CATASTI ED ESTIMI
Il termine catasto è molto antico e la parola ha origine nel mondo greco e latino: dal greco bizantino κατάστιχον (katástikhon) “registro”, da κατά στίχον (katà stíkhon) “riga per riga” attraverso una forma venez. catastico (prima metà sec. XIV) e ital. catastro. Significava quindi un elenco, rassegna, inventario di proprietari e/o di beni sui quali applicare l’imposizione fiscale.
Volendo fare un po’ di storia della nostra civiltà mediterranea, possiamo dire che nell’oriente mediterraneo, dove ci sono le attestazioni più antiche, cioè in Babilonia, nell’Egitto, nella Persia, anche nella Grecia classica, non si può parlare di un vero e proprio catasto, esistevano sì forme di pubblicità dei trasferimenti immobiliari a scopo fiscale, ma il catasto è più che altro un archivio di contratti e transazioni
Fu a Roma che avvenne la svolta che portò a compilazioni riguardanti un certo numero di persone. In origine, nel mondo latino e greco il catasto corrispondeva a un’imposta per testa, un testatico, poi progressivamente si estese a comprendere esazioni di diverso tipo e scopo, individuali e non individuali, su beni immobili o mobili, ecc. Inoltre sono i Romani a definire e a rappresentare una mappatura catastale affine a quella che fu intrapresa molti secolo dopo. Le mappe dei Romani sono le formæ, o formæ regionis, in bronzo o rame, e le mappæ in lino. Essi si basavano sulle centurie, grandi quadrati di circa 710 metri di lato tracciati a partire da due assi cartesiani principali, il cardo e il decumano massimo; le centurie sono poi divise fra di loro sull’asse di vari cardini e decumani a partire sempre da quelli principali. Nella sostanza la mappatura romana non tiene conto delle proprietà, così come non tiene conto dei mutamenti, degli aggiornamenti, ma è una rappresentazione fissata nel tempo, per l’assegnazione delle terre, in particolare di quelle conquistate, mediante la suddivisione delle centurie in lotti rettangolari. Ogni forma dell’agro rappresentava la mappa catastale e nello stesso tempo anche il libro parcellare e era conservata in più copie, a Roma presso il Tabulario e l’Archivio Imperiale e nel municipium interessato della provincia romana.
La fine dell’impero romano segna un ritorno ad un accatastamento di tipo più descrittivo; i signori del medioevo redigevano i libri dei censi che sono elenchi di quanto i contribuenti dovevano loro corrispondere. Forme più evolute le possiamo trovare nel mondo normanno: ad es. il Domesday book dell’XI secolo in Inghilterra, oppure il Cedolario di Ruggero II nel meridione italico. Nel tardo medioevo e nell’età moderna, sono gli estimi a rappresentare la forma tipica dell’accatastamento, sono gli agrimensori a redigere gli estimi per conto degli stati e dei comuni. Possiamo ricordare la repubblica fiorentina, che istituisce un estimo nel 1427, lo stato di Milano all’epoca di Carlo V, Pier Luigi Farnese che stabilisce nel 1546 il compartito dell’estimo applicato nei Ducati 30 anni dopo.
Prima del secolo XVIII, catasto aveva un significato meramente descrittivo i cui contenuti variavano da ordinamento a ordinamento, da società a società; in sostanza si trattava di una rassegna qualsiasi di beni mobili o immobili con l’annotazione dei relativi possessori al fine di stabilire il loro carico fiscale. Con la seconda metà del XVIII secolo la parola catasto passava a significare quel complesso d’operazioni, di accertamento, di misura, di stima che servono a definire la consistenza e la rendita dei beni immobili (terreni e fabbricati; costruiti, nudi o coltivati) e le persone alle quali appartengono per ripartire, sempre, l’imposta fondiaria. Dunque diventa l’insieme degli atti e dei registri risultanti da queste operazioni, assieme a tutti i mutamenti, nello stato dei possessi e dei possessori. La funzione è tributaria cioè fiscale, ma anche civile, parzialmente probatoria. Con il passare del tempo la parola definisce addirittura l’ufficio preposto a tali compiti. In base al tipo abbiamo il cosiddetto catasto dei terreni che è relativo ai beni rustici (terreni ed eventualmente fabbricati rurali) e il catasto dei fabbricati, urbano e edilizio, che vale per i beni urbani.
