America2020: Trump fa il canguro, Twitter fa TikTok


AGI – La campagna presidenziale è in fase di decollo verticale: Donald Trump ha firmato ordini esecutivi che bypassano il Congresso sulle misure economiche. Dopo due settimane di trattativa a vuoto tra Repubblicani e Democratici, di fronte al no di Chuck Schumer e ai sorrisi affilati di Nancy Pelosi, con Steve Mnuchin, il segretario del Tesoro, con il morale sotto i tacchi dopo ogni incontro, Trump ha tirato dritto e messo la firma sui provvedimenti che roteavano a mezz’aria nel negoziato: sussidi di disoccupazione per 400 dollari a settimana (con un taglio di 200 dollari dall’attuale importo, erano a 600 dollari); imposta sui salari rinviata fino alla fine del 2020 per chi guadagna meno di 100 mila dollari; posticipo dei pagamenti dei prestiti universitari e azzeramento degli interessi fino alla fine dell’anno; proroga della moratoria sugli sfratti. Sono misure anti-crisi urgenti, avrebbe dovuto prenderle il Congresso, ma il gioco dei Democratici è quello di frenare le iniziative dei Repubblicani per mantenere Trump nella palude della crisi del coronavirus più tempo possibile. Battaglia politica.

La mossa del cavallo e la palude di Washington

Trump ha risposto con un colpo di cannone, “cangurando” tutti, il Congresso, il suo ministro del Tesoro, la delegazione repubblicana e i democratici. La mossa del presidente sul piano politico è un fatto enorme, perché dà a Trump la possibilità di affermare – ricordiamo che mancano meno di 3 mesi al voto – che lui agisce e l’establishment di Washington, “the swamp”, la palude, fa giochi politici contro l’interesse dei cittadini americani. La sua narrazione elettorale riprenderà un pezzo forte della campagna del 2016, la mossa del cavallo sul Congresso dà a Trump l’occasione per raccontarsi di nuovo come “l’outsider”, un “maverick”, un cane sciolto, un anticonformista. Funzionerà? Lo vedremo, quel che è certo è che nelle prossime ore lo scontro tra la Casa Bianca e i Democratici raggiungerà temperature elevatissime.

Nota di colore, Trump ha parlato da Bedminster, in uno dei suoi golf club, i soci hanno seguito la conferenza stampa del presidente e applaudivano. Trump a casa sua. Trump con la claque. Trump che fa Trump.

Bersagli come buche da golf, il tosto Chuck Schumer e l’amica-nemica di sempre, Nancy Pelosi, quella soave del baciamano da pirata e del clap clap tracimante d’ironia (discorso sullo Stato dell’Unione, 6 febbraio 2019), quella scartavetrata dell’intervento del presidente strappato platealmente di fronte a tutti (discorso sullo Stato dell’Unione, 4 febbraio 2020) Nancy e The Donald, coppia di opposti della politica americana.

Torniamo agli ordini esecutivi. Il punto più delicato riguarda la richiesta che la Casa Bianca rivolge agli Stati di pagare il 25% dei costi dei nuovi sussidi settimanali, i 400 dollari sono così ripartiti: 300 dollari verranno prelevati dal bilancio federale, 100 dollari saranno a carico degli Stati. I repubblicani non volevano più la misura da 600 dollari, il presidente ha tagliato l’assegno a 400 dollari, ma lo ha mantenuto e, come abbiamo visto, non era scontato (l’aiuto di 600 dollari è scaduto il 31 luglio scorso). Pagamento fino al 6 dicembre, un mese dopo il voto per la presidenza, notano gli avversari, ma ricordiamo che Trump sarà in carica fino al 20 gennaio, anche in caso di sconfitta, sarà il presidente della transizione fino all’Inauguration Day.

