Avrebbero deliberatamente depennato la presenza di amianto dai risultati delle analisi condotte su campioni di rifiuti disposte dall’Autorità Giudiziaria in un sito della Bassa Reggiana: per questo motivo sono indagati cinque dipendenti dell’Arpae, l’Agenzia regionale per la prevenzione e protezione ambientale dell’Emilia-Romagna, a cui erano stati delegati i controlli. C’è anche una sesta persona indagata. Le ipotesi di reato sono falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici.
L’operazione ha impegnato oltre 20 militari dell’Arma della specialità Forestale insieme al Nucleo Investigativo di Polizia Ambientale, Agroalimentare e Forestale (Nipaaf) di Reggio Emilia, con il supporto di unità provenienti da Reggio Emilia, Modena, Parma, e Verona.
In funzione della provenienza illecita dei rifiuti, privi di tracciabilità, l’intero impianto di proprietà di una società con sede legale nel Veronese era stato posto in sequestro dai Carabinieri Forestali del Nipaaf di Reggio Emilia alla fine del 2022: i rifiuti da costruzione e demolizione, trattati dall’impianto per la produzione di aggregato riciclato per l’edilizia, erano stati infatti considerati dagli inquirenti rifiuti pericolosi in applicazione del principio di precauzione. L’Agenzia regionale era quindi stata incaricata dall’Autorità Giudiziaria della caratterizzazione dei rifiuti e della ricerca dell’eventuale presenza di amianto. Tuttavia, i risultati positivi degli accertamenti di ARPAE sarebbero stati parzialmente occultati e la presenza di amianto non è stata comunicata alla polizia giudiziaria, fino a quando è stata scoperta dagli investigatori, anche grazie alle informazioni rese da alcuni dipendenti della stessa Agenzia.
L’amianto è un rifiuto speciale pericoloso che deve essere gestito da aziende specializzate secondo le procedure previste dalla legge, il cui illecito smaltimento prevede pene della detenzione da sei mesi a due anni e sanzioni pecuniarie da 2600 a 26.000 euro.
L’utilizzo dell’amianto nel campo dell’edilizia era ampiamente diffuso in passato fino a quando in Italia la sua produzione, lavorazione e vendita è stata vietata dal 1992.