Il «pragmatico» Grigorij Yavlinskij: il futuro fa paura
Di Marco Imarisio
La strada insieme Navalny è stato con noi in Yabloko per 8 anni Poi le nostre differenze di vedute sono diventate insanabili, ma ciò non toglie nulla all’orrore Sulla guerra «Bisogna tentare di condurre trattative, è il lavoro della diplomazia Non c’è alternativa»
«Qualunque sia la causa della morte, Navalny è stato vittima di una brutale repressione politica»: Grigorij Yavlinskij, presidente del partito liberale Yabloko non ha dubbi.
«La Russia sta male e quindi anche io non mi sento tanto bene». Grigorij Yavlinskij non offre spunti di ottimismo. Il presidente e fondatore del partito liberale e pacifista Yabloko è noto per il suo pragmatismo che lo porta a muoversi sempre sul filo. Un po’ dentro e un po’ fuori l’attuale sistema russo. Al punto da attirarsi spesso sospetti di vicinanza al Cremlino. Che almeno a giudicare dai concetti espressi durante questa conversazione, si rivelano infondati. «Quella che mi sta per fare è per me la domanda più difficile».
Aleksei Navalny?
«Qualunque sia la causa della morte, è stato vittima di una brutale repressione politica. Le condizioni della sua detenzione non sono state altro che una forma di tortura fisica e psicologica».
Quanto vi siete detestati?
«È stato con noi in Yabloko per otto anni. Lo conoscevo bene. A un certo punto le nostre differenze di vedute sono diventate insanabili. Abbiamo discusso in pubblico e ci siamo spesso criticati con durezza. Ma questo non sminuisce certo l’orrore di un sistema dove le autorità non si fermano davanti a nulla per sopprimere il libero pensiero di un oppositore».
Perché ha scelto ancora una volta di non candidarsi alle elezioni presidenziali?
«Non sono elezioni, ma una semplice procedura burocratica senza alternativa, sotto il pieno controllo delle autorità».
Un plebiscito?
«Esatto. Le anticipo già il risultato: 80 per cento dei voti a Putin, affluenza del 75%. In
Russia già da tanti anni vige un sistema autoritario-corporativo che non contempla libere elezioni. Inoltre, sono state varate leggi che non mi avrebbero consentito di avere libero accesso alla televisione e alla stampa. Ciò significa che sarebbe stato ugualmente impossibile parlare alla gente. d
Quindi, perché partecipare?».
Per fare opera di testimonianza?
«Questa volta è inutile. Non mi aspetto niente da queste elezioni. Vi partecipano in qualità di candidati solo tre strenui sostenitori di Putin, che appoggiano pienamente la sua politica, compresa la guerra con l’Ucraina. Non sapremo mai quanta gente andrà ai seggi. Tanto più che una parte notevole della votazione sarà elettronica».
Cosa pensa dell’esclusione dalla competizione elettorale di Boris Nadezhdin, sul quale c’erano molte perplessità?
«Conosco Nadezhdin da molto tempo. Si è candidato per conto di innumerevoli partiti e movimenti. Ora dirige nella regione di Mosca un gruppo di “Russia Giusta”, il quale sostiene Putin in tutto. Il Cremlino si è ricreduto sul fatto di avere un candidato ufficiale contro l’operazione militare in Ucraina. Hanno deciso di non rischiare. Ma tutto è controllato e gestito da loro».
Il popolo russo vuole davvero un candidato pacifista?
«Una figura del genere potrebbe avere un senso in caso di elezioni oneste. Oggi questa possibilità non c’è, e non esiste alcuna fiducia della gente nel voto. Non ci sono le condizioni».
Fare opposizione in Russia è davvero impossibile?
«In un Paese senza democrazia, dove opera un duro regime autoritario, dove è assente un sistema giudiziario indipendente, dove non c’è accesso ai media, è molto complicato. Noi di Yabloko facciamo di tutto per far sentire la nostra voce. Ma è impossibile diventare un aggregatore di masse nelle condizioni attuali. Con una propaganda che occupa ogni spazio, in una società immersa in una atmosfera di paura collettiva».
Condivide i frequenti paragoni con il 1937?
«Ne capisco il senso, ma ci sono evidenti differenze. A cominciare dal numero delle vittime della repressione. Stalin non aveva la televisione e Internet per tenere “sedata” la popolazione. Ma c’è una cosa in comune tra le due epoche, che il resto del mondo sottovaluta. La gente ha proprio tanta paura. Tutti hanno figli, famiglie, persone care. E le persone non credono di poter influire su alcunché. Il popolo tace. Oggi come allora».
Quando è cominciata la
distruzione sistematica delle voci contro?
«Negli anni Novanta in Russia vennero attuate riforme criminosamente errate: si effettuò una privatizzazione delittuosa e si saldò la proprietà privata al potere creando così il fondamento della corruzione e dell’oligarchia, e provocando nella gente una delusione irreparabile. Inoltre, la rinuncia ad una valutazione statale giuridica dello stalinismo ha portato in definitiva a Putin. L’odierno sistema russo non è solo questione di personalità. È il risultato del fallimento delle trasformazioni postsovietiche».
A cosa gli serve un ennesimo plebiscito?
«Una volta ogni sei anni, gli occorre la procedura che conferma formalmente la sua legittimità. Dopo una dimostrazione di sostegno così trionfale, può in genere fare quello che gli pare e piace».
Per quanto tempo Putin porterà avanti la guerra?
«Non ha senso discutere le intenzioni. Bisogna parlare di quello che è necessario fare. Oggi come oggi è di vitale importanza concludere un accordo sul cessate il fuoco, e fermarsi. Negli ultimi mesi, Putin parla sempre di colloqui. Bisogna tentare di condurre trattative, questo è il lavoro della diplomazia. Non c’è alternativa».
Come sarà la Russia dei prossimi anni sotto Putin?
«Le prospettive sono molto preoccupanti. In un futuro prossimo potrebbero avvenire scontri interetnici oppure interreligiosi. Potrebbe rialzare la testa l’ala ultranazionalista. Potrebbero ampliarsi le repressioni politiche. Tuttavia, sono sicuro che prima o poi avremo di nuovo una possibilità per diventare un Paese moderno e democratico. Ma quando e come ciò accadrà, non lo sa ancora nessuno».
Fonte: Corriere