AGI – La discografia italiana si scatena anticipando di un paio di settimane lo tsunami sanremese. Fuori il nuovo singolo di Laura Pausini, che continua ostinatamente ad essere Laura Pausini nonostante il brano sia scritto con il supporto di Madame. Magnifico Cesare Cremonini che nella title track del suo prossimo album disegna un bellissimo mondo al femminile. Malissimo Tommaso Paradiso, come al solito totalmente sbronzo di se stesso.
Elisa, in riscaldamento per il festivàl, butta fuori due ottimi brani, mentre Franco126 un’EP in cui viene nuovamente fuori quella splendida capacità narrativa che sa al contempo di vecchio e nuovo. Semplicemente imbarazzanti Wayne Santana e Niko Pandetta, questo mondo già malato non si merita anche queste manifestazioni di bassezza.
AGI – Bravi i Rovere e Generic Animal, bravissime Marta Tenaglia e MIGLIO, tornano in gran forma i Moseek e Giorgio Consoli, ma la chicca della settimana è il disco di Senza_Cri. A voi tutte le recensioni di questa settimana. Laura Pausini – “Scatola”: Laura Pausini che canta un pezzo scritto (anche) da Madame e prodotto (anche) da Shablo fa pensare a penosi inseguimenti in cerca di un sound più attuale.
Tutti i pausiniani là fuori possono tranquillizzarsi, nonostante il tocco della giovanissima rapper sia facilmente individuabile per un orecchio attento, il noiosissimo pop melodico della Pausini ha vinto ancora, il brano ricalpesta quel piattume di intenti artistici che ci viene propinato da anni con feroce sfacciataggine.
Quando si parla della Pausini ci sentiamo come Leonardo Di Caprio nel dibattutissimo “Don’t Look Up”, l’asteroide extrapop sta arrivando, tu provi a spiegare qual è il pericolo, cosa c’è di sbagliato in un asteroide in rotta di collisione con la Terra, e il mondo, invece di spaventarsi, applaude
Cesare Cremonini – “La ragazza del futuro”: Un brano ottimista, Cremonini disegna il futuro a forma di donna, lo riempie di delicatezza, di quella forza gentile e ostinata, ogni singolo spigolo di ogni singola immagine viene smussato dalla bellezza di cui solo le ragazze sono capaci. Ci spera forte Cremonini, tende la mano quando vede quella ragazza camminare “sopra il pavimento instabile del mondo”, come a voler dire che in ogni caso nessuno se la cava da solo, neanche quando si balla (e in questo pezzo si balla). Questa è la canzone che da il titolo al prossimo disco di Cremonini, è questa l’umanità che vuole trattare, quella che orbita nei limiti del possibile e che comunque traduce l’impossibilità del sogno in realtà.
Elisa – “A tempo perso” / “Show’s Rollin”: Elisa è sempre stata un po’ avanti, è stata inglobata nel pop più accessibile ma è riuscita a mantenere sempre una propria cifra, una raffinatezza mai sporcata da certa sguaiatezza televisiva. Con “A tempo perso” in qualche modo si raggiunge, la sua voce si dimostra tra le poche femminili che riescono ad incastrarsi alla perfezione in un sound più nuovo senza stimolare languidi sussulti di pena. In “Show’s Rollin” gioca con voce e sonorità, con tempi e ammiccamenti al pop da classifica americana, quello fatto con un’attenzione maniacale affinchè “suoni”. Infatti suona, e anche da Dio.
Tommaso Paradiso – “Lupin”: Avete presente quando Corrado Guzzanti imitava Antonello Venditti? Ecco, l’effetto nell’ascoltare questa “Lupin” più o meno è lo stesso: sembra la parodia di una canzone di Tommaso Paradiso, neanche la peggiore, poi però ti ricordi che è veramente Tommaso Paradiso a cantare e che si sta anche prendendo tremendamente sul serio. Un pezzo musicalmente assai povero sopra il quale vengono sciorinate immagini a casaccio.
