Fra i più grandi, indecifrabili interpreti del cinema del novecento
Di Angelo Pizzuto
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A 91 anni, vissuti con pudore e immensa discrezione, scompare uno degli interpreti più originali, inconfondibili, intellettivamente inquieto e sensibile del cinema europeo. Nato a Piolene\Vaucluse, Jean Luoius Trintignant ha attraversato il ‘secolo breve’ con la classe, raffinatezza, discrezione di chi “era nato attore” senza (difesa genetica?) averne mai assimilato vezzi, istrionismi, maniacali presenzialismi ed egocentrismi.
134 film in oltre mezzo secolo di carriera (debuttando, nel 1955, in un piccolo ruolo de “Si tous les gars du monde”, diretto da Christian Jacques) – aveva imparato o, meglio, affinato la difficile arte della ‘sottrazione’ espressiva e posturale (unico paragone: Marcello Mastroianni) “per rendere al meglio le più piccole sfumature”, specie le più stropicciabili “dell’anima umana”. Magistrale nell’imbastire, tassello dopo tassello, senza darlo a vedere, “personaggi vulnerabili e\o impassibili “che vivono i propri sentimenti in modo sofferto”, come tenendo fede ad una sorta di patto segreto che lo legava ai suoi maestri Charles Dullin e Tania Belachova, che lo avevano avviato al teatro di prosa. Al quale Jean Luois tornava volentieri ma non discintinuamente, specie dopo lo strazio della giovane figlia Marie, uccisa nel 2003 da un abominevole compagno di vita e di lavoro. “Alla fine ho deciso o mi sono sentito costretto a non cessare di vivere” – confessava Trintignant
Forse spronato dalla più assodata delle virtù degli attori. “Quando, per assorbire o farti assorbire dai tratti caratteriali di un’altra persona, per essere di sovente il contrario di te stesso, devi conservare un’anima di bambino” Invitando l’interlocutore a “mi dica lei, senza complimenti, se ci sono riuscito”.
Cosa e “chi” ricorderemo con più ammirazione (ed affetto) dell’uomo e dell’interprete? Lo “studente” distolto dai suoi libri ed esami autunnali che – nel “Sorpasso” di Dino Risi- corre euforizzato verso una curva fatale di via Aurelia (“capelli scompigliati dal vento estivo”), su una Lancia decappottabile lanciata verso un burrone da un Vittorio Gassman.”incosciente e infelice”. Lo stesso Jean Luois che, a ottantuno “accompagna” la moglie morente (Emmanuelle Riva, da antologia, in “Amour”) “con il contegno e la forza di una incondizionata dedizione” Due ruoli agli estremi di un’esistenza intensa: complementari ma diversi, che siamo in tanti a ritenere emblematici di una carriera che sarebbe un sopruso paragonare ad altre.
Non a caso, l’anno successivo al debutto con Christian Jacque (e tante esperienze nel teatro di provincia, da Molière agli “esistenzialisti”), Trintignant conosce la gloria (effimera) del pubblico più vellicabile, mediante la partecipazione a queli che, negli anni ’50, apostrofavano film contrari al buon costume: in questo caso il “Piace a troppi” di Roger Vadim, che impone Brigitte Bardot come nuovo sex symbol dell’Europa post bellica (per un pubblico che, ad esempio, aveva disertato “Europa 51” di Rossellini). Capita anche che la vita reale si sovrapponga a quella rappresentata, saettando strali di curiosità morbosa, dal momento che il giovane Jean Louis “coltiva clandestinamente” una relazione con la bella Brigitte, sposata con Vadim, e la vetrina dei gossip ne va in solluchero. Non c riguarda né mai potrebbe (semmai ci deprima)
Tornato alla vita civile, dopo la traumatizzante guerra di Algeria (che invano aveva tentato di disertare), Trintignant interpreta a teatro il ruolo che lo ammaliava sin da ragazzo, l’Amleto di William Shakespeare, per poi proiettarsi nell’esemplare ‘portrait’ cinematografico di “Estate violenta di Valerio Zurlini” (1959) e poi, ancora con Vadim, in due ruoli di spicco (il seducente-innocente) per “Le relazioni pericolose” (1960) e “I sette peccati capitali” (1961).