Appurato che si tratta di attività legate alla riscossione di tributi, diremmo di imposte dirette, in base alle rappresentazioni, i catasti sono descrittivi o geometrici: i primi riportano solo dati e notizie, i geometrici invece consistono in una rappresentazione grafica in base alla quale i catasti si dicono: a) per masse e per culture, perchè evidenziano i seminativi, vigneti, pascoli, boschi; b) per singole proprietà, in cui sono evidenziati specificamente i singoli possessori; c) parcellari, raffiguranti i terreni e gli edifici in base alle particelle o parcelle di ogni comune preso in esame. La particella è l’unità fondamentale, è la porzione di bene immobile, terreno o fabbricato, rilevata in base a determinati requisiti che sono l’appartenenza ad un solo comune, a un solo proprietario, la destinazione d’uso, ecc.
L’ESTIMO
Per estimo s’intende la modalità di valutazione dei beni economici, insomma il modo di stabilire, in base a misurazioni e tecniche il più possibile affidabili, delle stime per finalità generalmente fiscali. Una modalità di estimo è quella catastale, che dal secolo XVIII si contraddistingue come il complesso delle operazioni volte a determinare il reddito di terreni o fabbricati. In antico era sia l’azione di stima sia il libro dove si registravano i dati provenienti dall’attività di stima. Come esistevano tante forme di tassazione esistevano varie categorie di estimo (personale o testatico, reale su tutti i beni, misto, rurale sugli abitanti e sui fuochi delle campagne, civile sugli abitanti delle città, ecc.); nei comuni italiani coloro che non corrispondevano le loro quote d’estimo perdevano la protezione del Comune. Rezasco per semplicità afferma che esistevano estimi sugli immobili, su beni mobili e guadagni o rendite, sulle teste. Per molto tempo il termine è stato sinonimo di catasto, fino a quando quest’ultimo non ha assunto delle precise caratteristiche legate alla ricognizione e tassazione dei beni immobili.
IL CATASTO GEOMETRICO PARTICELLARE
È all’inizio del XVIII secolo che si introduce il catasto geometrico particellare, rappresentato graficamente sulla base di unità elementari di possesso sulle quali si valuta la redditività degli appezzamenti. Carlo VI d’Asburgo per il suo impero e per lo stato di Milano inizia nel 1718 lavori di accatastamento particellare e Vittorio Amedeo II di Savoia nel 1728 decide la costituzione del catasto piemontese. A Milano è Maria Teresa d’Austria, nella seconda metà del ‘700, a finire il lavoro di accatastamento; a ciascuna particella viene attribuita la tariffa d’estimo dopo aver assegnato a questa la qualità e la classe. Anche nei Ducati di Parma e Piacenza il ministro Du Tillot (1759-1771) tenta d’introdurre il nuovo sistema ma ne fu impedito.
Quando Napoleone conquistò gran parte dell’Italia si trovò di fronte alla frammentazione dei catasti e nel 1807, con un editto, volle l’istituzione per l’intero territorio del Regno italico di un nuovo catasto dotato di precisi parametri: fogli di formato rettangolare, prescrizioni nelle coloriture, segni convenzionali, il modello del sommarione che indicasse numeri, possessori, qualità colturale, classe di produttività e superficie degli appezzamenti. Caduto Napoleone, il congresso di Vienna non tornò indietro e i vari stati italiani proseguirono nei lavori di misurazione di accatastamento; in particolare a Parma e Piacenza Maria Luigia portò a termine il catasto geometrico particellare.
L’accatastamento piacentino seguì i procedimenti di misurazione e di stima delle terre. Dapprima ingegneri e geometri individuarono le sezioni di ogni comune ed effettuarono le triangolazioni, quindi passarono alla tracciatura delle particelle e all’annotazione dei proprietari e della natura delle coltivazioni (la cd. “levata” del piano particellare). La scala standard è 1:2500, mentre per i quadri d’unione si adotta solitamente la scala 1:5000. Si passano poi a redigere il “piano particellare” (prontuario) sezione per sezione e il “quadro indicativo” dei proprietari e delle proprietà ordinato topograficamente. Con la stima si stabilisce la base imponibile (rendita netta) quindi l’imposta corrispondente. Sono valutate in modo differente le terre e gli edifici. Qui sono all’opera i periti che, tra l’altro, classano le varie particelle dopo averle classificate secondo la loro natura.