Franco126 – “Uscire di scena”: Il progetto di Franco126 comincia a farsi alto, a crescere con la disinvoltura di chi fa musica non perché vuole ma perché non può farne a meno, perché c’ha delle cose da dire che gli bruciano nel petto. Questa sorta di trascinante svogliatezza nel cantato che crea un’atmosfera distopica rispetto all’estrema solidità di ciò che racconta, la poetica smaccatamente capitolina che bilancia un’essenzialità nel sound mai fine a se stessa. Franco126 è il manifesto di questo nuovo pop che prende ciò che artisticamente ha attecchito del passato e lo tira per la coda fino a se stesso, e non lo rende attuale, lo rende attualità
Wayne Santana – “Succo di zenzero vol.2”: Sinceramente è forte l’istinto di fermarsi alla traccia numero 5, l’irrinunciabile “Minkia”, brano in cui Wayne Santana campiona “Ciuri ciuri” e ci delizia con i seguenti versi: “Minkia non posso avere un infame in famiglia/ perché sai che vengo dalla Sicilia”. Che non è tanto l’ingrassamento di uno stereotipo falso, ridicolo, nonché decisamente offensivo, quanto la dimostrazione palese che molti di ‘sti ragazzetti non hanno uno straccio di idea artistica, la vita di strada l’hanno vista solo nei film sbagliati, impacchettano questi imbarazzanti soliloqui in salsa trap, danno fiato alla bocca e non è nemmeno sto gran bel sentire. Ma poi, tranquilli, il senso del dovere ci ha spinti ad arrivare fino alla fine, perché certe volte l’amletico dubbio tra umido ed indifferenziata ci perseguita e serve capire a quale destino affidare quella parte della nostra vita che non vogliamo mai più rivedere.
Niko Pandetta – “Bella vita”: Il ritorno dell’inventore della trapelodico, cioè l’affascinante mix tra trap e neomelodico, cioè come fare due generi senza saperne fare uno. Questo perché, a scanso di equivoci, sia la trap che il neomelodico forniscono molti interessanti spunti di riflessione; non naturalmente quando vengono denudati dalla loro valenza musicale. Ecco, questo disco è talmente brutto che fa il giro e diventa tragicomico, quasi intrigante, meriterebbe uno di quegli strepitosi documentari di Franco Maresco, quelli in cui il regista palermitano indaga il grottesco, stuzzicandolo come si fa davanti ad un acquario con i pesci. Ascoltarlo è certamente un’esperienza mistica che vi potrebbe ricongiungere con ciò che di più interiore nasconde la vostra anima, per intenderci, quello che solitamente per far venir fuori più che un percorso terapeutico basta un Topolino a portata di mano.
Il Pagante – “Devastante”: Un disco non particolarmente raffinato, ma particolarmente divertente. Si balla tanto, si sorride tanto, sono azzeccate le immagini, sono azzeccati i featuring, specie quello con Vegas Jones e Chadia Rodriguez. Il Pagante vive in un mondo dai confini ben definiti, è un progetto chiaro e quando i progetti sono chiari sono inevitabilmente facili da intercettare, comprendere. Certo, a tratti il trash, volutamente pasciuto, sfiora il divertissement, ma nella musica di oggi serve prima di tutto essere onesti, e il trio è certamente onesto, e avere senso, e la loro musica ha certamente senso.
Tancredi – “Golden Hour”: Non è un disco brutto, è semplicemente un disco inutile. Se sia più grave che un disco sia brutto o un disco vi rubi il tempo di otto brani (sette dei quali, tranquilli, non toccano i 3 minuti) decidetelo pure voi. Un’EP che non racconta niente, i testi sono scritti con colpevole leggerezza, come se non ci fosse non solo la capacità, ma nemmeno troppo la voglia di alzare un’asticella che già non è che stia proprio ad altezze irraggiungibili. È pop dimenticabilissimo, lo ascolti e ti viene in mente quanto sia sottovalutata, come funzionalità, l’utilità.
Rovere – “Crescere”: Ballad nostalgica che richiama una coperta, una cioccolata calda e una finestra attraverso la quale guardare il cielo. Un’analisi intima ma allo stesso tempo coinvolgente, che ci riguarda tutti, come se fosse un passaggio obbligato attraverso una galleria sulla nostra strada. Forse il miglior brano di una band che di pezzi “migliori” ne ha già un bel po’.
