Passano mesi, una manciata, forse otto o dieci. Parlando d’altro con il commercialista che era andato in missione gli segnalo che del rimborso finora nemmeno l’ombra. Lui che è un professionista chiama l’Agenzia della Entrate per informarsi. Gli dicono: il rimborso è partito, nella forma di una raccomandata che contiene un assegno. Bene, grazie. Gli aggiungono che la raccomandata è indirizzata a…segue l’indirizzo del mio genitore defunto, indirizzo dove nessuno della famiglia abita più da una decina di anni. Non è finita: l’assegno contenente il rimborso è intestato…al defunto. E solo lui potrebbe cambiarlo tranquillamente in qualsiasi banca.
Riepiloghiamo: l’Agenzia delle Entrate mi cerca e mi trova, in quanto erede, quindi sa che mio padre è morto, al mio indirizzo attuale. Si fa dare gli estremi del mio conto in banca per fare su quel conto il bonifico. Poi la stessa Agenzia invia una raccomandata all’indirizzo del defunto e intesta a lui l’assegno. Raccomandata che è destinata a perdersi a meno di non fare la “posta” la postino sotto quella casa per un paio di mesi. E comunque assegno che, ammesso di intercettarlo, potrebbe essere incassato solo a Bankitalia dopo aver provato di nuovo, carte alla mano, dopo averlo provato già al fisco almeno tre volte, di essere l’erede. E il tutto senza sapere se il fatidico rimborso è di cento, mille o diecimila euro.
Particolare non marginale perché commercialisti, documenti e viaggi-ispezione al vecchio indirizzo un costo ce l’hanno. Ma quel che qui interessa non è il lamento e l’aneddoto, nonostante siano il primo sacrosanto e il secondo gustoso. Quel che interessa è la morale della storia. Che non è il solito: agenti delle tasse vampiri del popolo. La morale è che da questo aneddoto puoi guardare lungo e dentro la Pubblica Amministrazione italiana. Dove ci sono impiegati/e funzionari/e dotati di competenza, abilità, efficienza, capaci di senso e voglia del loro agire: quello/a che ti cerca e trova come erede nonostante la routine del suo impiego a questo non lo/la obblighi, spinto/a invece da una sorta di professionale civismo. E, seduti alla scrivania a fianco, impiegati/e funzionari/e che se ne fregano, applicano la routine della scartoffia con noia e un filo di crudeltà verso il prossimo spedendo il rimborso fiscale all’indirizzo che non c’è più e intestando l’assegno all’uomo che non c’è più.
Il messaggio che viene dal primo impiegato o funzionario, uomo o donna che sia è: tu sei un cittadino e io lavoro in una struttura che rende ai cittadini servizi, quello sacrosanto di fargli pagare le tasse e quello doveroso di rimborsarli se ne hanno diritto. Il messaggio che viene dal secondo impiegato o funzionario uomo o donna che sia è: tu sei nessuno, una pratica, un fastidio e io lavoro in una struttura che applica i regolamenti della burocrazia e del resto se ne frega. Insomma una versione plebea del Marchese del Grillo che arringava: “Io so’ io e voi non siete un cazzo”. E’ imminente uno sciopero di Cgil e Uil, la Cisl non si sa, a difesa del pubblico impiego minacciato niente meno che da tagli di organico e da efficientismo “teso a dividere i lavoratori”. I sindacati chi difendono, l’impiegato funzionario del primo tipo o il secondo? Loro, i sindacati, dicono di difendere entrambi. Ma è una bugia, difender entrambi non si può.
A difenderli tutti e due, come dicono di fare i sindacati, si è costruito nei decenni quella che è la vera morale della piccola storia: niente, non c’è niente e nessuno nella Pubblica Amministrazione, nelle sue regole, nei suoi stipendi, nelle sue carriere che premi davvero l’impiegato o funzionario del primo tipo e punisca davvero quello del secondo tipo. Si dice, si vuole che siano uguali e la si chiama eguaglianza del lavoratore. Invece non sono uguali: il primo è un lavoratore utile alla società, il secondo è per la società un danno.
(fonte: Blitzquotidiano.it)