Il fatto che dopo la condanna il suo atteggiamento sia stato “positivo” non cambia la decisione perché il licenziamento riguarda fatti accaduti prima del ‘cambiamento’. Per la difesa invece sarebbe stato “trascurato del tutto il precetto costituzionale che obbliga a valorizzare l’opera di reinserimento sociale e lavorativo del condannato” alla luce dei giudizi positivi espressi dai servizi sociali e delle strutture che si sono occupate del suo caso. E’ quindi per giusta causa il licenziamento per una condotta extralavorativa in cui l’autista ha mostrato “mancanza del rispetto e della dignità altrui” attraverso forme di violenza “abituali”. Nonostante il “percorso riabilitativo” svolto dopo la condanna per violenza sessuale ai danni della moglie, la Corte di Cassazione ha confermato il licenziamento di un autista di bus sul presupposto che anche i comportamenti extralavorativi possano determinare la fine del rapporto. Il licenziamento risale al 2019 dopo la condanna a due anni e mezzo di carcere per violenza sessuale, maltrattamenti familiari e lesioni personali. Gli ‘ermellini’ accolgono la tesi della Corte d’Appello di Milano secondo la quale fatti di tale “gravità” avevano determinato giustamente il licenziamento considerando anche la “concreta possibilità” che l’autista ha un continuo contatto col pubblico e potrebbe “perdere l’autocontrollo nei confronti degli utenti o di terzi” tenuto conto anche delle “condizioni stressanti” di chi ha a che fare per molte ore col traffico. (AGI)