Appunti per una cittadinanza fraterna: ‘Madre Patria’ di V. E. Parsi


di Mariangela Caprara

«Si chiamava / Moammed Sceab // Discendente / di emiri di nomadi / suicida / perché non aveva più / Patria.»

Così scriveva il giovane Ungaretti nella poesia In memoria, dedicata all’amico arabo emigrato conosciuto negli anni giovanili a Parigi. Il sottotitolo del nuovo libro di Vittorio Emanuele Parsi, Madre Patria. Un’idea per una nazione di orfani, allude apertamente alla lacerazione di questo specifico orphélinat. Certo, la parola latina patria, passata poi all’italiano, è legata alla visione romana patrilineare e patriarcale della familia; appartiene dunque all’idealità virile, ed è ben sintetizzata nel gruppo mitologico Anchise-Enea-Iulo, la discendenza troiana, appunto, che edifica una nuova patria (nientemeno che Roma) lontano da quella originaria, travasando una genealogia di sangue, ma anche un patrimonio culturale. Proprio il gruppo statuario di Anchise-Enea-Iulo di piazza Bandiera a Genova è per un altro poeta, Giorgio Caproni, l’apparizione emozionante dell’idea di patria, in mezzo alle macerie dei bombardamenti. Nella scelta del titolo del libro, in cui compare in prima posizione l’elemento femminile, Parsi riesce subito ad alleggerire il peso virile e bellico di un sostantivo scomodo. Il saggio scaturisce infatti da due impulsi: da un lato, la viva vicenda del conflitto Russia-Ucraina, nel quale l’idea di patria è messa alla prova dalla violenza; dall’altro, la constatazione della possibilità del vivere pacifico nel seno di una grande madre comune. Parsi tenta dunque una correzione, in parte all’insegna di un’utopia politica, del portato divisivo della parola Patria (con la lettera maiuscola) nella tradizione politica italiana, attribuendole un senso da riscoprire.

Il libro si articola in tre parti. La prima, intitolata Una nazione di orfani, rilancia le tesi di Ernesto Galli della Loggia sulla «morte della patria»: la Resistenza è interpretata come momento debole nella storia dell’Italia unita, sia per essersi svolta all’ombra di potenze straniere, sia per aver visto agire al suo interno forze radicalmente divergenti. La dismissione del culto per il Risorgimento come momento fondante dell’unità nell’identità nazionale (operazione necessaria per liberarsi dagli eccessi nazionalistici del Fascismo) ha ridotto sensibilmente, nella pedagogia pubblica, la possibilità di un’identificazione nell’unico momento vincente della storia dell’Italia unita, ossia la Prima Guerra Mondiale. Si è come spezzato un legame di cuore: Parsi usa spesso e senza remore questa parola, ben sapendo cosa sia una passione politica all’interno dei regimi democratici. Nell’età repubblicana il partitismo ha prodotto una mentalità perfino iperpolitica, mancante cioè dell’idea forte (e moderna) della compatibilità tra Stato e individuo: sono tuttora misconosciuti gli effetti benefici – per l’individuo/cittadino – della dimensione burocratica dello Stato, il «Grande Grigio» illustrato felicemente dal filosofo tedesco Peter Sloterdijk. Nell’ultimo capitolo Parsi si sofferma pertanto sull’azione unificante – necessaria – delle «figure ispiratrici» all’interno delle comunità statuali, allineando in una galleria ideale i presidenti della Repubblica Sandro Pertini, Carlo Azeglio Ciampi e Sergio Mattarella, e il Presidente del Consiglio Mario Draghi.

