Fonte @enciclopediadeledonne
Di Giovanna Previdenti
Alexandra David Neel passa alla storia per essere stata la prima donna europea a esplorare il Tibet, a quel tempo sconosciuto e interdetto agli stranieri. Va anche ricordata per i suoi studi sulle religioni orientali e per essere stata una iniziatrice della relazione tra buddismo e Occidente.
Alexandra si introduce illegalmente a Lhasa, la capitale del Tibet nel 1924, all’età di 56 anni, sotto forma di khadoma, un particolare tipo di spirito tibetano femminile che a volte assume parvenze umane; accetta infatti la promozione a divinità femminile, offertale da eruditi lama incontrati nelle sue precedenti tappe in India, Cina e Sikkim con il suo straordinario’humour e con l’apertura mentale ereditata dal padre, Louis David (1815-1904), ugonotto e socialista. Grazie a questa “maschera” viaggia senza pericoli e viene ospitata dalla gente del luogo, ben felice di potere accogliere a casa propria una khadoma, a cui chiedere benedizioni e protezione dalle sventure della vita. Lei si presta a questo ruolo, per amore del viaggio, nonostante tali doveri ecclesiastici contraddicano uno dei più importanti obiettivi della sua lunga vita: riformare il buddismo, depurandolo “dai miti e le superstizioni derivanti dall’antica tradizione Bon, precedente all’introduzione del buddismo in Tibet […]: la superstizione, le stregonerie e i rituali magici con cui era stato soffocato da generazioni e generazioni di fedeli” (Ruth Middleton, p.79 e 116).
Lontana da dilettantismo e superficialità, Alexandra David Neel, apprende il pali, il sanscrito e il tibetano per conoscere direttamente i testi, e studia testi buddisti e induisti, approfonditi anche insieme a tre compagni di viaggio e di spirito: il principe Sidkeong Tulku Namgyal (1879-1914), il maestro eremita di Lachen, Gomchen Rinpoché (1867-1947), e il giovanissimo monaco Aphur Yongden (1899-1955), tutti e tre conosciuti intorno al 1912 durante il suo lungo secondo viaggio in Oriente, durato 14 anni.
Sidkeong, destinato a diventare il decimo regnante del Sikkim (regione indiana dagli inglesi definita il cancello himalayano verso il Tibet) ospita Alexandra nel suo principesco palazzo: tra loro nasce un’amicizia sincera e affettuosa, trascorsa a leggere i testi dell’amato poeta e saggio tibetano Milarepa e a discutere, talvolta anche in compagnia di emeriti lama e studiosi tibetani, delle necessarie riforme per rendere il buddismo una religione più razionale, aderente ai principi del fondatore Siddhartha Gautama Sakyamun e del riformatore Tsong Khapa, che nel 1409, fondando il monastero di Ganden, aveva gettato le basi per l’ordine Gelug, o dei berretti gialli, che privilegia i dibattiti formali e lo studio della logica del Dharma.
Il 26 settembre del 1912, poco dopo avere conosciuto il suo maestro, l’eremita di Lachen, Alexandra David Neel scrive di volere depurare il buddismo da inutili idoli in nome dell’unico comune grande Dharma: “Mi prostrai e giurai che avrei seguito l’esempio del maestro, che non avrei desiderato una vita diversa da quella che il mio abito ascetico indicava, consacrandomi alla missione conferita dal Bhagavad ai discepoli: predicare il Dharma per il bene di tutti gli esseri” (Ruth Middleton, p.87).
Nel palazzo reale di Gangtok, Alexandra incontra anche Thubten Gyatso, Sua Santità il XIII Dalai Lama nel periodo in cui, dal 1910 al 1912, è costretto all’esilio in India. Il Dalai Lama incoraggia Alexandra a proseguire gli studi buddisti e a studiare il tibetano, pur rinviando le risposte alle troppe e scomode domande della sua interlocutrice.
Il principe, il maestro e il Dalai Lama si mostrano molto disponibili e accoglienti verso questa piccola donna francese, che accosta il buddismo alla sua mentalità egualitarista, democratica e razionale e che va ricordata come un’iniziatrice della diffusione del buddismo in Occidente.
Quando, il 6 dicembre 1914, succeduto al trono paterno da poco meno di un anno, Sidkeong muore, Alexandra, profondamente addolorata, trova ancora più determinazione ad approfondire il suo apprendistato magico-dottrinale, da poco intrapreso col maestro di Lachen, incontrato nel palazzo di Gangtok. Il 27 ottobre del 1914, giorno in cui viene stilato il contratto tra guru e discepola e inizia il duro apprendistato, Lampada di Saggezza, nome iniziatico di Alexandra, così scrive nel diario:
“Dovevo promettere di rimanere a sua completa disposizione per un anno, d’inverno nel monastero e d’estate in una caverna vicina alla sua… Mi batteva il cuore ed ebbi un moto di ritrosia… poi promisi. Chi vuole il fine deve accettare i mezzi”.
