Adriano Pedrosa: “Ecco la mia Biennale”


Da sabato 20 aprile a domenica 24 novembre 2024 è in corso la 60ma Biennale d’Arte di Venezia dal titolo Stranieri Ovunque – Foreigners Everywhere.

Il testo riportato qui di seguito a corredo dell’intervista qui proposta, è l’opera del Direttore Artistico del Settore Arti Visive, Adriano Pedrosa curatore della Biennale Arte 2024.

La sua visione e la sua guida sono fondamentali per comprendere appieno lo spirito e lo scopo di questa Biennale. Attraverso il suo scritto, Pedrosa offre una profonda analisi del significato dietro il titolo della mostra, esplorando le molteplici dimensioni del concetto di “straniero” in un mondo segnato da confini, migrazioni, identità complesse e disuguaglianze.

Nel suo testo, come nell’intervista, Pedrosa delinea il contesto artistico, storico e sociale in cui si colloca l’opera di Claire Fontaine, dal cui lavoro è tratto il titolo della Biennale. Esamina le implicazioni del concetto di “straniero” attraverso un’ampia prospettiva che abbraccia l’identità, la storia e le dinamiche geopolitiche di Venezia e del mondo contemporaneo.
Attraverso una serie di riflessioni, il curatore mette in luce l’importanza di dare voce agli artisti che incarnano l’esperienza dell’essere “stranieri”, “immigrati”, “diasporici” e altro ancora, concentrandosi sulle loro opere e sulle tematiche della migrazione e della decolonizzazione. Questo testo introduttivo fornisce una chiave di lettura fondamentale per interpretare e apprezzare appieno le opere esposte alla Biennale, offrendo una guida essenziale per esplorare le molteplici prospettive e narrazioni rappresentate dagli artisti partecipanti.

Stranieri Ovunque – Foreigners Everywhere di Adriano Pedrosa

Il titolo della 60. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia è tratto da una serie di lavori realizzati a partire dal 2004 dal collettivo Claire Fontaine, nato a Parigi e con sede a Palermo. Le opere consistono in sculture al neon di diversi colori che riportano in un numero crescente di lingue le parole “Stranieri Ovunque”. L’espressione è stata a sua volta ripresa dal nome di un omonimo collettivo torinese che nei primi anni 2000 combatteva il razzismo e la xenofobia in Italia. La serie di sculture al neon di Claire Fontaine comprende al momento 53 lingue, occidentali e non, tra cui diversi idiomi indigeni, alcuni dei quali di fatto estinti: quest’anno saranno esposti alla Biennale Arte in una nuova installazione su larga scala negli emblematici cantieri navali delle Gaggiandre all’Arsenale.

Il contesto in cui si colloca l’opera è un mondo pieno di crisi multiformi che riguardano il movimento e l’esistenza delle persone all’interno di Paesi, nazioni, territori e confini e che riflettono i rischi e le insidie celati all’interno della lingua, delle sue possi ili traduzioni e della nazionalità , esprimendo di erenze e disparit condizionate dall’identità, dalla cittadinanza, dalla razza, dal genere, dalla sessualità, dalla libertà e dalla ricchezza. In questo panorama, l’espressione Stranieri Ovunque ha più di un signficato. Innanzitutto vuole intendere che ovunque si vada eovunque ci si trovi si incontreranno sempre degli stranieri: sono/siamo dappertutto. In secondo luogo, che a prescindere dalla propria ubicazione, nel profondo si è sempre veramente stranieri.
Inoltre, l’espressione assume un significato molto particolare e specifico a Venezia: una città la cui popolazione originaria era costituita da profughi provenienti dai centri urbani romani, una città che in passato ha rappresentato il più importante fulcro di scambio e commercio internazionale del Mediterraneo, una città che è stata capitale della Repubblica di Venezia, dominata da Napoleone Bonaparte e conquistata dall’Austria, e la cui popolazione oggi è costituita da circa 50.000 abitanti, ma che nei periodi di alta stagione può raggiungere i 165.000 in un solo giorno a causa dell’enorme numero di turisti e viaggiatori (stranieri di tipo privilegiato) che la visitano. A Venezia gli stranieri sono ovunque. Ma si può anche pensare a questa espressione come a un motto, a uno slogan, a un invito all’azione, a un grido di eccitazione, di gioia o di paura: Stranieri Ovunque! E, soprattutto, oggi assume un significato cruciale in Europa, nel Mediterraneo e nel mondo, dal momento che nel 2022 il numero di migranti forzati ha toccato l’apice (con 108,4 milioni secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati) e si presume che nel 2023 sia aumentato ulteriormente.

