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È il 23 gennaio 1994, sono da poco passate le 16.30 quando dallo Stadio Olimpico cominciano a uscire gli oltre 40mila tifosi della Roma che hanno appena assistito alla partita contro l’Udinese. C’è chi si dirige verso i parcheggi in direzione Farnesina e Ponte Milvio, chi si incammina verso Ponte Duca d’Aosta, per raggiungere i capolinea di bus e tram situati a Piazza Antonio Mancini, e chi passeggia su Viale dei Gladiatori per arrivare ai parcheggi di Piazza Maresciallo Giardino. Questi ultimi sono la maggioranza e non sanno cosa stiano rischiando. In questa zona, vicino alla caserma dell’Arma e all’Aula Bunker, c’è anche gran parte delle camionette e dei blindati di Carabinieri, Polizia e Guardia di Finanza. Sono circa 20mila le persone in transito. Famiglie, bambini e anziani che passano nelle vicinanze di una Lancia Therna imbottita da quattrocento chili di tritolo, che esplodendo farebbe un’autentica strage. Ma facciamo un passo indietro.
Siamo in un periodo in cui l’Italia sanguina. Il 23 maggio 1992 è morto nella Strage di Capaci il magistrato Giovanni Falcone. Il 19 luglio ha invece perso la vita nella Strage di Via D’Amelio Paolo Borsellino, collega e amico di Giovanni Falcone. Borsellino e Falcone sono due vittime di Cosa Nostra, che sta preparando altri attentati. Per questo, a maggio del 1993, alcuni mafiosi tra cui Gaspare Spatuzza, Cosimo Lo Nigro, Francesco Giuliano e Salvatore Grigoli preparano un’impressionante quantità di esplosivo in un magazzino di Palermo situato a Corso dei Mille. Nell’esplosivo vengono inseriti dei tondini di ferro che dovrebbero rendere ancor più distruttivo l’ordigno. L’obiettivo è lo Stadio Olimpico, motivo per cui Spatuzza inizia a fare dei sopralluoghi. L’esplosivo arriva a Roma nel mese di settembre, nascosto in un doppiofondo creato nel camion di Pietro Carra, autotrasportatore vicino ad ambienti mafiosi.
L’ordigno viene prima scaricato in un capannone e poi posizionato in una Lancia Therna rubata in Sicilia. Nel frattempo Spatuzza inizia a studiare i movimenti dei pullman dei Carabinieri nei pressi dello Stadio Olimpico: è questo l’obiettivo. Viene poi preparato l’innnesco e la Lancia Therna, carica di esplosivo, viene parcheggiata in Viale dei Gladiatori, proprio vicino al presidio dei Carabinieri. L’autobomba dovrebbe esplodere il 23 gennaio 1994 durante il passaggio del pullman dei Carabinieri. Sarebbe una strage. Morirebbero infatti anche centinaia di persone che stanno uscendo dallo stadio. Fortunatamente l’autobomba non esplode per un difetto del telecomando e nei giorni successivi la Lancia Therna viene fatta rimuovere da Antonio Scarano, spacciatore di droga calabrese legato al boss Matteo Messina Denaro.
Nel 1995 le indagini su quanto sarebbe potuto accadere subiscono un’improvvisa accelerata. Merito del collaboratore di giustizia Pietro Romeo che permette agli inquirenti di trovare pacchi di esplosivo in una villa in quel di Capena, in provincia di Roma. Ritrovamenti simili avvengono in un’altra villa a Bracciano di proprietà di Aldo Frabetti, amico di Scarano. La Procura di Firenze, grazie anche ad altre dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Salvatore Grigoli, Pietro Carra, Alfredo Bizzoni, Pietro Romeo e dello stesso Scarano, riconduce quell’esplosivo al fallito attentato nei pressi dello Stadio Olimpico. Nel 1998, nella sentenza per le stragi del 1993, vengono riconosciuti esecutori materiali del fallito attentato allo Stadio Olimpico Cosimo Lo Nigro, Gaspare Spatuzza, Francesco Giuliano, Luigi Giacalone, Salvatore Benigno, Pietro Carra, Antonio Scarano, Antonino Mangano e Salvatore Grigoli.