Alimentazione:fino a 21 mila al giorno muoiono di fame in guerra


“Non è certo una coincidenza che la combinazione letale di guerra, sfollamenti forzati e fame, spesso si verifichi in Paesi ricchi di risorse naturali. Lo sfruttamento sempre più esteso di materie prime porta a una maggiore instabilità politica e alla guerra. In contesti dove troppo spesso gli investimenti privati su larga scala – sia esteri che nazionali – hanno come obiettivo il controllo di terra e risorse idriche a danno delle comunità locali”, aggiunge Petrelli.
I conflitti, denuncia ancora il dossier, spesso si sommano ad altri fattori come gli shock climatici, l’instabilità economica e le disuguaglianze, devastando i mezzi di sussistenza delle popolazioni locali.
La crisi alimentare che sta colpendo l’Africa orientale e meridionale è causata dal susseguirsi di siccità e inondazioni sempre più intense e frequenti, che si sono sommate all’impennata dei prezzi dei prodotti alimentari a livello globale, seguita alla fine della pandemia e alla crisi in Ucraina. E i primi a fare le spese di tutto questo sono donne e bambini.
“Mentre l’obiettivo di azzerare la fame entro il 2030 resta irraggiungibile, lanciamo un appello urgente al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, affinché chieda conto delle continue violazioni del diritto internazionale che in contesti di guerra come Gaza continuano a essere commesse impunemente. La fame non può e non deve essere più usata come un’arma per mettere in ginocchio un intero popolo”, chiedono i vertici di Oxfam.
“Allo stesso tempo non si può pensare di porre fine ai conflitti, ad esempio in Africa, senza sradicare le profonde disuguaglianze e le violazioni dei diritti umani che la alimentano. Gli sforzi per la pace devono essere accompagnati da investimenti per sradicare la povertà, a partire dalle politiche per costruire coesione sociale e soluzioni economiche che diano priorità alla costruzione di sistemi alimentari sostenibili”, conclude Petrelli.
In vista della riunione dei ministri G7 dello sviluppo del prossimo 22 ottobre, che avrà al centro l’attuazione operativa dell’Apulia Food Systems Initiative (Afsi), Oxfam assieme alla società civile globale, riunita nel Civil7, chiede quindi con forza che le decisioni che verranno prese, soprattutto sul piano degli investimenti promuovano un modello agro-ecologico; combattano con regole nuove le speculazioni finanziarie sul cibo; favoriscano la partecipazione alle decisioni dei piccoli contadini dei Paesi del sud globale; onorino gli impegni finanziari dei Paesi G7 per far fronte agli appelli dell’Onu sulle crisi alimentari in corso, a oggi del tutto insufficienti. Ogni giorno tra 7 e 21 mila persone muoiono letteralmente di fame in Paesi lacerati da conflitti. È la denuncia del nuovo rapporto diffuso oggi da Oxfam, in occasione della Giornata Mondiale dell’Alimentazione. La quasi totalità dei 281,6 milioni di persone afflitte da malnutrizione acuta nel mondo vive in 54 Paesi attraversati da guerre. Guerre che sono inoltre una delle principali cause del livello record di sfollati nel mondo, a oggi oltre 117 milioni.
“In molti dei Paesi in conflitto, la fame viene sempre più spesso usata come arma di guerra. C’è poi da ricordare che la distruzione sistematica di infrastrutture essenziali per la fornitura di energia e acqua potabile è contraria a ogni norma del diritto internazionale e sta aumentando in modo esponenziale le sofferenze di milioni di persone”, spiega Francesco Petrelli, portavoce e policy advisor per la sicurezza alimentare di Oxfam Italia.
Sta accadendo da oltre un anno a Gaza, dove “in questo momento quasi mezzo milione di persone sta morendo di fame”, aggiunge Paolo Pezzati, portavoce per le crisi umanitarie di Oxfam Italia. “Una catastrofe umanitaria dovuta alle decisioni del governo israeliano, che dall’inizio dell’anno impedisce l’ingresso dell’83% degli aiuti alimentari necessari alla popolazione. Nel 2023 ne venivano bloccati il 34%, quindi siamo passati in media da due pasti al giorno prima dell’inizio del conflitto, a uno ogni due giorni”, afferma il rapporto.
L’impatto della guerra sulla disponibilità di cibo – denuncia inoltre il report – sta provocando una catastrofe altrettanto grave in Sudan, dove in questo momento oltre 750 mila persone stanno morendo letteralmente di fame. Eppure il Paese – come altri 34 sui 54 analizzati – è ricco di risorse naturali e materie prime, incentrando la propria economia sulla loro esportazione. Basti pensare che il 95% dei proventi delle esportazioni del Sudan proviene dall’oro e dal bestiame; l’87% di quelle del Sud Sudan dai prodotti petroliferi; quasi il 70% di quelle del Burundi dal caffè. In America centrale, invece, progetti sempre più estesi di estrazione mineraria hanno provocato conflitti violenti, costringendo intere comunità ad abbandonare le proprie case. (AGI)