo della sessualità repressa e la sessualità è precedente la Legge (Seminario XX, sessualità femminile, Ancona; Lacan). Quindi è una sessualità pre-eterosessuale. La Legge che proibisce l’incesto istituisce legami di parentela specifici: la famiglia eterosessuale composta da madre, padre e figli (maschi preferibilmente) e la dislocazione di impulsi libidici attraverso il linguaggio che diventa la variegata produzione culturale di una sublimazione (dovuta alla proibizione dell’incesto) mai davvero soddisfacente. Questa “legge eterosessuale e eteronormativa” ha creato due tipi di soggetti: coloro che hanno il Fallo (gli uomini) e coloro che sono il Fallo (le donne). Le donne sono il “Fallo” che gli uomini desiderano e devono raggiungere per “avere il Fallo”. Essere il fallo significa essere allo stesso tempo donne, oggetto e strumento, essere significate dalla legge del padre che è una legge dell’uomo. La donna allora assume la posizione del “sembiante essere (fallo)”, ovvero della mascherata come dice Butler. Questa mascherata è lo strumento che serve all’uomo per riconoscersi, hegelianamente parlando. La “mascherata” vuol dire che c’è qualcuno dietro la maschera e bisogna quindi capire quanto la maschera è potente e quanto è potente l’essere che si nasconde dietro. Da una parte abbiamo la maschera che impone apparenza come l’apparenza di genere rivela, vuol dire “giocare al desiderio dell’uomo”. Vuol dire forse che è una produzione performativa di un’ontologia sessuale e vuol dire che, mettendosi quella maschera si afferma la negazione del desiderio femminile. Dall’altra parte invece troviamo l’essere: un soggetto che viene prima della maschera, un soggetto desiderante, una rappresentazione di un femminile ontologico che non trova spazio nell’economia fallica vigente. Irigaray si interroga: “cosa succederebbe se le “merci” tra loro si riunissero e rivelassero l’imprevista capacità di agire un’economia sessuale alternativa?”.   Ci si maschera (ci obbligano a mascherarci) per negare il desiderio sessuale femminile che, come sappiamo grazie agli studi psicoanalitici, inconsciamente è ritenuto come un desiderio insoddisfacibile che potrebbe “risucchiare” la vita che è stata donata e quindi donare la morte, è un desiderio potente. Ci si maschera dunque (si viene mascherate) per trasformare l’aggressione, che fa parte dell’amore, e la paura di una rappresaglia (fantasma del corpo materno onnipotente) in seduzione e flirt, in risarcimento narcisistico maschile. Il lesbismo che si è “smascherato” è un evidente rifiuto del maschile ed è per questo che il maschile (la Legge, il Simbolo, il Fallo) lo rifiuta, perché non gli permette di guardarsi allo specchio e riconoscersi, come Hegel intendeva, il maschile non esiste più in quanto non c’è più l’oggetto-soggetto che gli dà la possibilità di esistere. La sessualità lesbica viene negata come sessualità a sé stante tanto da essere diventata appannaggio di un desiderio maschile (uno dei fantasmi sessuali più diffusi al giorno d’oggi è quello di “convertire” (quasi in un senso religioso) una lesbica grazie alla propria capacità d’amatore). La lesbica, che in quanto donna è lo stampo dell’uomo, è l’essere fallo, che rifiuta l’uomo, si significa nel corpo rifiutante e diventa parte dell’identità del rifiutato come “rifiuto psichico” dell’uomo. La lesbica per essere “riconosciuta e accettata” deve essere letta in quanto “uomo” (butch) così da riportare la relazione omosessuale lesbica nella cornice dell’eterosessualità. Parimenti l’omosessualità maschile viene riconosciuta come una coppia in cui uno si “sente” donna che ama l’altro uomo, ancora riportandola all’eterosessualità, che fa meno paura perché è spiegabile. Il processo d’identificazione e di amore che si instaura e inizia tra la madre e il suo infante e che poi evolve nel complesso di Edipo, positivo e negativo, (presupponendo una bisessualità di base, innata) profila due “destini” simili ma per niente uguali, due percorsi con lo stesso presupposto ma con due tipi di esiti diversi che dovrebbero essere esaminati separatamente, ma che non approfondirò in questo luogo. […] Dovuto al tabù dell’incesto e dell’omosessualità le posizioni-predisposizioni sessuali sembrano primariamente effetti di una “predisposizione linguistica” letta come legge imposta dalla cultura e l’Ideale dell’Io creato come connivente a questa legge. Butler afferma che “le predisposizioni sono le tracce di una storia di divieti sessuali imposti che resta non detta e che i divieti cercano di rendere indicibile”[4]. Il maschile e il femminile come li abbiamo descritti vengono presentati come “essenze” ma sono semplice “costruzione culturale e sociale” perché rispondere alla domanda: “cos’è un maschio? Cos’è una femmina?” diventa una scommessa irrisolvibile.   Il femminile, il maschile, l’omosessualità, la transessualità, l’intersessualità restano, come lo sono sempre state, delle esistenze e bisogna vedere come esistono nel mondo nella loro specificità, una per ciascuna.   Un continuo e spontaneo interrogativo sorge nei confronti delle soggettività non normative in ogni verso. Dove per norma s’intende l’uomo bianco, eterosessuale, di classe medio-borghese, occidentale(individuo di classe A). Ci si potrebbe interrogare su qualsiasi altra combinazione. Un uomo nero, eterosessuale, di classe medio-borghese e occidentale che desideri, linguaggi, culture possiede? E in estremis una donna nera, omosessuale, povera e del terzo mondo ha desideri? Linguaggi? Cultura? Da dove provengono le rappresentazioni di amore, famiglia, legami, desideri che ci abitano? In fine interroghiamoci sui diritti di ogni persona. Ogni variante modifica profondamente la rappresentazione dei diritti che noi sappiamo non essere uguali per tutt*. Sappiamo che quando si parla di diritti si parla di un mondo utopico in cui “la legge è uguale per tutti (e tutte)” ma nei fatti ci sono individui di classe B (Butler) che a volte non hanno neanche il diritto alla dignità della morte e del lutto (per approfondimenti si veda: “A chi spetta una buona vita?”, Roma, Nottetempo, pp. 80).   L’attenzione è continua, il proprio collocamento è da tenere presente, è l’azione quotidiana di ogni singolo e ogni singola che aiuterà tutt* a vivere in un mondo più inclusivo.

 

Fonte: sinapsi.unina.it/