di Gianni De Iuliis
«Sempre era ciò che era e sempre sarà. Infatti se fosse nato è necessario che prima di nascere non fosse nulla. Ora, se non era nulla, in nessun modo nulla avrebbe potuto nascere dal nulla. Dal momento dunque che non è nato ed è e sempre era e sempre sarà così anche non ha principio né fine, ma è infinito. Perché se fosse nato avrebbe un principio (a un certo punto infatti avrebbe cominciato a nascere) e un termine (a un certo punto infatti avrebbe terminato di nascere); ma dal momento che non ha né cominciato né terminato e sempre era e sarà, non ha né principio né termine. Non è infatti possibile che sempre sia ciò che non esiste tutt’intiero»
(Melisso)
Secondo Parmenide l’essere era sferico e finito; a giudizio di Melisso (Samo, 470 a.C. circa – …) invece, l’essere è infinito. Se infatti niente può sussistere al di fuori dell’essere, niente può costituire per esso un limite, poiché il non essere, non essendoci, non può svolgere alcuna funzione.
All’infinità si lega la sua unitarietà. Se infatti l’essere è infinito, non può che essere uno. Se fossero due, non sarebbero infiniti poiché l’uno limiterebbe l’altro.
Melisso concorda con Parmenide escludendo a priori il divenire. L’essere è incorruttibile, immutabile, indiveniente.
Infine l’essere è incorporeo, nel senso che non può essere costituito da parti, altrimenti verrebbe meno la sua unitarietà. In verità sull’incorporeità di Melisso i critici hanno ancora oggi diverse interpretazioni.
In ultima analisi gli attributi dell’essere, secondo Melisso, sono i seguenti:
l’essere è ingenerato, incorruttibile, immutabile, infinito, unico e incorporeo.
(48. Continua)