AGI – “L’esistenza di una multiforme varietà di sodalizi stranieri e di collegamenti con organizzazioni criminali all’estero soprattutto per il narcotraffico, il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e la tratta di esseri umani finalizzata allo sfruttamento della prostituzione e del lavoro irregolare, documenta come la criminalità transnazionale rappresenti una minaccia reale a fronte della quale appaiono necessari un approccio globale e una più ampia visione del fenomeno”.
A ribadirlo è la Direzione investigativa antimafia nella relazione semestrale al Parlamento, secondo cui “la ‘criminalità etnica’ è costituita da organizzazioni eterogenee per origini, caratteristiche strutturali e modalità operative che nel loro complesso rappresentano una componente consolidata nel panorama criminale nazionale”.
I nigeriani, albanesi e cinesi tra i clan più strutturati
“Se al centro-nord i sodalizi di origine straniera risultano muoversi in modo indipendente divenendo talvolta egemoni in specifici settori delinquenziali, nelle regioni del sud tali consorterie prevalentemente operano in via subordinata o con l’assenso delle mafie locali. Le matrici mafiose tradizionali inoltre accettano di interagire ‘alla pari’ con le organizzazioni etniche nell’ambito di traffici transnazionali soprattutto in materia di droga e di armi”.
Tra i clan più strutturati si segnalano quelli nigeriani, albanesi e cinesi per “capacità organizzativa” e “spregiudicatezza criminale” ma attenzione meritano anche i gruppi formati da elementi provenienti dall’est Europa e dai Paesi ex sovietici, nonché dal Pakistan e in generale del Sud Est asiatico, che “premono per trovare il proprio spazio nel panorama delinquenziale italiano”.
In particolare, “l”insediamento dei nigeriani in Italia ha avuto inizio negli anni ‘80 principalmente attraverso flussi migratori irregolari che hanno visto come prima meta le regioni del Nord-Italia in particolare il Veneto, il Piemonte, la Lombardia e l’Emilia Romagna dove oltre a comunità operose ed inclini all’integrazione si sono progressivamente manifestate sacche di illegalità. Ad avere particolare rilievo sono i cosiddetti secret cults le cui caratteristiche sono l’organizzazione gerarchica, la struttura paramilitare, i riti di affiliazione, i codici di comportamento e in generale un modus agendi tale che la Corte di Cassazione si è più volte espressa riconoscendone la tipica connotazione di ‘mafiosità’”.
I criminali albanesi presenti su gran parte del territorio nazionale agiscono per lo più “in seno a piccoli gruppi anche multietnici per la commissione di reati contro il patrimonio” ma in diversi casi “è stata riscontrata la presenza nel Paese di organizzazioni strutturate e durevoli che operano secondo modalità simili a quelle delle ‘mafie tipiche’. Di norma gli albanesi si occupano dell’approvvigionamento delle droghe che vengono poi cedute ai sodalizi autoctoni per la gestione dello spaccio”.
Quanto alla criminalità cinese, di regola “è incentrata su relazioni familiari e solidaristiche. I gruppi appaiono organizzati con una struttura chiusa e inaccessibile. Solo occasionalmente si rileva la realizzazione di accordi funzionali con organizzazioni criminali italiane o la costituzione di piccoli sodalizi multietnici per la gestione della prostituzione, la commissione di reati finanziari e il traffico di rifiuti”.
Le mafie potrebbero sfruttare la crisi determinata dalla pandemia
Un cenno a parte merita la situazione di crisi determinata dalla pandemia. Secondo la relazione, anche le mafie straniere “potrebbero sfruttare la situazione per alimentare ulteriormente la tratta di esseri umani inducendo persone che vivono in situazioni di grave disagio a migrare verso l’Europa salvo poi costringerle a ripagare i debiti spesso contratti per i viaggi con lo sfruttamento sessuale e il lavoro nero, nonché con l’impiego nella filiera della droga”. Non solo: “molti immigrati già presenti sul territorio nazionale hanno perso l’occupazione o sono scivolati in situazioni di precariato e di sfruttamento del lavoro. E la necessità di provvedere ai bisogni primari potrebbe far sì che molti soggetti cadano vittime dell’offerta di impiego da parte delle organizzazioni criminali sia di matrice etnica, sia italiana”.
“L”estensione imprenditoriale delle consorterie campane consente loro di mimetizzarsi nei tessuti produttivi come componenti ordinarie dei mercati. Peraltro, in certi ambienti della politica e della pubblica amministrazione verrebbero anche replicate quelle strategie relazionali che, secondo logiche di totale asservimento agli interessi mafiosi, favoriscono sistemi e tecniche proprie dell’illecito (dall’evasione fiscale alla corruzione) con una grave contaminazione dell’economia legale”.
