di Stefano Ceccanti
La relazione del 18 marzo scorso del Presidente della Corte costituzionale Augusto Barbera sull’attività del 2023 dell’organo che presiede mette in guardia contro forme anomale di attivismo giudiziario. La prima di esse è ravvisata nella tendenza dei giudici a risolvere da soli i casi relativi alla normativa interna in luogo di rimettere i dubbi di costituzionalità alle decisioni della Corte costituzionale. Qui Barbera ricorda puntualmente che il Costituente, per esigenze di certezza del diritto e di prevedibilità delle decisioni, aveva deciso di organizzare un sistema accentrato di giustizia costituzionale. La tendenza a decidere in proprio era stata favorita dalla Corte stessa in una fase storica in cui le sentenze erano lente rispetto ai casi che le venivano poste, ma è andata ben al di là di quanto previsto originariamente.
Il problema delle interpretazioni “costituzionalmente orientate”
Le cosiddette interpretazioni “costituzionalmente orientate” decise direttamente dai singoli giudici non possono essere assunte in nome di vaghi riferimenti alla Costituzione, che danno luogo a orientamenti divaricanti tra giudice e giudice e oscillanti nel tempo e che non hanno quindi, come necessario, un’efficacia erga omnes. L’accesso diffuso alla Corte da parte dei giudici è la vera garanzia e non “l’attività interpretativa orientata direttamente ai valori costituzionali (o ritenuti tali)”. Si noti le parole tra parentesi.
Tra diritto interno e diritto dell’UE
La seconda tendenza porta a risultati analoghi nell’ambito delle antinomie tra diritto interno e diritto europeo. È vero che in questo caso c’è un terreno arato e una base di legittimità riconosciuta che porta a disapplicare le normative interne anche successive in quanto non competenti rispetto a quelle dell’Unione riservatele dalle competenze stabilite nei Trattati. Però il problema esiste perché la contraddizione deve essere puntuale, effettiva, non per generici dubbi. Per questi ultimi c’è o la strada di rivolgersi alla Corte costituzionale o alla Corte di giustizia europea.
La terza strada: disapplicare
Ormai residuale, constata positivamente Barbera, è invece una terza tendenza negativa, quella tesa a disapplicare norme interne ritenute dai singoli giudici contraddittorie rispetto alla Convenzione europea dei diritti umani. Ciò non significa rinchiudersi in un sovranismo nazionale, dato che la Corte costituzionale ha dimostrato più volte di essere in grado di far direttamente riferimento alla Cedu nelle proprie sentenze. Spesso anche la Corte è accusata a sua volta di improprio attivismo giudiziario oppure, al contrario, è accusata di essere troppo timida per non incamminarsi su tale strada, entrando in rotta di collisione con la maggioranza parlamentare pro tempore. Non mancano specie in questo periodo sollecitazioni di questo tipo, con la Costituzione come “documento brandito per letture divisive”. Come risponde Barbera a questo dubbio? In linea generale affermando che la Corte è custode della Costituzione, ma che la Carta non appartiene alla Corte. Una “Costituzione deI custodi” sarebbe “fragile”.
Il tempo non è illimitato
Per questo va affermato e potenziato il dialogo con le Assemblee elettive. La Corte sollecita decisioni in tempi ragionevoli senza voler imporre un determinato contenuto. Però le garanzie non possono conoscere vuoti temporali. Ai dubbi provenienti dai giudici che devono dare giustizia non si può non rispondere in tempi ragionevoli. Per questa ragione le assemblee elettive hanno un ampio margine di discrezionalità, ma non possono prendersi un tempo illimitato rispetto alle sollecitazioni della Corte. Come esempi positivi del passato Barbera cita la legge sull’aborto e quella sulle unioni civili, in cui il Parlamento è stato sollecitato da sentenze della Corte e responsabilmente si è assunto la responsabilità di scegliere alcune soluzioni tra le varie costituzionalmente possibili. Tra i casi pendenti il Presidente della Corte segnala il fine vita e la condizione anagrafica dei figli di coppie dello stesso sesso senza indicare una soluzione predeterminata ma rilevando che la Corte a un certo punto dovrà decidere anche per far fronte alle supplenze da parte dei Consigli regionali (nel primo caso) e dei sindaci (nel secondo).
Gli interventi del Parlamento
Per far valere i principi costituzionali ma senza imposizioni frettolose, specie sulle sentenze che comportino spese, Barbera preannuncia anche la volontà della Corte italiana, seguendo l’esempio di vari Corti costituzionali estere, di modulare nel tempo in modo non episodico gli effetti delle proprie decisioni di accoglimento, a partire cioè da una data futura, dando così spazi a interventi del Parlamento nel periodo compreso tra la sentenza e la data individuata. Se la Costituzione è di tutti essa può vivere bene solo nel dialogo, senza superamenti di confini e senza attivismi unilaterali.