Quando di cognome faceva solo David e viveva nel materno Belgio (la madre era belga il padre francese) Alexandra viaggia, o meglio fugge dal progetto di sua madre: presentarla a corte e combinarle un buon matrimonio. Adolescente si reca in Olanda, in Inghilterra e sui laghi italiani fino a che i soldi finiscono; a quel punto manda un telegramma per farsi venire a prendere: “per la mentalità dell’alta borghesia del tempo, non si poteva immaginare un comportamento più scandaloso”, scrive la biografa Ruth Middleon (p. 25). Dopo questa prima fuga ne seguono altre: nel 1886, a diciotto anni, per niente interessata ad abiti, gioielli e ai divertimenti: “attraversa diagonalmente in bicicletta Francia e buona parte della Spagna” (p.26). Dal 1888 viaggia e risiede sia a Londra che a Parigi, dove si iscrive alla Massoneria e alla Società Teosofica. Qui frequenta corsi di sanscrito alla Sorbona e il museo Guimet d’arte orientale, dove si nutre sia dei molti libri della biblioteca che della presenza della contessa Bréant, attenta e seria studiosa di filosofia orientale, la quale incoraggia Alexandra a intraprendere il suo primo pellegrinaggio mistico in India, dalla durata di quasi un anno, tra il 1890 e il 1891: a questo viene destinata l’eredità ricevuta dalla nonna materna. Pur tra i molti disagi, e anche delusioni nel toccare con mano ciò che fino ad allora era stato solo idealizzato attraverso testi scritti e collezioni di musei, Alexandra rientra a Parigi più determinata che mai ad approfondire la conoscenza del pensiero indiano.
Nel ventennio che precede il successivo viaggio in Oriente, lavora come cantante, attrice e pubblicista. Scrive articoli anche sui temi femministi e partecipa al Congresso internazionale di Roma del maggio 1907. Sposa Philippe Neel, ingegnere capo delle ferrovie francesi in Nord Africa, con il quale vive in una bellissima casa a Tunisi, dove riceve l’offerta di dirigere il teatro e dove abita quando non è in viaggio per i vari impegni nelle città europee. Intanto scrive il primo dei suoi libri più noti: Le modernisme bouddhiste et le bouddhisme du Bouddha, pubblicato nel 1911.
Il suo secondo e più importante viaggio in Oriente dura quattordici anni e ha inizio nell’estate 1911: Alexandra ha 43 anni incontra il principe Sidkeong Tulku Namgyal, il maestro Lachen Gomchen Rinpoché e il giovane monaco tibetano Aphur Yongden che diviene suo compagno di vita e avventure, e che in seguito adotta come figlio.
A partire dal 1916, Alexandra, costretta a lasciare il Sikkim, dove non era benvoluta dal fratellastro del compianto Sidkeong, viaggia insieme a Yongden e tra molte difficoltà lungo India, Cina, Giappone, raccontate nel libro del 1933 Nel paese dei briganti gentiluomini.
Ma il suo obiettivo è arrivare a Lhasa, missione che appare impossibile per varie ragioni: le dure condizioni climatiche e socio-politiche, il divieto di accesso ai turisti stranieri, le difficili condizioni di spostamento in quelle zone. Inoltre, su di lei pesa anche il fatto di essersi resa invisa al governo britannico in India per avere sospettosamente incontrato, a novembre 1911, nella colonia francese Pondicherry, Ghose Aurobindo, il filosofo anticolonialista indiano, nel diario del 14/2/1912 definito mystique vedantiste, in fuga dalla polizia britannica che lo considera un pericoloso estremista politico.
Nel 1924 Alexandra e Yongden riescono a raggiungere la città di Lhasa, attraverso il confine indiano, travestendosi da pellegrini mendicanti. Vi permangono alcuni mesi: questa avventura, che la renderà famosa nel mondo viene raccontata nel suo libro My Journey to Lhasa, tradotto in italiano come Viaggio di una parigina a Lhasa.
Scoperta dalla polizia, Alexandra è costretta a tornare in Francia nel 1925. Dopo essersi separata dal marito Philippe Neel, a cui aveva continuato a scrivere per tutti questi anni, promettendogli spesso che sarebbe tornata presto, e rinviando il suo rientro, va a vivere in Provenza, a Digne, insieme a Yongden, e lì costruisce la sua “fortezza di meditazione” dove si dedica alla stesura di molti dei suoi più di trenta libri.
Nel 1937, desiderosa di studiare le ramificazioni del buddismo in regioni marginali come la Siberia e la Mongolia e di compilare una grammatica tibetana, riparte. Alexandra ha 70 anni ed il suo fedele compagno Aphur Yongden ne ha 38. Attraversano la Transiberiana in treno, ma arrivati in Cina, rimangono bloccati a causa della guerra Cina-Giappone, soffrendo fame e disagi. Dopo essere stati anche in India, ritornano trionfalmente in Francia nel 1946 e si stabiliscono nuovamente a Digne, nella casa monastero di Samten-Dzong. I libri di Alexandra trovano un pubblico sempre più entusiasta e vengono tradotti in molte lingue.
Nel 1955 muore Aphur (intanto adottato con il nome di Arthur David), a causa di un attacco renale. Nonostante i trenta anni di differenza, Alexandra gli sopravvive ancora tredici anni e all’età di 100 anni rinnoverà il passaporto, nell’opportunità, chissà, di ripartire ancora. Viene intanto onorata della medaglia d’oro della Società Geografica di Parigi e nominata cavaliere della Legion d’onore. A lei e Yongden viene riconosciuto il titolo di lama tibetani.
Muore l’8 settembre del 1969. Il 28 febbraio 1973, le sue ceneri e quelle del figlio adottivo, Lama Aphur Yongden, vengono portate a Benares e da lì lasciate scorrere lungo le acque del Gange.
Tenzin Gyatso, 14th Dalai Lama, ha visitato e benedetto Samten-Dzong a Digne, che è oggi museo e sede del Centro Culturale Alexandra David-Néel.
Alexandra David Neel piccola longeva donna, che parlando a regnanti e capi spirituali li ha persuasi delle sue idee razionali e riformiste, che con i suoi libri ha convertito al buddismo scrittori come Allen Ginzberg, continua ancora oggi a parlare attraverso i suoi molti libri.