Aste truccate: a processo dipendenti di Equitalia


Avrebbe cercato di corrompere un funzionario dell’istituto vendite giudiziarie di Teramo per sottostimare il valore di alcuni beni pignorati ad un imprenditore teramano e messi successivamente all’asta. Il tutto per favorire, probabilmente, chi voleva acquistarli. Un’accusa pesantissima che ieri pomeriggio, al termine dell’udienza preliminare davanti al gup Domenico Canosa, è costata a Tommaso Rasicci, dipendente dell’ufficio di Teramo di Equitalia Pragma, il rinvio a giudizio con le accuse di falso, istigazione alla corruzione e tentata turbativa d’asta con il processo a carico dell’uomo che si aprirà il prossimo 8 gennaio davanti al collegio. Processo nel quale comparirà davanti ai giudici anche un suo collega, Anacleto Caccavale, accusato solo di falso per aver firmato insieme a Rasicci la valutazione dei beni pignorati.

La vicenda per la quale i due uomini sono finiti a processo risale al marzo del 2011, con le indagini scattate dopo la denuncia della stessa Equitalia Pragma e dell’Istituto di vendite giudiziarie di Teramo. Secondo l’accusa, infatti, i due dipendenti avrebbero sottostimato il valore di mobili, stampanti e camion pignorati ad un’azienda teramana, con Rasicci che successivamente avrebbe contattato telefonicamente il funzionario dell’istituto di vendite giudiziarie responsabile del procedimento in questione per mettersi d’accordo sull’asta. Ma l’integerrimo funzionario avrebbe immediatamente stoppato il tentativo di corruzione da parte dell’uomo, avvertendo immediatamente i suoi superiori. Che a sua volta avrebbero avvertito Equitalia e sospeso l’asta. Ma non solo. Perché dopo i controlli del caso entrambi gli enti hanno inoltrato una denuncia dettagliata alla magistratura, con il dipendente infedele sospeso dal lavoro e il fascicolo finito sul tavolo del pm Laura Colica che al termine delle indagini aveva chiesto il rinvio a giudizio per Rasicci e per Caccavale, quest’ultimo finito nel mirino della Procura solo in un secondo momento in quanto sul documento di valutazione dei beni ci sarebbe stata anche la sua firma. Davanti al gup, in realtà, erano finiti anche gli imprenditori Giovanni e Cristian Bernardini, accusati anche loro di falso, tentata turbativa d’asta e tentata corruzione in quanto la Procura ipotizzava che si fossero messi d’accordo con Rasicci per rientrare in possesso dei beni pignorati. Un’accusa che però non avrebbe trovato alcuna conferma tanto che sempre ieri pomeriggio, al termine dell’udienza del processo con rito abbreviato, il gup Domenico Canosa ha disposto il non luogo a procedere per entrambi gli indagati per non aver commesso il fatto. Per i due dipendenti di Equitalia, invece, le accuse dovranno adesso essere provate in dibattimento. All’epoca fu la stessa Equitalia a rendere nota la vicenda, sottolineando in un comunicato congiunto con l’Istituto di vendite giudiziarie come “la comune e costante vigilanza sulla regolarità e trasparenza delle aste giudiziarie, posta in essere da Equitalia e Ivg» avesse permesso «di evitare spiacevoli sviluppi della vicenda».