Blackout in salsa british


Commedia recitata alla cieca, fra strusciamenti, spinte, equivoci e promesse tradite

di Alfio Chiarello

Una commedia frizzante costruita su equivoci e scambi di identità, dal gusto indiscutibilmente british nell’ambientazione e nella comicità. Black Comedy, del commediografo britannico Peter Shaffer -in scena fino al 2 marzo al teatro Brancati di Catania diretta da Nicasio Anzelmo- è una farsa corale e rocambolesca ambientata a Londra, nell’appartamento di uno scultore di belle speranze, Brindsley Miller, al quale si offre la possibilità di mostrare le sue opere a un collezionista miliardario, Georg Bamberger. Il giovane concorda con la fidanzata, Carol Melkett, di sottrarre un po’ di mobilia dall’appartamento del vicino, Harold Gorringe, assente momentaneamente da casa, per il tempo strettamente necessario a impressionare positivamente il possibile acquirente, ma anche il padre di lei, un colonnello in pensione, che intende sottoporre a esame il futuro genero prima di dare il suo assenso alle nozze.
All’improvviso, però, salta un fusibile e la casa piomba nel buio. Sfidando l’oscurità, arrivano nell’ordine: una vicina astemia terrorizzata dal buio, il padre della ragazza, il vicino antiquario gay rientrato in anticipo, la precedente fidanzata dell’artista, Clea, che non sa che lui sta per sposare un’altra, un operaio della compagnia elettrica che parla con accento tedesco e viene scambiato per il ricco collezionista e, solo alla fine, il vero miliardario. Nove attori per una commedia recitata alla cieca, a tentoni e spinte.
Nella finzione scenica, gli attori non si vedono e muovendosi nell’appartamento, danno vita a una serie di gag esilaranti, inciampando, ruzzolando, scontrandosi, e incorrendo in qualche innocente strizzatina (non degli occhi) e in qualche incolpevole tamponamento (non di auto), senza grosse conseguenze per loro, ma travolgenti, sul piano del divertimento, per il pubblico. Malgrado il titolo, Black Comedy non presenta elementi di “noir”, tutt’al più si può pensare a un’abbreviazione del termine blackout, essendo lo spettacolo per quasi per tutta la sua durata calibrato sulle caratteristiche (comiche) dei personaggi al buio.
“Il testo, dice il regista Nicasio Anzelmo, porta il timbro leggero che è tipico della commedia anglosassone, con situazioni paradossali e comportamenti bizzarri, un testo di raffinato divertimento per il pubblico e per gli attori”. E’ il caso di miss Furnival (Maria Rita Sgarlato), nella sua metamorfosi da puritana astemia in scatenata “assaggiatrice” di gin a garganella. Ma non solo. Tutto il meccanismo della commedia è ben rodato e il testo offre una serie inesauribile di spunti. Quello offerto da Clea (Anita Indigeno), per esempio, che irrompe proprio quando la vis comica affidata all’alterco fra Miller e il colonnello Melkett si stava affievolendo, e fingendosi la donna delle pulizie inizia a svelare dettagli scomodi, che lasciano i Melkett ammutoliti. Così come quello dell’antiquario Gorrige (Franco Mirabella), con le sue innumerevoli smanie e i suoi mille tic.
Del resto non è certo un caso se l’opera di Shaffer, che risale al 1965, ed è stata rappresentata nei più prestigiosi teatri compresi Londra e Broadway (in Italia arrivò due anni dopo, con la regia di Franco Zeffirelli), continua a riscuotere lusinghieri successi. Nell’allestimento di Anzelmo, tutt’altro che nuovo a regie di testi anglosassoni, così come di commedie brillanti, fa capolino anche un pizzico di Pirandello (riteniamo consapevole e voluto) nella capacità di vedere oltre la maschera che è precipuo di Clea, e che stride sonoramente con la fatuità del duo Melkett .
Del tutto convincente la parformance degli attori. Oltre a Maria Rita Sgarlato, Franco Mirabella e Anita Indigeno, già citati, Filippo Brezzaventre, impeccabile colonnello Melkett, Giovanni Rizzuti (Brindsley Miller), Lucia Portale (Carol), Claudio Musumeci (tecnico inviato dalla compagnia elettrica per ripristinare la luce) e Francesco Rizzo (Bamberger). Musiche originali di Matteo Musumeci.