Appunti per un multilateralismo sull’ambiente, da un’ispirazione inglese


Paola Peduzzi

Sadiq Khan, sindaco di Londra, ha vinto la guerricciola interna al Labour britannico sull’ambiente: l’alta corte ha deciso che l’allargamento dell’ultra- low emission zone (Ulez) deve andare avanti, e così dal 29 agosto questa zona in cui le auto che non rispettano criteri ecologici piuttosto stretti possono entrare pagando 12,5 sterline ogni giorno (quasi 15 euro) diventerà più grossa. Il ricorso davanti al tribunale è stato portato da cinque consiglieri conservatori di quartieri interessati all’allargamento, quindi in teoria questa sarebbe una querelle tradizionale tra destra e sinistra, ma poiché ci sono state le elezioni suppletive a Uxbridge, l’ex circoscrizione dell’ex premier Boris Johnson, e il Labour non è riuscito a vincerle per un soffio a causa dell’ulez contrastata dai Tory ed evidentemente anche dalla maggior parte degli abitanti di Uxbridge, la discussione si è spostata dentro al Labour. Il leader del partito, Keir Starmer, ha indicato l’ulez come causa principale della sconfitta e ha chiesto a Khan di avviare “una riflessione” sul tema, ma il sindaco non sente ragioni, considera questa misura necessaria e ora che l’alta corte gli ha dato ragione non ha intenzione di farsi dire da nessuno che serve un passo indietro.
La questione ambientale è precipitata sulla politica britannica in una mattina di analisi di risultati elettorali locali, ma non è casuale, non è temporanea e non è semplice. In tutto il mondo occidentale i costi della transizione ecologica stanno diventando un tema cruciale nel dibattito e più concretamente nelle dinamiche politiche: con tutta probabilità il primo test si avrà a novembre alle elezioni olandesi, dove è in grande crescita il Partito civico-contadino Bbb che combatte contro quel che definisce “estremismo ambientalista” del governo (governo che ha stanziato la cifra esorbitante di 25 miliardi di euro per sostenere la transizione, ma non è bastato), e dove il candidato della sinistra alleata ai Verdi olandesi è Frans Timmermans, l’architetto del Green deal europeo che lascia il suo incarico come vicepresidente della Commissione per tornare alla politica di casa sua.
Questo è il primo test, ma in realtà lo scontro si è già insinuato in molte parti, basta vedere l’estrema destra tedesca dell’afd, e Bruxelles, che ha l’ambizione di guidare la riforma ecologista globale, sta già rallentando (o addirittura fermando) alcune misure previste dal Green deal. Il Regno Unito conserva una sua specificità, perché dal 2010 in poi sono stati i Tory al governo a inglobare la battaglia ambientalista – l’ex premieri David Cameron lanciò l’idea del conservatorismo green – e infatti la stessa Ulez a Londra fu decisa dall’allora sindaco Boris Johnson (è stata poi realizzata da Khan). Se per un decennio i Tory hanno rivendicato la leadership nella politica ambientalista proponendo formule liberali e business oriented in alternativa alle proposte anti crescita della sinistra, ora è in corso un ripensamento e il premier Rishi Sunak è molto meno interessato: “Ogni obbligo ambientale che sta in mezzo tra Sunak e la rielezione verrà abbandonato”, scrive l’economist.
Questa potrebbe essere un’occasione per il Labour, ammesso che riesca a trovare il modo di governare la transizione energetica e non di subirla. Tony Blair, l’ex premier laburista che è stato inchiodato dall’opinione pubblica alle mani insanguinate in Iraq e al suo liberalismo ma che non ha smesso per nostra fortuna di pensare, dice in un’intervista al New Statesman: “Il problema numero uno oggi – ed è qui che la Gran Bretagna può svolgere un ruolo – è: come finanziare la transizione energetica? Perché le emissioni dei paesi sviluppati stanno scendendo, ma quelle dei paesi in via di sviluppo stanno aumentando. Questi paesi devono crescere, quindi come si finanzia la transizione?”.
Blair pone la domanda cruciale, intravvede una risposta nella rivoluzione tecnologica in corso, dice una cosa che è finita sulle prime pagine dei giornali conservatori – “qualsiasi cosa facciamo nel Regno Unito non avrà un impatto reale sul cambiamento climatico” – presa come: è inutile fare qualcosa se siamo soltanto noi a farlo. Ha precisato che questo è un argomento forte di chi considera ogni misura ambientalista una prevaricazione progressista, e ha concluso: bisogna coinvolgere la Cina. E’ necessario costruire una coalizione multilaterale sulla transizione, “nessuno può riuscirci da solo”, che è anche la ragione per cui Blair è convinto che le prossime generazioni spingeranno per un ritorno del Regno Unito nell’unione europea: le alleanze convengono, proteggono, salvano.

Fonte: Il Foglio