Blind – “Non mi perdo più”: Niente di nuovo sotto il cielo. Strofa rap, ritornello cantato, nessuno spunto in termini di musica o di contenuti. Romanticismo da terza media, nessuna incisività, non è che ci aspettassimo molto di più, perché questo succede quando un talent invece di inseguire il talent insegue quello che piace a chi guarda il talent da casa in televisione.
Generic Animal – “Piccolo”: Un EP coinvolgente, non dev’essere facile essere Generic Animal, tenere in equilibrio le incertezze del ragazzo e le paure dell’uomo. Lui non solo ce la fa, ma condisce tutto con una produzione dei brani perfetta, sofisticata, in cui la batteria ti suona in testa come il battito del cuore di chi sta riflettendo e non ne esce. Bravissimo.
Tenth Sky feat. Ariete – “Capelli blu”: Canzone molto teen di due ragazzi molto teen che però portano un’idea un po’ più articolata, solida, diversa, di pop. Un duetto venuto proprio bene in cui le voci si intorcigliano tra di loro in scioltezza come i fili delle cuffiette e tu vieni trascinato per le orecchie in tempi che non ci sono più e storie che non ci sono più, in mezzo ai ricordi, ai fantasmi, con i quali ormai hai talmente confidenza, che ci bevi una birra come se niente fosse. Bravi.
Gomma – “Zombie Cowboys”: I Gomma sono i veri eredi di quella generazione di indie che vedeva tra i suoi protagonisti i Verdena, i Teatri dell’Orrore…che è una scena mai abbastanza celebrata in tutta la sua complessità; nonostante chi vi scrive non si sia mai strappato i capelli per nessuna delle suddette realtà. Oggi manifestarsi sul mercato con questo piglio arrabbiato, issando muri di schitarrate elettriche old school, è da coraggiosi. Il disco in sé ha la caratteristica, ottima, di centrare chirurgicamente il punto, di urlare con voce graffiata tutta la tensione che evidentemente ribolliva nello stomaco. Proprio bravi.
Cecco e Cipo – “Con permesso”: Un disco dal romanticismo sconsiderato, perturbante, meraviglioso. Che piacevolezza ascoltare artisti che hanno la profonda volontà di fare bella musica, di sperimentare, di andare oltre se stessi; pur con il senso dell’umorismo che a Cecco e Cipo non è mai mancato e che si può anche trasformare in malinconia, farsi pungente e dissacrante. Perché tutto fa arte, quando la materia è trattata con il rispetto che le si deve; nella musica di Cecco e Cipo tutto è perfettamente bilanciato, ci sono canzoni belle e ci sono canzoni veramente molto molto belle.
Dutch Nazari – “Fiore d’inverno”: Svolta vagamente RnB per Dutch Nazari, uno di quei rapper che accarezzano l’essenza urban dell’Hip Hop per provare a portarla in universi più eterei e accessibili. In questa “Fiore d’inverno” ci riesce perfettamente.
Marta Tenaglia – “Osmanto”: Il futuro del pop italiano passa dalle Marta Tenaglia, da questo approccio così moderno alla canzone, da questa capacità di giocare con suoni e interpretazione, di mettere insieme la forza del cantautorato classico, strutturato, inattaccabile, e una strumentazione computerizzata, un intento visionario. Marta Tenaglia è certamente uno dei più sbrilluccicanti talenti che si sono messi in mostra negli ultimi anni, se non fossimo costretti, chissà da cosa, chissà perché, a perdere tempo con la musica da copertina patinata, ce ne saremmo accorti in tanti di più. Ma c’è tempo.
MIGLIO – “Manifesti e immaginari sensibili”: La musica come inarrivabile forma di espressione, un linguaggio chiaro e cool quello di MIGLIO, altro fenomeno del sottobosco musicale italiano al femminile. L’EP è perfetto, 6 brani di viaggi che vengono dalla città e suonano come interstellari, di umane storie, di immagini che si intersecano piacevolmente come in un collage fatto bene, di quelli che raccontano interi pezzi di vita e in qualche modo ti tagliano in due il cuore. Fatevi un regalo e ascoltatelo sto disco, ne vale veramente la pena.