Nelle più disparate circostanze, gli artisti hanno sempre viaggiato e si sono spostati attraverso città, Paesi e continenti, un fenomeno che a partire dalla fine del XX secolo non ha fatto che ampliarsi (ironia della sorte, proprio in un periodo segnato da crescenti restrizioni rispetto alla dislocazione o allo spostamento degli individui). In occasione della Biennale Arte 2024 si parlerà di artisti che sono essi stessi stranieri, immigrati, espatriati, diasporici, émigrés, esiliati e rifugiati, in particolare di coloro che si sono spostati tra il Sud e il Nord del mondo. La migrazione e la decolonizzazione saranno le tematiche chiave.

Il termine italiano “straniero”, il portoghese “estrangeiro”, il francese “étranger” e lo spagnolo “extranjero” sono tutti collegati sul piano etimologico rispettivamente alle parole “strano” , “estranho”, “étrange” ed “extraño”, ovvero all’estraneo. Viene in mente “Das Unheimliche” di Sigmund Freud, Il perturbante nell’edizione italiana, che in portoghese è stato tradotto con “o estranho”, lo strano che, nel profondo, è anche familiare. Secondo l’American Heritage e l’Oxford English Dictionary, il primo significato della parola “queer” è proprio “strange” (“strano”), pertanto la Mostra si svilupperà e si concentrerà sulla produzione di ulteriori soggetti connessi: l’artista queer, che si muove all’interno di diverse sessualità e generi ed è spesso perseguitato o messo al bando; l’artista outsider, che si trova ai margini del mondo dell’arte, proprio come l’autodidatta o il cosiddetto artista folk o popular; l’artista indigeno, spesso trattato come uno straniero nella propria terra.

La produzione di questi quattro soggetti sarà il fulcro di questa edizione e costituiràmil Nucleo Contemporaneo dell’Esposizione e, sebbene gli autori fondino spesso il lavoro sull’esperienza personale, sulla propria vita, le proprie osservazioni e la propria storia, ci saràm anche chi si addentrerà in questioni formali, con il proprio accento strano, straniero o indigeno.

Gli artisti indigeni avranno una presenza emblematica e le loro opere accoglieranno il pubblico nel Padiglione Centrale, con un murale monumentale realizzato dal collettivo brasiliano Mahku sulla facciata dell’edificio, e nelle Corderie, dove il collettivo Maataho di Aotearoa/Nuova Zelanda presenterà una grande installazione nella prima sala, due ambienti espositivi di impatto simbolico. Gli artisti queer saranno presenti in ogni spazio e costituiranno il fulcro di un’ampia sezione nelle Corderie (con opere di autori provenienti da Canada, Cina, India, Messico, Pakistan, Filippine, Sudafrica e Stati Uniti), nonché di un’area dedicata all’astrazione queer nel Padiglione Centrale (con lavori di artisti provenienti da Cina, Italia e Filippine). Verranno presentate tre delle artiste outsider europee più straordinarie: Madge Gill dal Regno Unito, Anna Zemánková dalla Repubblica Ceca e Aloïse dalla Svizzera.

Il Nucleo Contemporaneo ospiterà nelle Corderie una sezione speciale dedicata a Disobedience Archive, un progetto di Marco Scotini che dal 2005 sviluppa un archivio video incentrato sulle relazioni tra pratiche artistiche e attivismo. La presentazione di Disobedience Archive nella Mostra è progettata da Juliana Ziebell, che ha lavorato anche all’architettura espositiva dell’intera Esposizione Internazionale. Questa sezione, suddivisa in due parti principali appositamente concepite per la Mostra, dal titolo Attivismo della diaspora e Disobbedienza di genere. Disobedience Archive, includerà opere di 39 artisti e collettivi realizzate tra il 1975 e il 2023.

L’Esposizione presenterà anche un Nucleo Storico, composto da opere del XX secolo provenienti dall’America Latina, dall’Africa, dall’Asia e dal mondo ara o. Si è scri o molto sui modernismi globali e su quelli del Sud del mondo, motivo per cui in alcune sale saranno esposti lavori provenienti da tali territori, come a costituire una sorta di saggio, una bozza, un ipotetico esperimento curatoriale volto a mettere in discussione i confini e le definizioni del Modernismo.
Conosciamo fin troppo bene la storia del Modernismo in Euroamerica, ma i modernismi del Sud globale rimangono in gran parte sconosciuti. La loro conoscenza è limitata agli specialisti di ogni singolo Paese o regione, i cui lavori saranno collegati ed esposti in un’esperienza illuminante.