Nel capitolo dedicato alla camorra dalla relazione semestrale al Parlamento della Direzione investigativa antimafia, si delinea “un fenomeno macro-criminale dalla configurazione pulviscolare-conflittuale. Le diverse organizzazioni criminali sono tra loro autonome ed estremamente eterogenee per struttura, potenza, forme di radicamento, modalità operative e settori criminali ed economici di interesse. Peculiarità che le contraddistinguono dalle mafie organicamente gerarchizzate come cosa nostra e ne garantiscono la flessibilità, la propensione rigenerativa e la straordinaria capacità di espansione affaristica. Infatti, i clan campani pur essendo connotati in genere da una forte ‘interpenetrazione’ con il tessuto sociale in cui si inquadrano, rimodulano di volta in volta gli oscillanti rapporti di conflittualità, non belligeranza e alleanza in funzione di contingenti strategie volte a massimizzare i propri profitti fino ad arrivare, per i sodalizi più evoluti, alla costituzione di veri e propri cartelli e holding criminali”.
Di qui – prosegue la relazione – anche “il contenimento, in linea di massima, del numero degli omicidi di matrice camorristica il più delle volte ormai paradossalmente ascrivibili proprio a politiche di ‘prevenzione’ e logiche di epurazione interna, finalizzate a preservare gli equilibri complessivi e a controllare ogni spinta centrifuga”. Le organizzazioni più solide “hanno preservato nel tempo il controllo del territorio consolidando la propria capacità di gestire gli interessi criminali anche nel resto del Paese e all’estero. Il traffico di sostanze stupefacenti, il prestito a usura, le estorsioni, il commercio di prodotti contraffatti, il contrabbando di sigarette, l’esercizio abusivo del gioco e delle scommesse, le truffe assicurative e telematiche, le frodi fiscali costituiscono un bacino da cui attingere le maggiori risorse da destinare al riciclaggio. Mentre resta alto l’interesse verso i settori più remunerativi quale quello dei rifiuti”.
Gli ‘aiuti’ della Camorra alle imprese in crisi occasione per incrementare il consenso
Come prevedibile, anche le consorterie campane si sono dimostrate pronte a “strumentalizzare a proprio vantaggio” le gravi situazioni di disagio dettate dal protrarsi dell’epidemia da Covid. “Le prestazioni previdenziali verso famiglie e imprese in crisi finanziaria – ricorda la Dia – rappresentano per i clan un’occasione per incrementare il consenso sociale e consolidare il proprio controllo del territorio. Ma connesso alla crisi finanziaria è anche il rischio ulteriore che la multiforme dimensione imprenditoriale delle principali organizzazioni camorristiche renda la crisi sanitaria ed economica un’opportunità per la diversificazione dei propri affari, soprattutto nei nuovi settori economici strettamente connessi con il fenomeno pandemico, per il reinvestimento delle illimitate risorse illegali nelle imprese in crisi di liquidità e, più di tutto, per l’accesso ai finanziamenti pubblici stanziati per consentire il sostegno alle imprese e il rilancio dell’economia”.
Le indagini più recenti confermano “l’attitudine delle ‘ndrine a relazionarsi agevolmente e con egual efficacia sia con le sanguinarie organizzazioni del narcotraffico sudamericano, sia con politici, amministratori, imprenditori e liberi professionisti. La ‘ndrangheta esprime un sempre più elevato livello di infiltrazione nel mondo politico-istituzionale, ricavandone indebiti vantaggi nella concessione di appalti e commesse pubbliche”, sottolinea ancora l’ultima relazione semestrale (luglio-dicembre 2020) al Parlamento della Direzione investigativa antimafia.
“Grazie alla diffusa corruttela – si legge nelle 530 pagine del documento – vengono condizionate le dinamiche relazionali con gli enti locali sino a controllarne le scelte, pertanto inquinando la gestione della cosa pubblica e talvolta alterando le competizioni elettorali. A conferma di ciò interviene il significativo numero di scioglimenti di consigli comunali per ingerenze ‘ndranghetiste anche in aree ben lontane dalla Calabria”.
I soldi del Pnrr nel mirino della criminalità organizzata
Le cosche sono attive in numerose regioni italiane (46 le locali individuate, di cui 25 in Lombardia, 14 in Piemonte e 3 in Liguria) e, all’estero, in alcuni Paesi europei quali Spagna, Francia, Regno Unito, Belgio, Olanda, Germania, Austria, Repubblica Slovacca, Romania e Malta nonché in Australia, Canada e Usa. Con la ‘Covid Economy’ è cresciuta la “capacità imprenditoriale” delle mafie. Che ora “potrebbero rivolgere le proprie attenzioni operative verso i fondi comunitari che giungeranno a breve grazie alle iniziative del governo per assicurare un tempestivo sostegno economico in favore delle categorie più colpite dalle restrizioni rese necessarie dalla emergenza sanitaria”. E’ l’allarme lanciato dalla Dia.
