A processo un ex guardiano delle SS nel lager di Stutthof. Chiesti 3 anni per 5230 morti


AGI – Tre anni di carcere per complicità in 5230 uccisioni. Di cui oltre 5000 per le condizioni inumane nel campo di concentramento, circa 200 nelle camere da gas e 30 con colpi di arma da fuoco alla nuca. È la richiesta dell’accusa nel processo contro Bruno D. – guardiano delle Ss al lager di Stutthof dall’agosto del 1944 all’aprile del 1945 – che si sta celebrando presso il tribunale di Amburgo.

In più, secondo il pubblico ministero Lars Mahnke, oltre alla pena detentiva l’imputato, oggi novantatreenne, dovrebbe sostenere anche le prese processuali. La pena, se confermata nella sentenza, avverrebbe nel regime della giustizia minorile, perché l’imputato all’epoca dei fatti aveva tra i 17 e i 18 anni.

Nondimeno la gravità dell’accusa rimane intatta: nella sua requisitoria, Mahnke ha sottolineato che Bruno D. aveva “chiaramente identificato” l’entità del male che si stava perpetrando tra il 1944 e il 1945, quando era di stanza sotto le insegne delle Ss al campo di concentramento nei pressi di Danzica. Aveva “volutamente guardato altrove nei momenti decisivi”, afferma l’accusa, partecipando “ad un crimine quasi indescrivibile”, che “ci lascia per sempre orrore e vergogna”.

In sostanza, per Mahnke, l’imputato aveva eseguito le sue mansioni da guardiano pur avendo “chiaramente riconosciuto il massacro” che si stava perpetrando a Stutthof: una posizione “inaccettabile”, dato che quello che si è svolto nel lager era “un genocidio organizzato dallo Stato”.

La conclusione del pubblico ministero è durissima: “In una situazione del genere non basta voltarsi e aspettare la fine”, anzi è “la lealtà nei confronti dei criminali” che deve terminare. La sua condizione non era quella di una persona obbligata ad “eseguire gli ordini” in una situazione d’emergenza, ma quella di aver “contribuito all’assassinio” di migliaia di persone.

La sentenza probabilmente sarà emessa il prossimo 23 luglio, dopo la requisitoria del rappresentante della parte civile e dopo l’arringa della difesa. Il dramma di questo processo è tutto legato all’avanzatissima età dell’imputato: peraltro una situazione analoga ad altri processi nei confronti dei responsabili dei crimini del Terzo Reich.

È vero, dice il pm, che dalla fine della guerra in poi Bruno D. ha condotto una vita “impeccabile”, e non si può neanche considerare responsabile del fatto che questi crimini arrivino in un’aula di tribunale a 75 anni da quando furono compiuti.

Allo stesso tempo, il quadro delle evidenze ha mostrato che la non giustizia non si può limitare all’uccisione ‘diretta’ delle vittime, ha concluso Mankhe, allargandosi alla morte “attraverso il lavoro coatto”, approfondendo così la differenziazione tra lager di sterminio e lager di lavoro, dove si sono registrati centinaia di migliaia di vittime.

All’inizio dell’udienza, la giudice Anne Meier-Goering ha fatto leggere le dichiarazioni di un’ex detenuta, Marga Griebach, oggi 92enne, che racconta di come venisse ogni volta presa dal terrore al momento della selezione nei campi e di come abbia dovuto salutare per l’ultima volta il fratello minore di 11 anni, che poco dopo finì gasato ad Auschwitz.

“Guardando indietro, non riesco a capire come io abbia potuto sopravvivere a tutto questo: Stutthof era l’inferno in terra“. Secondo le stime degli storici, in questo campo di concentramento e nei suoi sottocampi hanno trovato la morte fino alla fine della Seconda guerra mondiale oltre 65 mila persone. All’inizio questa struttura era destinata soprattutto alla detenzione dell'”intellighentia” polacca, solo successivamente furono trasferiti qui anche i deportati ebrei.

Come ricordato dai giudici all’inizio del processo, oltre alle camere a gas, migliaia di detenuti sono stati uccisi con le fucilazioni e iniezioni letali, ma anche dagli stenti, dalla fame e dalla malattia. Molti detenuti furono spinti dagli uomini delle SS contro le recinzioni elettrificate.  

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Fonte: estero agi