Ecco perché queste storie assumono una rilevanza davvero contemporanea: abbiamo urgente bisogno di imparare di più su e da quei contesti. Inoltre, lo stesso Modernismo europeo ha viaggiato ben oltre l’Europa nel corso del Novecento, spesso intrecciandosi con il colonialismo, così come molti artisti del Sud globale si sono recati in Europa per esporre il proprio lavoro. In questo processo, nel Sud globale il Modernismo è stato acquisito e divorato. Il riferimento è al concetto di antropofagia di Oswald de Andrade, proposto all’intellettuale moderno ai margini dell’Europa come strumento per impadronirsi della cultura metropolitana, cannibalizzandola e producendo qualcosa di proprio, nonché evocando la pratica cannibalica degli indigeni Tupinambá nel Brasile pre-invasione. I tipi unici e distinti di Modernismo nel Sud del mondo assumono figure e forme radicalmente nuove in dialogo con le narrazioni e i riferimenti locali e indigeni.

Il Nucleo Storico prevede tre sale con un’opera per ogni artista, per lo più dipinti, ma anche lavori su carta e sculture, coprendo un arco di tempo compreso tra il 1905 e il 1990. È difficile stabilire una cronologia generale rigorosa, poiché i processi possono essere piuttosto singolari in ogni Paese o regione, e spesso seguono percorsi idiosincratici. Nel Padiglione Centrale una sala sarà dedicata ai ritratti e alle rappresentazioni della figura umana e un secondo ambiente alle astrazioni.
Le due sale che ospitano i Ritratti comprenderanno le opere di 112 artisti provenienti da Algeria, Aotearoa/Nuova Zelanda, Argentina, Bolivia, Brasile, Cile, Cina, Colombia, Cuba, Repubblica Dominicana, Ecuador, Egitto, Ghana, Guatemala, India, Indonesia, Iran, Iraq, Giamaica, Corea, Libano, Malesia, Messico, Mozambico, Nigeria, Pakistan, Perù, Filippine, Porto Rico, Singapore, Sudafrica, Sri Lanka, Sudan, Tunisia, Turchia, Uruguay, Venezuela, Vietnam e Zimbabwe. La selezione testimonia come la figura umana sia stata esplorata in innumerevoli modi diversi dagli artisti del Sud globale, facendo riflettere su quella crisi della rappresentazione dell’umano che a caratterizzato gran parte dell’arte del XX secolo. Nel Sud del mondo, numerosi artisti sono entrati in contatto con il Modernismo europeo, attraverso viaggi, studi o libri, pur apportando alle proprie opere riflessioni e contributi molto personali e potenti. La maggior parte dei lavori ritrarrà personaggi non bianchi, il che a Venezia, cuore della Biennale, diventa un tratto eloquente di questo gruppo così ampio ed eterogeneo e della Mostra stessa.

La sala dedicata alle Astrazioni includerà 37 artisti provenienti da Argentina, Aotearoa/Nuova Zelanda, Brasile, Colombia, Cuba, Repubblica Dominicana, Egitto, Guatemala, India, Indonesia, Iraq, Giordania, Libano, Messico, Marocco, Pakistan, Palestina, Filippine, Porto Rico, Sudafrica e Turchia. Il riferimento centrale sarà rappresentato da pittori marocchini della straordinaria Scuola di Casablanca, alcuni dei quali esposti per la prima volta alla Biennale Arte. Ciò che interessa è un certo tipo di astrazione che si distacca dalla tradizione geometrica astratta costruttivista europea, con la sua rigida ortogonale di verticali e orizzontali e la tavolozza di colori primari, al fine di privilegiare forme più organiche e curvilinee, colori brillanti e vivaci, in composizioni di grande impatto.

Quasi tutti gli artisti verranno esposti insieme per la prima volta, al punto che avremo modo di imparare dal vivo da tali impreviste giustapposizioni, auspicando così connessioni, associazioni e parallelismi inediti che vanno ben oltre le categorie piuttosto semplici che ho proposto. Anche se tecnicamente non fanno più parte del Sud globale, nelle stesse sezioni saranno inseriti anche artisti di Singapore e della Corea, che in passato facevano parte del cosiddetto Terzo Mondo. In modo simile, Selwyn Wilson e Sandy Adsett, provenienti da Aotearoa/Nuova Zelanda, saranno inclusi in questo Nucleo Storico: si tratta di artisti Maori di rilevanza storica ed è agli autori indigeni che verrà rivolta la principale attenzione. Poiché la maggior parte di questi artisti sarà presente per la prima volta alla Biennale Arte, verrà pagato un debito storico nei loro confronti.

Una terza sala del Nucleo Storico sarà dedicata alla diaspora artistica italiana nel mondo nel XX secolo: artisti italiani che hanno viaggiato e si sono trasferiti all’estero integrandosi nelle culture locali e costruendo le proprie carriere in Africa, Asia, America Latina, nonché nel resto d’Europa e negli Stati Uniti; artisti che spesso hanno avuto un ruolo significativo nello sviluppo delle narrazioni del Modernismo al di fuori dell’Italia. In questa sala saranno esposte le opere di 40 autori italiani di prima o seconda generazione, collocate negli espositori a cavalletto in vetro ecemento di Lina Bo Bardi (italiana trasferitasi in Brasile, vincitrice del Leone d’Oro speciale alla memoria della Biennale Architettura 2021).