La ratio del taglio dell’assegno (c’era chi lo voleva abolire del tutto) per i repubblicani è la seguente: il sussidio è troppo alto, è un disincentivo alla ricerca di lavoro, allarga in maniera irreale la platea di iscritti alle liste di disoccupazione che vogliono incassare l’assegno. Vero, ma si vota e cancellare i sussidi non è una mossa pop, ecco perché Trump ha deciso di stare a quota 400 dollari, anche contro un’ala del suo partito.

L’ordine esecutivo sui sussidi aprirà la battaglia legale con le amministrazioni locali, in particolare con gli Stati guidati dai democratici che hanno già dichiarato in anticipo di non avere i soldi per finanziare la loro quota. Chi sarà il primo a andare in tribunale? Gran parte dei soldi arriverà dal Disaster Relief Fund, il fondo che finanzia le emergenze, attualmente ha una dotazione di 70 miliardi, per finanziare i nuovi sussidi serviranno 44 miliardi.

La sospensione della Social Security Tax, un prelievo del 6.2% sulle buste paga dei dipendenti, sarà in vigore dal 1° settembre al 31 dicembre. Sul piano legale la decisione è pienamente compatibile con le norme del codice tributario americano, c’è la dichiarazione di uno stato d’emergenza e la Casa Bianca può sospendere e differire gli obblighi fiscali dei contribuenti.

La mossa della Casa Bianca per i Repubblicani e i Democratici è una sconfitta, gli elettori americani sono molto sensibili su questo punto: un paese in grave difficoltà non può venire dopo le schermaglie tra i partiti. L’episodio conferma quanto sia  profonda la divisione della politica americana, mostra le insicurezze dei partiti, si vota. È su questo punto che Trump confida e gioca le sue carte. Nel suo partito c’è chi applaude e chi dissente. I Democratici parlano di un “esproprio” delle prerogative del Congresso sul bilancio. Tutti hanno un pezzo di ragione, ma alla fine, di fronte allo stallo, la decisione l’ha presa Trump. E questo in campagna elettorale avrà un peso.

Biden primo nei sondaggi ma Trump riprende quota

Sondaggi? Il 2 agosto è uscito un sondaggio di The Hill/HarriX che dà Biden in vantaggio di 3 punti nella media nazionale (43 a 40); lo stesso giorno il sondaggio di The Economist/YouGov vede il candidato democratico guidare la corsa con 9 punti di vantaggio (49 a 40), il 29 luglio Rasmussen dà Biden sopra di 3 punti (48 a 45), sempre in quella data Emerson presenta Biden in testa di 4 punti (50 a 46). Biden negli ultimi 4 sondaggi non è mai sopra il 50% e nella media di RealClearPolitics ha un vantaggio di 6.4 punti ed è in fase calante, mentre Trump riprende quota:

Il candidato democratico è ancora più che favorito, ma non è affatto in una “comfort zone”, Trump può chiudere la forbice, perfino vincere, con una strategia negli Stati chiave che abbiamo già visto nel 2016. Il 9 agosto di 4 anni fa Hillary Clinton era in vantaggio di 7,6 punti.

Il 2020 non è il 2016, siamo di fronte a una campagna presidenziale con la pandemia, ma il passato serve a temperare i giudizi di vittoria scontata di Biden, introdurre elementi di prudenza in una corsa accidentata come poche nella storia americana. Gli strateghi della campagna di Biden lo sanno, tanto che spenderanno 280 milioni di dollari in pubblicità sulla tv e online nelle prossime settimane per dare un’accelerata che per ora non si vede, il suo vantaggio è costruito sul coronavirus e gli errori di Trump, può non bastare, deve spingere la sua campagna per poter vincere la sfida nell’Electoral College, quello che conta. Sarà molto importante l’impatto di una decisione che è attesa tra oggi e domani, la scelta della vicepresidente. Biden ha bisogno di essere accompagnato rapidamente da una figura in grado di aiutarlo a superare le difficoltà che incontra con l’ala più progressista del suo elettorato. Chi sceglierà? Lo vedremo presto.

