AGI – Il “fenomeno Zemmour”, l’opinionista di destra probabile candidato alle elezioni presidenziali francesi, non indebolirà Marine Le Pen quanto i repubblicani, e potrebbe determinare un indiretto rafforzamento di Emmanuel Macron nella corsa all’Eliseo. Ne è convinto il pensatore francese Alain de Benoist, “padre” della Nouvelle Droite, che in una intervista all’AGI si dice anche convinto di una prossima robusta ripresa dei movimenti populisti, in Francia e in Italia.
“Le presidenziali francesi si caratterizzano sempre per sorprese e colpi di teatro”, osserva de Benoist. “Tutti dicevano che le elezioni del 2022 avrebbero ricalcato quelle del 2017 con il testa a testa tra Macron e Le Pen, invece è sopraggiunto l’elemento nuovo di Éric Zemmour, il quale sembra lanciato verso la candidatura, a sparigliare le previsioni”.
Nei sondaggi si alternano i suoi reciproci sorpassi con Marine Le Pen. Cosa li differenzia agli occhi degli elettori?
Le posizioni e le proposte di Zemmour sono più radicali rispetto a Le Pen. È difficile pronosticare se accrescerà ancora i consensi o se si sgonfierà bruscamente. È un fatto che tutte le previsioni sulle presidenziali francesi si sono sempre rivelate sbagliate e questa è la ragione per cui guardo con curiosità agli eventi, ma mi astengo dal fare pronostici.
Zemmour e Le Pen attingono allo stesso bacino elettorale?
Non direi. Le Pen manterrà il voto delle classi popolari, mentre a Zemmour guarda la piccola borghesia attratta dalle sue posizioni, più radicali sui temi dell’identità culturale francese e dell’immigrazione, mentre sotto il profilo economico esprime idee molto più liberali di Marine Le Pen. Non credo che potrà sfondare tra le classi popolari.
Zemmour a chi toglierà i voti?
Ai repubblicani, il cui elettorato condivide in certa parte le opinioni di Le Pen sull’immigrazione però non la vota, mentre si sente più rassicurato da Zemmour. Poi prenderà un pezzetto di destra radicale fuoruscita dal Rassemblement National perché non ha condiviso lo spostamento del partito su posizioni più moderate.
Lei non crede all’iniziativa presa dal sindaco di Béziers, Robert Ménard, per una intesa tra Le Pen e Zemmour?
Menard stesso è stato molto incerto, prima appoggiando Le Pen e dissuadendo Zemmour, poi quando è cresciuto nei sondaggi ha spinto per questa riconciliazione. L’ipotesi però mi sembra prematura. Certo c’è il rischio che la competizione tra loro favorisca in modo indiretto il successo di Macron.
In che misura lei condivide le idee di Zemmour?
Sono d’accordo quando sostiene che l’immigrazione in Francia è diventata un problema serio e condivido la difesa dell’identità nazionale. Le mie divergenze sono invece profonde sul tema dell’Europa: l’Unione europea è un conto, l’Europa è un altro. Io la distinzione la faccio. Inoltre non amo certo suo giacobinismo e credo che il radicalismo delle sue opinioni sia troppo estremizzato per risultare credibile. Sotto il profilo personale giudico Éric un uomo simpatico, con molta energia e volontà, con carisma e un’ottima cultura storica, di gran lunga superiore alla maggioranza della classe politica francese. Ovviamente, un conto è avere successo da opinionista e scrittore, altro è ottenerlo in politica.
Quali sono i padri culturali di Zemmour? A quale filone di destra si richiama?
Zemmour ha una formazione mista, non si può compararlo a un preciso fenomeno della storia francese. Anche se vorrebbe ascriversi alla tradizione gollista e bonapartista, bisogna ricordare che queste godevano il consenso generale delle classi popolari, lui dei piccoli borghesi che si sentono minacciati, come altrove in Europa, di declassamento.
E la grande borghesia?
Non importa se di destra o di sinistra, la grande borghesia liberale si è felicemente riunita nel consenso a Emmanuel Macron.
Come giudica il quadriennio di Macron all’Eliseo?
Totalmente negativo, anche se ammetto che la sua presidenza ha attraversato congiunture difficili, da ultima la pandemia. Malgrado le promesse elettorali del grande piano di investimenti, malgrado ogni suo sforzo, Macron non riuscirà a conquistare le classi popolari. Gli confermeranno il sostegno, come dicevo, la borghesia liberale, le grandi imprese, i pensionati che si sentono rassicurati dalle sue politiche. Il suo bilancio è negativo sia sul fronte interno sia su quello internazionale, nei contraddittori rapporti con Stati Uniti, Russia, Italia e ora con l’Algeria, per non parlare dei vani sforzi per rilanciare l’Europa con Angela Merkel.
Lei è ottimista o pessimista sul futuro della Francia?
Ci sono più ragioni per essere pessimista, ma la Storia è il dominio dell’incerto. I fattori del declino francese sono numerosi: politici, finanziari e sociali. Questa deve essere però una ragione in più per rimboccarsi le maniche, non una scusa per lasciarsi andare.
Pensa che il populismo attraversi un momento di crisi?
È in una fase stazionaria. Voglio sottolineare, se mai ce ne fosse bisogno, che non si tratta di una ideologia ma di uno stile che può innestarsi su ideologie assai differenti, per cui sarebbe più appropriato parlare di populismi, al plurale. Non solo ritengo che il populismo sia lontano dalla scomparsa, ma è più vivo che mai essendo il prodotto della crisi radicale della democrazia liberale e rappresentativa, una reazione che nasce dalla progressiva degradazione delle condizioni sociali delle fasce fragili, sempre più precarie e declassate. Credo che in futuro alcuni Paesi, soprattutto la Francia e l’Italia, si debbano attendere nuove crisi sociali, accelerate da quelle finanziarie, che alimenteranno le rivolte. I Gilet jaunes ne sono stati solo un’anticipazione. C’è un crescente scontento popolare che si trasformerà in rabbia contro le élite politiche, finanziarie e mediatiche. Una prossima ondata populista, più che possibile, è probabile.
Quanto contribuisce la debolezza dei partiti?
Molto, perché neanche i partiti di opposizione sono più capaci di intercettare lo scontento, non hanno una visione generale delle cose né una strategia. Il populismo non si trasfonderà più in partiti o movimenti ma in azioni istintive, manifestazioni atomizzate perché prive di una organizzazione complessiva, ma proprio per questo più difficili da tenere sotto controllo.
Dove sono i leader capaci di guidarle?
Adesso non ne vedo ma ripeto: la Storia è il dominio dell’imprevisto. I grandi leader vengono fuori da situazioni eccezionali.
Cosa pensa delle rivolte di piazza italiane contro l’obbligo del green pass nei luoghi di lavoro?
L’idea del green pass è inaccettabile e discriminatoria, è una sorta di passaporto interno. Sarebbe meglio introdurre la vaccinazione obbligatoria e sopprimere il pass sanitario.
Ma lei, alla fine, per chi voterà in Francia?
Non solo non lo so, ma neanche so se andrò a votare.
Source: agiestero