Nel corso della ricerca sono emersi in modo piuttosto organico due elementi diversi, ma correlati, che sono stati sviluppati fino a imporsi come leitmotiv di tutta la Mostra. Il primo è il tessile, esplorato da molti artisti coinvolti, a partire da figure chiave storiche come Olga de Amaral, Eduardo Terrazas e Monika Correa nel Nucleo Storico, fino a molti autori presenti nel Nucleo Contemporaneo – tra cui Agnes Waruguru, Ahmed Umar, Anna Zemánková, Antonio Guzman e Iva Jankovic, le Bordadoras de Isla Negra, Bouchra Khalili, Claudia Alarcon & Silät, Dana Awartani, Frieda Toranzo-Jaeger, Gunes Terkol, Kang Seung Lee, Liz Collins, Mataaho Collective, Nour Jaouda, Pacita Abad, Paula Nicho, Sangódáre Gbádégesin Ajàla, Shalom Kufakwatenzi, Susanne Wenger, Yinka Shonibare – nonché dalle arpilleras cilene. Tali opere rivelano un interesse per l’artigianato, la tradizione e il fatto a mano, così come per le tecniche che, nel più ampio campo delle belle arti, sono state a volte considerate altre o straniere, estranee o strane.

Un secondo elemento è rappresentato dagli artisti – molti dei quali indigeni – legati da vincoli di sangue, come Andres Curruchich e sua nipote Rosa Elena dal Guatemala; Abel Rodriguez e suo figlio Aycoboo dalla Colombia; Fred Graham e il figlio Brett, artisti Maori di Aotearoa/Nuova Zelanda; Juana Marta Rodas e sua figlia Julia Isidrez dal Paraguay; il Makhu, Movimento dos Artistas Huni Kuin, ossia il collettivo Huni Kuin della parte occidentale della regione amazzonica brasiliana; Joseca e Taniki Yanomami, della parte settentrionale della stessa zona; Santiago Yahuarcani e il figlio Rember dal Perù; Susanne Wenger e suo figlio adottivo Sangódáre Gbádégesin Ajàla dalla Nigeria e i fratelli Philomé e Senèque Obin da Haiti e Jewad e Lorna Selim, marito e moglie dall’Iraq e dalla Gran Bretagna. Anche in questo caso la tradizione gioca un ruolo importante: la trasmissione di conoscenze e pratiche da padre o madre a figlio o figlia oppure tra fratelli e parenti.

Come principio guida, la Biennale Arte 2024 ha privilegiato artisti che non hanno mai partecipato all’Esposizione Internazionale, anche se alcuni di loro hanno già esposto in un Padiglione Nazionale, in un Evento Collaterale o in una passata edizione della Esposizione Internazionale. Un’attenzione particolare sarà riservata ai progetti all’aperto, sia all’Arsenale (con lavori di Anna Maria Maiolino, Beatriz Cortez, Claire Fontaine, Lauren Halsey, Leilah Babirye e Taylor Nkomo) sia ai Giardini (con i lavori di Ivan Argote, Mariana Telleria, Rindon Johnson e Sol Calero), e a un programma di performance durante i giorni di pre-apertura e nell’ultimo fine settimana della Mostra.
Alivello personale, mi sento coinvolto in molti dei temi, dei concetti, dei motivi della Mostra nonché nella sua struttura. Nel corso della mia vita ho vissuto all’estero e ho avuto la fortuna di viaggiare molto. Tuttavia, ho sperimentato il trattamento riservato a uno straniero del Terzo Mondo, anche se non sono mai stato un rifugiato e, anzi, secondo l’Henley Passport Index, sono in possesso di uno dei passaporti più prestigiosi del Sud globale. Mi identifico anche come queer, il primo curatore dichiaratamente queer nella storia della Biennale Arte.

Inoltre, provengo dalcontesto brasiliano e latinoamericano in cui l’artista indigeno e l’artista popular svolgono ruoli importanti; sebbene siano stati emarginati nella storia dell’arte, di recente hanno cominciato a ricevere maggiore attenzione. Il Brasile è anche la patria di molti esodi, una terra di stranieri per così dire: oltre ai portoghesi che lo hanno invaso e colonizzato, il Paese ospita le più grandi diaspore africane, italiane, giapponesi e libanesi del mondo.

La stessa Biennale Arte, in quanto manifestazione internazionale con numerose partecipazioni nazionali, ha sempre rappresentato una piattaforma per mettere in mostra opere di stranieri provenienti da tutto il mondo. Nel solco di questa ricca tradizione, la 60. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia, la Biennale Arte 2024, sarà una celebrazione dello straniero, del lontano, dell’outsider, del queer e dell’indigeno.

Fonte: Rai Cultura