Biden finora ha tenuto una saggia linea di basso profilo, parla poco, lascia che sia Trump a sbagliare, una scelta conservativa (criticata sul Wall Street Journal da Karl Rove, intelligente stratega elettorale dell’era Bush: “Buona tattica, pessima strategia”) dettata anche dalle storiche gaffe di cui è capace. Nel 2008 andò in tv e di fronte alla nazione disse: “Quando il mercato azionario è crollato, Franklin Delano Roosevelt è andato in televisione e…”. Correva l’anno 1929, alla Casa Bianca c’era il presidente Hoover e la tv non era ancora stata inventata, arrivò dieci anni dopo, fu presentata all’Esposizione universale di New York del 1939. Sempre Rove sul WSJ definisce così Biden: “One-man gaffe machine”.

Questo sembra niente rispetto al reality show quotidiano di una figura da sottosopra come Trump, ma Biden resta un soggetto da tenere sotto controllo affinché non si faccia troppo del male, come stanno facendo i suoi strateghi. Quanto a Trump, contenerlo è una missione impossibile. Se vince, vince Trump, se perde, perde The Donald.

I titani Big Tech e la partita di TikTok

La campagna presidenziale fa sentire i suoi effetti su tutto lo scenario americano. Le decisioni di Trump sulla Cina conducono a un ridisegno della mappa delle Big Tech, gli ordini esecutivi su due titani del social networking come TikTok e WeChat hanno dato il via a un negoziato di Microsoft per l’acquisto di TikTok, ma secondo il Wall Street Journal c’è anche Twitter in pista, ci sarebbero stati dei primi colloqui tra ByteDance (la società che controlla l’app cinese) e l’azienda fondata da Jack Dorsey. Possibile? Il colloquio sì, ma il resto della storia è un’impresa difficile. Rispetto a Microsoft, Twitter è una società piccola e non sembra in grado di chiudere un’operazione di questa portata. Un esempio per capire gli ordini di grandezza, andiamo a dare un’occhiata a Wall Street: la capitalizzazione di mercato di Twitter è pari a 29,3 miliardi di dollari, quella di Microsoft è di 1,6 miliardi di dollari. Su questo piano, non c’è partita, dunque la società guidata da Satya Nadella resta di gran lunga la favorita per l’acquisizione. Ma siamo in America, le sorprese nella Silicon Valley non mancano, tutto è possibile.

Npr oggi racconta in esclusiva che Tik Tok sta preparando una causa legale – arriverà entro martedì prossimo – contro la decisione di Trump. I cinesi diranno che l’azione del presidente è incostituzionale, che non dà nessuna possibilità di risposta all’azienda e che le accuse di minaccia per la sicurezza nazionale sono infondate. Un’azione legale molto probabilmente ritarderebbe la cessione, complicando i piani di Trump. In attesa del martedì giudiziario di TikTok, non bisogna dimenticare che dall’altra parte del Pacifico, a Pechino, c’è un attore che ha una sua silenziosa influenza sul negoziato, Xi Jinping. Sapremo come andrà a finire entro il 15 settembre, termine fissato dalla Casa Bianca per la chiusura del negoziato.

L’accelerazione della campagna presidenziale sta curvando anche lo spazio del Pentagono. Vedremo molti fatti nuovi nel settore della Difesa, sul fronte. Mark Esper, il segretario alla Difesa, ha detto in un’intervista a Fox News che gli Stati Uniti lasceranno in Afghanistan “meno di 5 mila soldati” entro la fine di novembre (segnare la data sul calendario, il 3 novembre si vota). Gli Stati Uniti in questo momento hanno 8600 soldati nel paese, Trump intervistato da Axios qualche giorno fa aveva parlato di una riduzione del contingente militare a circa 4 mila unità. Sta maturando il momento di un annuncio ufficiale della Casa Bianca sul rientro a casa dei soldati americani.

Trump fa il canguro, Twitter fa TikTok, Biden cerca una compagna, il Pentagono fa indietro tutta. È America 2020.

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Fonte: estero agi