Agricoltura: dal 1950 abbandonati 400 milioni di terreni

Roma, 22 set. (askanews) - "Il sistema agroalimentare italiano genera un fatturato complessivo superiore a 500 miliardi di euroe garantisce elevati livelli occupazionali. E´ il primo ambasciatore dell'italianità all'estero e contribuisce a preservare l'identità delle comunità locali". Lo ha detto il presidente della Camera, Lorenzo Fontana, nel saluto di apertura dell'incontro con i sindacati di settore in corso a Siracusa-Ortigia nell'ambito di DiviNazione Expo. Fontana ha ricordato poi: "provengo da una famiglia di agricoltori da parte di mamma, della profonda provincia veneta e ne sono ampiamente orgoglioso, perché senza l'agricoltura non c'è il cibo e senza il cibo non c'è il benessere", ha detto. Il G7 dei ministri dell'Agricoltura e della Pesca che si terrà a aseguire a Ortigia dal 26 al 28 settembre per Fontana "è uno degli appuntamenti più significativi dell'anno di presidenza italiana e rappresenta una preziosa occasione di riflessione e di confronto su un settore di rilevanza strategica, un autentico pilastro della nostra economia". La realtà agroalimentare italiana "è un patrimonio di inestimabile valore sociale e culturale - ha aggiunto Fontana - primo ambasciatore dell'italianità all'estero ed espressione della biodiversità dei territori. Investire in questo comparto significa preservare l'identità delle comunità locali, favorendone la crescita contro la progressiva tendenza all'omologazione".


A livello globale, dal 1950 circa 400 milioni di ettari di terreni agricoli sono stati lasciati incolti. Nella sola Europa dal 1990 la stima arriva a circa 120 milioni di ettari. E’ quanto emerge da un nuovo articolo pubblicato sulla prestigiosa rivista “Science”. “Si tratta di un fenomeno mondiale – spiega Peter Verburg, ricercatore dell’uso del territorio presso la Free University Amsterdam – Il commercio globale di cibo ha alimentato il disboscamento in Brasile e Bolivia per l’agricoltura, ma altrove ha messo da parte le piccole aziende agricole con terreni rocciosi, colline scoscese o acqua scarsa. Le persone hanno rinunciato perché semplicemente non riescono a competere”. Il processo di abbandono dei campi ha effetti contrastanti sulla biodiversità e sull’ambiente delle zone lasciate incolte. Se, ad esempio, le fattorie nel nord-est degli Stati Uniti che hanno chiuso i battenti tra il 1880 e il 1930 si sono trasformate per lo più in foreste sane, un gruppo di scienziati polacchi ha riferito su Science nel 2023 che fino al 75 per cento dei terreni agricoli abbandonati di quel paese è ora dominato da specie invasive come la verga d’oro, il noce e l’acero negundo. Alcuni ricercatori hanno suggerito di indirizzare geograficamente i sussidi UE, con finanziamenti per fermare l’abbandono delle terre dove le conseguenze sembrano particolarmente dannose, promuovendo al contempo il rewilding in altre aree. Ma decidere dove intervenire risulta allo stato ancora scientificamente problematico. (AGI)