La seconda parte del libro parte dalla necessità di un’elaborazione psicosociale del lutto provocato dalla «morte della patria». Riprendendo il Nietzsche della Gaia scienza, Parsi cerca di delineare lo spirito «gaio» del dovere civico, in opposizione al senso comune che lo vede come un peso limitante; un dovere interiorizzato, dunque, e che gratifica, in una forma non dissimile da quella del dovere genitoriale. Va detto che questo orizzonte decisamente liberale, che mette l’individuo di fronte alla responsabilità, piena e totale, di agire il proprio dovere per garantire il proprio e l’altrui diritto, non è molto presente nel vissuto dei cittadini comuni. Più facile, per i lettori, veder rappresentati tutti i tratti negativi delle «mentalità o coacervi di mentalità» che nella Seconda Repubblica hanno sostituito, secondo la bella formula di Gianfranco Pasquino, le culture politiche classiche, anestetizzando la piena partecipazione politica all’interno della società civile. Si parte così dal dibattito pubblico ammannito agli spettatori dalla tv dei pervasivi talk show, dove gli esperti super partes (gli ‘intellettuali’ di una volta) non sono distinguibili da gallerie di ospiti pittoreschi e chiassosi e dove prendono forma pericolose figure di guru. Le echo chambers dei social network non fanno che pasticciare un quadro già illeggibile e passivizzante per i singoli individui. In questa sezione Parsi esprime anche una critica molto penetrante sugli errori di Fratelli d’Italia nel frangente storico in cui si è trovato a gestire la maggioranza e dunque l’azione di governo. Ne vede il tradizionalismo –categoria molto presente nelle aree periferiche del nostro Paese – trasformato in un sovranismo populista chiuso e a tratti torvo, vittima di una sindrome da accerchiamento: così, come per una paralisi, nessun rilancio attivo (e non difensivo) del concetto di Madre Patria è possibile. Si passa poi alla trattazione del tema del patriottismo di guerra (sano) e del patriottismo deforme dei regimi totalitari (insano). La cornice esemplare  in cui Parsi si muove è il conflitto russo-ucraino, interpretato come scontro tra democrazia (l’Ucraina) e autocrazia (la Russia di Putin), in continuità con il suo libro precedente, Il posto della guerra e il costo della libertà (Bompiani 2022). Al termine di questo percorso, che è forse il momento decisivo del libro, Parsi può depurare definitivamente la parola Patria dalle sue distorsioni più nefande, quelle totalitarie. La Patria non è la macchietta delle adunate scolastiche dei balilla, spettacolo penoso e già allora, per molti, grottesco; solo che l’Italia repubblicana non ha saputo riproporre, al suo sorgere, un modello epico-sentimentale adeguato al momento della rifondazione unitaria. Questo anche perché la tradizione classica, che nell’Eneide e nei poemi omerici aveva raccontato ogni piega del cuore patriottico, non era utilizzabile, in quanto contaminata con la ridicola propaganda romanizzante del Fascismo.

La terza ed ultima parte conclude il percorso e rilancia la virtù stoica della medietas, l’equidistanza, come antidoto contro la rabbia, il sentimento politico attualmente più diffuso. Nella moderazione può svilupparsi l’idea appassionata di Patria «gentile», democratica in senso moderno, segnata dall’empatia tra individui, che impedisce i moti violenti e distruttivi nel confronto delle idee e tiene alto il valore dell’uguaglianza. I modelli di questo spirito positivo di coesione sono, nel corso di tutto il libro, attinti alla viva esperienza dell’autore: il gioco di squadra nel rugby e la vita militare. Nella franca dichiarazione della forza di questa esperienza biografica, Parsi può chiudere il suo percorso nella visione/utopia di Camelot, il castello da cui emanano giustizia, uguaglianza, cortesia e lealtà. 

La coraggiosa impresa di questo libro (la cornice tricolore della copertina rischia di diventare il bersaglio delle tifoserie di molti ‘cosmopoliti della domenica’) può considerarsi ben compiuta per il tono di giovialità che ne caratterizza la scrittura e che riveste abilmente anche i passaggi più solidamente critici, che sono numerosi e sempre argomentati. Resterà deluso chiunque si aspetti di trovarvi il manifesto nazionalistico buono per alimentare i conflitti derivati da vecchie ferite storiche, o di ricevere il messaggio di un oracolo a cui obbedire, pena la rovina. La lettura del sentimento patriottico qui è tra l’altro condotta attraverso una bibliografia aggiornatissima e ben selezionata, una vera guida per i lettori desiderosi di uscire dal fangoso quotidiano del nostro dibattito pubblico.

Liberta’ Eguale