VV – “Veleno”: Forse il brano più maturo della talentuosa ragazza della Maciste Dischi; quello più ponderato, meglio costruito, più intrigante, in cui il gioco musicale tech, moderno, di produzione, bilancia un’espressività così ben messa in mostra, un’inquietudine volutamente mal celata che non si risolve con “Ridere, ridere, ridere”, e lei con queste parole infatti ci compone un ritornello che è quasi uno sbeffeggio. Bravissima.
Gemello – “La quiete”: In un momento in cui il rap è ampiamente assorbito a tutti i livelli e chi non lo ha capito è perché non l’ha voluto capire, è molto interessante andare a scoprire chi prende in mano questa “cosa” per farne qualcosa di diverso. A primo ascolto il disco di Gemello potrebbe sembrare un’ulteriore, ennesima, via di mezzo tra rap e pop, poi stando più attento scopri che del pop c’è solo l’intento poetico, cantautorale, del rap la struttura, la capacità di chi fa quello che fa con estremo mestiere. Dentro “La quiete” ci trovate tutta la poesia, il sentimentalismo, che manca ad un’intera generazione di nuovi fenomeni che però, ahiloro, ancora non hanno fatto i conti con il lato pesante della vita; questo infatti è un disco certamente adulto dove l’impressione è che ognuno possa trovare ciò che sta cercando.
Davide Zilli – “Psicanaliswing”: Disco d’altri tempi, Davide Zilli mantiene in vita quella poetica surreale, quell’umorismo dissacrante del teatro musicale, quello che richiama a Jannacci e a Gaber. Il sorriso bilancia la nostalgia, lo swing immagini che sanno di bianco e nero; ci si potesse trasferire dentro un disco di Davide Zilli lo faremmo all’istante. In compenso però possiamo ascoltarlo ed è già una gran cosa.
Giorgio Consoli – “Autoritratto”: Qual è il confine tra musica e teatro? Tra il testo di una poesia e quello di una canzone? Con “Autoritratto” prova a dare una spiegazione Giorgio Consoli, attore e anche cantante, entrambe le attività svolte con un talento fuori dall’ordinario. Si tratta di un brano parlato, o meglio, di un parlato che suona come un cantato, ma soprattutto, appunto, di un “Autoritratto”; non suo, ma che riguarda tutti, che traduce in immagini reali, riflesse in qualsiasi specchio del mondo, la poesia che alberga anche nel cuore dei peggiori, quella che sotterriamo, con la quale non troviamo mai alcun compromesso e della quale, molto spesso, ci dimentichiamo. Ma sta lì. E se c’è una cosa per la quale dovremmo sempre rendere grazie a qualsiasi espressione artistica, è la capacità alle volte di ricordarcelo.
Moseek – “Fire”: I Moseek vivono su un altro pianeta, probabilmente lì si saranno cacciati negli ultimi anni per ponderare questa mina di nuova canzone. Si consiglia l’ascolto al centro della stanza, lontano da mobili e ninnoli vari, chi ha i capelli lunghi li lasci ondeggiare per la stanza, chi non ne ha faccia ciò che può per dimenarsi. “Fire” è una liberazione in musica, l’ascolto vale un’ora di stretching, sentirete le ossa scricchiolare e la vista appannarsi. E sarete felici.
Senza_Cri – “Salto nel vuoto”: Disco strepitoso, vivo, intrigante. Senza_Cri si presenta e, nonostante il nome d’arte, ne mette dentro di Cri, anzi, è quasi se fosse un autoritratto, scorgiamo tutti i dubbi, le ferite, la rabbia, la passione, le storie, la concezione dell’amore, dell’esistenza di Cri. E ci piace. Assai.
Varisco – “Tre (martedì)”: Una nostalgia trascinante, quella delle tre di notte, quando tutto si calma e i demoni non si lasciano più dribblare. Quella delle notti insonni, imbambolati fumando dinanzi alla finestra, chiedendosi che vita fa chi in quel momento passa in macchina sotto casa, dove viene, dove va, chissà se sti sta chiedendo la stessa cosa di te, chissà se qualcuno di quelli potrebbe nascondere sotto il sedile passeggero una parola di conforto, una soluzione plausibile, una carezza che ti faccia chiudere gli occhi sereno. Varisco è un interessantissimo cantautore, qualcosa nelle sue interpretazioni tocca corde solitamente complesse da raggiungere.
Source: agi