Successivo all’incontro con Risi, nel 1966, è l’affermazione internazionale con il sopravvalutato amore vedovile di “Un uomo, una donna” di Claude Lelouch che espugna la Palma d’Oro al Festival di Cannes, l’Oscar per il miglior film straniero e la migliore sceneggiatura originale. “Sarà- scherzava l’attore- ma grazie a Lelouch ho realizzato, per finta, un altro sogno d’infanzia: il corridore automobilistico”
Nel 1968 Trintignant si aggiudica il premio come miglior attore al Festival di Berlino con “L’uomo che mente” di Alain Robbe-Grillet. Recitando poi in film politicamente impegnati contro il fascismo e la dittatura: un titolo per tutti “Z – L’orgia del potere” (1969) di Constantin Costa Gavras, per il quale è miglior attore al Festival di Cannes di quell’anno. Sul set, immediatamente dopo, in un delizioso classico della nouvelle vague, “La mia notte con Maud” (1969) di Eric Rohmer. Indirizzando e destreggiano la carriera tra cinema d’autore, film commerciali e teatro, (“dove incarna spesso ruoli di affascinanti e carismatici antieroi dalla voce vellutata e dal sarcasmo tormentato”- annotano i critici francesi)
Nel 1970 Trintignant interpreta quello che egli stesso considera ls sua prova migliore ovvero “Il conformista” di Bernardo Bertolucci,, ove (in un ‘assillante’ clima di onirismo, solennità, anonimato) “riesce ad esser” un indistinto e frustrato provinciale intinto magistralmente (“… ma dopo aver letto decine di volte il romanzo di Moravia”) nel corpo e nella psiche di un uomo sedotto dal fascismo e “ ossessionato dal desiderio di normalità” che da esso crede di trarre (tema di tremenda attualità)..
Dopo avere declinato la nuova offerta di Bertolucci per “Ultimo tango a Parigi (1972), sentendosi “incongruo per tanto erotismo”, l’attore esordisce come sceneggiatore e regista di “Una giornata spesa bene”, commedia nera e cinefila (fra Simenon, Renoir e Autant-Lara) “su un uomo che uccide i giurati che hanno condannato suo figlio”. Negli anni Settanta disegna rapidamente ruoli apicali in numerosi film di successo, tra i quali “La donna della domenica” (1975) di Luigi Comencini (in delizioso duetto con la Bisset) e “Il deserto dei tartari” di Valerio Zurlini (1976). Del 1978 è il suo secondo lungometraggio, “Il maestro di nuoto”, pervaso anch’esso di un acre umorismo nero, “concepito come un’insolita variazione sul tema del denaro e del potere nella società moderna”.
Dichiarandosi “stanco del cinema” (probabilmente aggredito da una mai riconosciuta depressione o ‘non sense’ d’ogni cosa), Trintignant rifiuta molte proposte di qualità, “concedendosi e sublimando il quasi certo disagio interiore” in pochi ruoli, ma di forte impatto. Ne da esempio “La terrazza” (1980) di Ettore Scola, ove interpreta uno sceneggiatore che rifiuta il lavoro; l’intenso ‘interno di famiglia’ durante gli anni-di-piombo nell’ Italia di “Colpire al cuore” (1982) di Gianni Amelio. Seguiti dall’ ultimo film diretto da Truffaut “Finalmente domenica” (1983) e dal dramma sentimentale (sul tema dell’ alcolismo) “La donna della mia vita (1986) di Régis Wargnier
Nel 1986 dirige il suo terzo film, “L’estate prossima”, incentrato sulle relazioni inconfessabili di una ricca famiglia, ma il titolo passa inosservato.
Del resto, e dagli anni ’90, Trintignant lavora di rado, ma incarna un giudice ombroso nell’ultimo film di Krzysztof Kieslowski, “Tre colori – Film Rosso” (1994), intarsiando personaggi gelosi della solitudine in cui hanno scelto di esiliare. Lavora infatti in “Regarde les hommes tomber” (1994) e “Un heros très discret” (1996) di Jacques Audiard, sospendendo poi ogni apparizione pubblica successiva alla morte della amata figlia.
Riapparendo poi, da grande maestro della parola, dello sguardo, delle anziane movenze nell’ “Amour” (capolavoro-kammerspiel di Michael Haneke) del quale accennavamo all’inizio.