Algoritmo, la nuova dittatura. Occorre prendere coscienza


Solo con l’assimilazione alla nostra cultura della tecnologia e il suo utilizzo a favore della collettività e non più ai soli fini del capitale, solo essendo consapevoli che l’algoritmo non è neutrale ma è esso stesso un prodotto elaborato dal potere ai fini del potere, possiamo guardare ad un futuro a dimensione umana

di Renato Costanzo Gatti

Le parole, che come ci indica Gramsci, sono uno strumento dell’esercizio dell’egemonia, mutano con il dissolversi della dialettica lavoratore/padrone, riversano nell’obsoleto le parole di lotta dell’operaio-massa convertito ora ad un linguaggio, farcito di termini anglofili, coerenti con il rapporto lavoratore/piattaforma. C’è una mutazione che riformula il modo di esprimere concetti determinata dall’occultamento della controparte antagonistica sostituita da un rapporto con l’algoritmo cui ci si affida quale risultato della scienza e prodotto neutrale ed asettico.

Anche l’orientamento politico consegue a questa mutazione; in primis per il crollo della logica dialettica offerta dai partiti politici esistenti, ma anche per quella già ricordata della scomparsa dell’interlocutore antagonista sostituito dall’evidenza dell’algoritmo. Si spiega così la scomparsa del voto di classe del mondo del lavoro, voto di classe dissolto nell’approccio individualistico con l’algoritmo.

Esistono certo i casi Whirpool, Embraco, Ilva, GKN ma sembrano film in bianco e nero di un mondo tramontato, ed esiste anche la coscienza di ciò quando l’operaio intervistato esprime dubbi e sfiducia che i politici possano fare qualcosa. Esiste l’ineluttabilità del momento storicamente determinato in cui l’asetticità della tecnologia spegne ogni dialettica che metta in discussione gli assetti di potere esistenti.

Se risvegliandoci da un incubo realizziamo che la nostra essenza è divenuta strumento di elaborazione dei softwares, da noi stessi prodotti, finalizzati a condizionarci dopo averci classificati e targettizzati; se realizziamo che l’algoritmo non è neutrale ma è esso stesso un prodotto elaborato dal potere ai fini del potere; se realizziamo che il “padrone” si è nascosto dietro all’algoritmo ma è ancora vivo e lotta contro di noi; se realizziamo che non è con un nuovo luddismo che riusciamo a riprenderci la nostra essenza, ma è con la assimilazione alla nostra cultura della tecnologia e il suo utilizzo a favore della collettività e non più ai soli fini del capitale; solo se realizziamo tutto questo, se prendiamo coscienza possiamo guardare ad un futuro a dimensione umana.

La riappropriazione del rapporto con la cosalità hegeliana sta nella capacità progettuale, nella libertà dei soggetti che disegnano il loro futuro senza l’assegnazione di funzioni che preludono alle classi in quanto la libertà dal lavoro delegato alle macchine, rende tutti gli uomini ugualmente chiamati ad essere soggetti della progettualità.

Questa nuova dimensione della libertà presuppone l’eliminazione del concetto di proprietà privata sostituito dal concetto di bene comune conforme alla eliminazione della assegnazione delle funzioni. Fondamentale rimane il dominio dell’intelligenza umana su quella artificiale che deve ricoprire sempre un ruolo servile; il controllo dell’intelligenza umana sugli algoritmi deve garantire che gli algoritmi non sviluppino una loro funzione autonoma che possa sfuggire all’intelligenza umana fino al punto di rivoltarsi contro ad essa.

Il superamento della alienazione porta quindi al superamento della dialettica servo-signore, lavoratore-padrone, ma tale superamento presuppone l’avvento di una razionalità liberatoria che dia ad ogni soggetto la consapevolezza della limitatezza dell’essere-per-sé di fronte alla vita rappresentata dall’essere per l’altro, l’essere per tutti. Questo superamento assume una dimensione rivoluzionaria che si attua, nella nostra società attuale, attraverso la dialettica intellettuale/partito con la massa dei subordinati che sfoci nella trasformazione dei subordinati in dirigenti.

Non tutti i soggetti avranno la stessa capacità progettuale per cui potrebbe dedursi che i soggetti più progettuali saranno più liberi, ma questo deduzione pecca nel momento in cui scorda che in questa fase prevale la coscienza dell’essere per l’altro sull’estinta coscienza dell’essere-per-sé.

(2. Fine)