Con un fatturato stimato per il 2023 che dovrebbe superare tra agricoltura e industria i 250 miliardi di euro, l’agroalimentare sembra confermarsi, in un anno complicato come quello appena trascorso, uno dei settori di punta del nostro Paese. Ne abbiamo parlato con Luigi Scordamaglia, amministratore delegato di Filiera Italia, la fondazione che tiene insieme tutto il comparto, dalla produzione agricola alla trasformazione fino alla distribuzione, oltre 110 aziende del Made in Italy per 70 miliardi di fatturato.
Che ruolo ha l’agroalimentare tra i settori trainanti del Paese?
“Le crisi a livello globale hanno aumentato l’insicurezza alimentare generando tensioni e fenomeni migratori da Paesi non autosufficienti ma dipendenti totalmente dall’estero per l’approvvigionamento alimentare. In questo contesto il modello italiano con la sua filiera sta avendo un ruolo essenziale nell’aiutare questi Paesi, aumentando la loro produzione con l’agricoltura di precisione di cui è leader ma anche supportandoli nei percorsi di sostenibilità. Guardando i numeri, per l’Italia il settore agroalimentare considerato nella sua interezza, dalla produzione agricola alla distribuzione, ha raggiunto i 600 miliardi di euro di fatturato, con oltre 4 milioni di dipendenti confermandosi il primo settore manifatturiero italiano”.
Siamo stati capaci di confermarci anche sull’export? Quali le principali sfide sul commercio estero?
“A differenza di altri anni la spinta propulsiva dell’export non è riuscita a compensare il rallentamento del mercato interno nel settore agroalimentare i cui consumi domestici sono crollati in volume del 4,5%. Tuttavia abbiamo raggiunto il record assoluto dell’esportazione agroalimentare con una previsione secondo le nostre analisi per il 2023 di 64 miliardi di euro. Dal confronto con la crescita degli scorsi anni si nota tuttavia un certo rallentamento: quest’anno toccheremo un +7% circa, una crescita decisamente inferiore a quelli a doppia cifra degli ultimi dieci anni a valore, mentre a volume il segno è negativo, con una contrazione che ha toccato un -3,5%. In sintesi il nostro export alimentare crescerà sempre, perché tutto il mondo vuole mangiare (e vivere) secondo il modello italiano, ma dobbiamo essere sempre più competitivi nella logistica e nei costi di produzione perché quando questi costi aumentano, anche Paesi come gli Stati Uniti, che pur vivendo un momento felice dal punto di vista economico, si rivolgono all’Italian Sounding, a tutti quei prodotti che vantano ingannevolmente un portato di italianità che però non hanno”
Carne artificiale contro la carne tradizionale. A che punto siamo?
“Finalmente anche gli altri Paesi europei stanno cominciando a capire che il divieto italiano di produzione e consumo di carne artificiale non ha nulla di ideologico, ma è una necessaria moratoria per affermare in Europa il principio di precauzione lasciando la parola alla scienza e modificando le linee guida comunitarie sui novel food, per fare cioè in modo che questi prodotti vengano valutati adeguatamente e ne venga valutato l’impatto sulla salute umana e sull’ambiente”
In Europa è riconosciuta la nostra eccellenza? A che punto è l’Italia sulla sostenibilità?
In Europa l’eccellenza delle nostre produzioni agroalimentari è riconosciuta sempre di più, tanto che se l’export cresce globalmente al 7%, verso i Paesi europei è cresciuto nel 2023 di oltre il doppio, a cominciare dalla Germania, nostra prima meta di esportazione, ma anche verso Francia e Spagna, un tempo considerati Paesi tradizionalmente concorrenti. La sostenibilità è parte integrante della nostra eccellenza agroalimentare e lo diciamo con i numeri: produciamo il record di valore aggiunto a livello europeo, con oltre 65 miliardi e per farlo emettiamo solo 30 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti, pari a un terzo delle emissioni dell’agroalimentare francese e a metà di quello tedesco. È per questo che come filiera Italia siamo sempre più concentrati nel comunicare rendere consapevoli consumatori globali del nostro record di sostenibilità”
Quale sarà la parola d’ordine per il 2024?
“Senza dubbio ‘filiera’, un termine centrale che non è più solo un concetto ma un modello, un elemento distintivo che consentirà di competere a livello nazionale e globale grazie a una supply chain consolidata che consentirà di disporre di prodotti quali-quantitativamente adeguati in un contesto mondiale sempre più incerto, di garantire gli indispensabili passaggi generazionali con certezze di lungo termine e di rivedere le catene di fornitura globali accorciando le forniture con un processo di friendshoring (produzione e approvvigionamento da alleati geopolitici, sinonimo di blocco commerciale) nei Paesi vicini, progetto che come Filiera Italia abbiamo già avviato con diverse nazioni non solo europee”. (AGI)