Per effetto della pandemia, la tendenza delle organizzazioni criminali “ad infiltrare in modo capillare il tessuto economico e sociale ‘sano’ si è ulteriormente evidenziata”. E “i sodalizi mafiosi potrebbero utilizzare le ingenti risorse liquide illecitamente acquisite per ‘aiutare’ privati e aziende in difficoltà al fine di rilevare o asservire le imprese in crisi”. Una strategia mafiosa che “si rivelerebbe utile anche per il riciclaggio e per l’infiltrazione nei pubblici appalti”.
“Le difficoltà incontrate per arginare il diffondersi della pandemia – ricordano gli analisti della Dia – hanno continuato ad imporre limitazioni alla mobilità dei cittadini e allo svolgimento delle attività di importanti comparti produttivi quali quello commerciale, turistico-ricreativo e della ristorazione. Delle difficoltà finanziarie delle imprese potrebbero approfittare le organizzazioni malavitose, per altro sempre più orientate verso una sorta di metamorfosi evolutiva volta a ridurre le strategie cruente per concentrarsi progressivamente sulla silente infiltrazione del sistema imprenditoriale”.
La ‘Ndrangheta, pur sempre leader nel traffico internazionale di cocaina, “non appare più così monolitica ed impermeabile alla collaborazione con la giustizia da parte di affiliati nonché di imprenditori e commercianti, sino a ieri costretti all’omertà per il timore di gravi ritorsioni”. E’ quanto emerge dalla relazione semestrale al Parlamento della Direzione investigativa antimafia.
“L’analisi del complesso fenomeno mafioso calabrese – scrivono ancora gli analisti della Dia – dotato di quella forte connotazione familiare che l’ha reso fino al recente passato quasi del tutto immune dal fenomeno del pentitismo, non può oggi non tener conto dell’ampio e pressoché inedito squarcio determinato dall’avvento sulla scena giudiziaria di un numero sempre più elevato di ‘ndranghetisti che decidono di collaborare con la giustizia. Stretti dalla morsa sempre più incalzante dell’azione investigativa della magistratura e delle forze di polizia, con la prospettiva di lunghi anni di carcere, in alcuni casi anche a vita e in regime detentivo differenziato, taluni esponenti anche di primo piano della ‘ndrangheta hanno scelto di rompere il silenzio”.
“Ricalcando il percorso evolutivo della ‘ndrangheta i clan foggiani si sarebbero mostrati capaci di stare al passo con la modernità, pronti a cogliere e sfruttare le nuove occasioni criminali offerte dalla globalizzazione. In questi termini il fenomeno mafioso foggiano desta maggior allarme sociale tanto da essere considerato dalle istituzioni, soprattutto negli ultimi tempi, un’emergenza nazionale”. E’ quanto scrivono gli analisti della Dia nella relazione semestrale al Parlamento.
La ‘Ndrangheta foggiana ha fatto un salto di qualità
Nella regione si distinguono varie espressioni criminali legate, oltre che alla provincia di Foggia, al territorio di Bari e al basso Salento. Ma è la società foggiana ad aver fatto il “salto di qualità”: “tra affari criminali e politico-amministrativi appare sempre più come una mafia ‘camaleontica’ capace di essere insieme rozza e feroce ma anche affaristicamente moderna con una vocazione imprenditoriale”. Per cui “alla struttura operativa in senso criminale si accompagna quella economica che annovera non solo imprenditori collusi ma anche commercialisti e professionisti di varia estrazione nonché esponenti della pubblica amministrazione”.
In Campania “accanto ai grandi sodalizi mafiosi sarebbe presente una pletora di gruppi-satellite minori a composizione prevalentemente familiare e spesso referenti in loco dei primi e di baby-gang che non possiedono un background criminale di particolare consistenza e stabilità. Queste ‘bande’ si rivelerebbero comunque pericolose per la pressione che esprimono a livello locale pur di acquisire o conservare il controllo anche di limitati spazi territoriali, rendendosi spesso protagonisti di eclatanti forme di gangsterismo urbano (agguati, stese e caroselli armati)”.
“Ciò accade – si legge nel documento – soprattutto laddove i clan egemoni, prediligendo il più subdolo affarismo imprenditoriale, hanno allentato la catena di comando e le funzioni ‘tutorie’ di equilibrata regolamentazione dei fenomeni di delinquenza diffusa. In linea con le reiterate manifestazioni di violenza risultano i numerosi rinvenimenti e sequestri di armi illegali anche ad alto potenziale nella disponibilità dei gruppi sia maggiori, sia minori. Il potenziale ‘bellico’ è utilizzato senza remore tanto per azioni mirate, quanto per i più generici scopi intimidatori e di rivendicazione di un potere sui territori di riferimento. Tale teatralità criminale è trascesa negli ultimi mesi anche nelle pantomime degli altarini e dei murales che sono assurte più che a forme folcloristiche di devozione verso figure emblematiche degli ambienti del crimine, a veri e propri atti di sfida contro lo Stato”.
Source: agi