Ascoltate l’ineludibile grido dell’impresa


editoriale di Giovanni Salusti da L’INTRAPRENDENTE

Cosa ho imparato, lo scorso fine settimana, da modesto moderatore e, soprattutto, interessato inviato sul posto a Rovigo, all’adunata nazionale di Confedercontribuenti. Parecchio, e non solo perché l’associazione guidata da Carmelo Finocchiaro lancia parole d’ordine contro il saccheggio fiscale, la pirateria di Stato firmata Equitalia, il mostrificio della spesa pubblica auto-replicantesi, parole credibili perché non pronunciate da una delle tante sacche consociative del Paese più consociativo che ci sia. Non ho visto associazionismo, almeno nel senso deteriore che ha ormai definitivamente assunto nel sistema della stabilità acefala e dei bilanciamenti ipocriti e fini a se stessi, a Rovigo, e questa è una bella notizia. Ho visto parecchi veneti, ma non solo, anche marchigiani battaglieri, siciliani lucidi, italiani che non ci stanno a farsi triturare da quel perenne inganno gattopardesco chiamato Italia. Ho visto le loro priorità, che poi sono quelle che proviamo a mettere a tema qui, ogni giorno, ma scorgerle riflesse negli sguardi, attorcigliate nel vissuto, incarnate nelle storie di questa stupenda gente d‘impresa e di lavoro, beh, è tutt’altra cosa. Anzitutto, lo sbalordimento di fronte all’Inosabile: aziende che falliscono per credito. Sì, è un primato all’incontrario, è un’oscenità del bestiario italico: aziende che falliscono perché non riescono a pagare tasse allo Stato, e non riescono a pagarle perché lo Stato deve loro dei soldi, e non li paga. I coloni americani imbastirono una rivoluzione per molto meno, è bene che se lo ricordino, lorsignori nei palazzi romani, anche i più svegli, anche Renzi e Berlusconi un po’ troppo intenti a danzare attorno al totem della legge elettorale (su Letta, Alfano e simili minuzie della cronaca non ci sentiamo di impegnare altro stato d’animo che l’indifferenza). Lo scandalo, poi, perché non ci si può non scandalizzare, di fronte alla durezza autoevidente della matematica: per scongiurare l’aumento dell’Iva occorreva 1 miliardo. La spesa pubblica assomma 850 miliardi. Non sono stati in grado di scendere a 849, e la vedi, l’incredulità, tra le rughe, l’affranto, la fierezza di questa gente di serranda e di capannone. La soglia di tolleranza abbondantemente saturata di fronte ai soprusi e all’impunità di quella struttura manganellatrice che è, nei fatti, e anche a Rovigo le testimonianza traboccano, Equitalia. E il conseguente affondo sulla politica, l’invocazione che venga restaurato, nei fatti, il principio di rappresentanza, il canale tra il territorio e il legislatore, reciso quotidianamente dai tassatori trasversali. Tra i pochi politici che hanno accettato il bagno di realtà, a Rovigo c’era Flavio Tosi, è intervenuto, ha fatto un discorso competente e propositivo, non si è trastullato con il santino della Le Pen e le teorie del complotto euro-massonico-mediatico, ha coniugato il verbo dell’impresa con quello del federalismo, dell‘autonomia fiscale, del dimagrimento dell’apparato pubblico e della liberazione dell’energia privata. È parso credibile, anche perché reduce dallo sfratto mostrato a Equitalia in quel di Verona, raccontato qui. Vedremo se sarà anche efficace. Per il resto, poca politica, ma per una volta non conta. Per una volta, abbiamo ascoltato forte e chiaro il grido della nostra impresa. Che è poi quanto di più prezioso abbiamo.