IL CATASTO ITALIANO
Lo Stato unitario italiano si pose l’obiettivo ambizioso di accatastare l’intera penisola, cosa che riuscì solo dopo molti decenni. Al momento dell’unificazione i catasti ufficiali in vigore erano 24, raggruppati in 9 compartimenti territoriali fra cui quello dei Ducati di Parma e Piacenza; solo 15 erano geometrico-particellari e uno di questi, il Sardo, con rilievo a vista; 5 erano descrittivi, fra cui il Napoletano e il Siciliano; 4 erano geometrici per masse di proprietà.
Nel 1864 la cosiddetta Legge sul conguaglio provvisorio tentò inutilmente di equiparare in tutto il Regno l’imposta fondiaria, mentre si cominciarono a scindere gli immobili urbani (edifici) da quelli rurali (terreni) giungendo ad istituire il Catasto Urbano nel 1877. Nel 1881 furono creati, al posto degli Uffici Tecnici per il Macinato, gli Uffici Tecnici di Finanza e nel 1886 la Legge Messedaglia varò ufficialmente il Catasto Terreni e il Catasto Edilizio Urbano secondo la regola uniforme del geometrico particellare. Il primo accatastamento italiano è compreso tra gli anni 1874 e 1886; nel 1923 vengono riviste le tariffe una prima volta (prima Revisione generale del catasto). Agli Uffici Tecnici di Finanza si sostituirono nel 1936 gli Uffici Tecnici Erariali, denominazione che mantennero fin quasi ai giorni nostri.
Nel 1939 si costituì il Nuovo Catasto Edilizio Urbano (N.C.E.U.), secondo il rilevamento topografico dall’alto (aerofotogrammetrico), ma ci vollero più di trent’anni per metterlo a punto. Dello stesso anno è la seconda Revisione generale del catasto, che comporta importanti modifiche nel metodo di valutazione, a cui seguirono la terza (1979) e la quarta (1990) con le quali si aggiornarono ancora le tariffe. C’è da dire che nel N.C.T. (1876) e il N.C.E.U. (1939) vanno a regime – si dice che entrano in conservazione – rispettivamente nel 1956 e nel 1962. Dal 1984 i due Catasti sono completamente separati e vengono avviate la meccanizzazione e l’automazione del catasto. Il Catasto dei Fabbricati (C.d.F.) aggiorna il N.C.E.U. ed è esteso alle unità immobiliari rustiche.
CESSATO CATASTO DEL DUCATO PIACENTINO (presso l’Archivio di Stato di Piacenza)
Per convenienza parliamo di un Catasto Ducale (fondo Catasto dei ducati di Parma, Piacenza e Guastalla, Ducato di Piacenza) e di un Catasto italiano (fondo Catasto della provincia di Piacenza) che però hanno in comune le mappe. L’impianto risale all’epoca napoleonica (1807) e i lavori si arrestano nel 1814. Riprendono nel 1816 e nel 1821 i Ducati sono distinti in distretti mentre la catastazione dei comuni fino ad allora tralasciati viene appaltata a ingegneri milanesi e parmigiani. Nel 1825 sono terminate le mappature su quasi tutto il Ducato e nel 1838, con il Presidente delle Finanze Vincenzo Mistrali, i lavori sono da considerarsi finiti. La rilevazione di questo catasto sopravvive fino al 1954 quando viene rilevato il nuovo. Tuttavia, il Catasto Italiano inizia in pratica dal 1875 quando di delinea la distinzione fondamentale fra terreni e fabbricati.
Soffermandoci sulle oltre 1500 mappe catastali, in scala 1:2500 (o 1:1250) mentre in genere quelle del catasto italiano sono 1:2000, esse sono all’interno suddivise per lettere, a differenza del nuovo Catasto che invece utilizza le cifre. Si parte per ogni comune dai quadri di unione sui quali si individua il toponimo o l’area d’interesse. Da qui si passa alla corrispondente mappa sulla quale s’individuano le particelle.
Si passa poi ai registri catastali, i principali dei quali secondo il sistema francese sono il Prontuario dei numeri di mappa (Sommarione) e la Matricola catastale (Partitario dei possessori con indicazione del tributo).
Sul Prontuario corrispondente alla sezione topografica interessata si risale al numero di particella e al nome del proprietario al momento dell’impianto. Con questo nome si passa quindi al Partitario possessori ordinato per cantoni e si seguono i successivi passaggi.
Fonte: archiviodistatopiacenza.beniculturali.it/