A Damasco Russia e Iran hanno perso


di Alessandro Maran

Che cosa implica la caduta del dittatore siriano Bashar al-Assad per i principali attori del Medio Oriente, sia per quelli della regione che per le grandi potenze con interessi in gioco?
🇷🇺 Per prima cosa, l’avanzata dei ribelli è un duro colpo per la Russia. Come ha detto Natasha Hall del Center for Strategic & International Studies a Fareed Zakaria nel corso della puntata di GPS di domenica scorsa, la Russia è stata vista abbandonare un alleato chiave (https://edition.cnn.com/2024/12/08/world/video/gps1208-syrias-impact-on-iran-and-israel). La Russia si è unita alla guerra civile siriana nel 2015, contribuendo alla brutale riconquista di Aleppo da parte di Assad e ottenendo per sé, nel mentre, il controllo di una base aerea e di un porto in acque calde (molto più a sud del gelido Mar Baltico e del Mar Nero ostruito dalla Turchia) considerati importanti per le ambizioni della Russia come potenza militare globale. Il tentativo russo, in stile Guerra fredda, di acquisire influenza in Medio Oriente è ormai franato, scrivono Maxim Trudolyubov e Dan White per il blog Russia File del Wilson Center (https://www.wilsoncenter.org/blog-post/syrias-collapse-russias-regional-power-play-disintegrates).
🇮🇷 L’altro perdente, più ancora della Russia, è l’Iran. Al Middle East Institute, Fatemeh Aman osserva che la Siria è stata il perno del cosiddetto “Asse della resistenza” di Teheran, una rete di milizie alleate e di proxies in tutta la regione, e tra questi il governo siriano di Assad. Insieme alla Russia, Hezbollah (sostenuto dall’Iran) aveva contribuito a mantenere Assad al potere mentre la guerra infuriava negli anni 2010. “La caduta improvvisa del governo di Assad non solo compromette la posizione strategica dell’Iran nel Levante, ma sfida anche la sua influenza nella più ampia regione del Medio Oriente”, scrive Aman (https://www.mei.edu/…/special-briefing-after-assads…).
🇹🇷 La Turchia potrebbe essere la grande vincitrice, scrivono Laura Pitel e Ayla Jean Yackley per il Financial Times. “Non è ancora chiaro in che misura Ankara abbia sostenuto l’offensiva lampo delle ultime due settimane che domenica ha rovesciato il governo di Bashar al-Assad”, scrivono. HTS “ha una relazione complicata con la Turchia. Ma molti analisti sono convinti che Erdoğan, che una volta ha definito il presidente siriano un “macellaio”, trarrà vantaggio politico ed economico dalla sua nuova posizione di attore straniero più influente nel paese dopo la caduta di Assad, che era sostenuto da Russia e Iran” (https://www.ft.com/…/74251ede-5441-4950-abc5-551944f767e0). Il settore edile turco esulterà per il suo potenziale accesso al business della ricostruzione della Siria, twitta Gönül Tol (https://x.com/gonultol/status/1866029549622112449) del Middle East Institute (che altrove ha osservato che il settore edile turco è una base politica di sostegno che Erdoğan ci tiene a premiare: https://youtube.com/shorts/Gn9ldT9Eov0?si=TShKECf2Vk0z78w_). Tol aveva scritto in precedenza per Foreign Affairs che l’agenda di Erdoğan in Siria puntava a “sbarazzarsi dei milioni di rifugiati siriani che si sono recati in Turchia nel corso degli anni”; contrastare il nazionalismo curdo, poiché le forze curde sostenute dagli Stati Uniti controllano gran parte della Siria nord-orientale ma sono viste da Ankara come un problema interno in Turchia; e consolidare il potere in patria e l’influenza nella regione.
🇮🇱 Nel frattempo, Israele, che in passato ha combattuto contro la Siria, anche per le contese alture del Golan lungo il confine tra i due paesi, ha colto l’occasione per colpire obiettivi militari siriani. Israele afferma che sta colpendo i siti militari siriani per tenerli lontani “dalle mani degli estremisti”. Il Jerusalem Post e la Reuters riferiscono: “Circa il 70%-80% delle capacità dell’esercito dell’ex presidente siriano Bashar al-Assad sono state distrutte. La maggior parte degli attacchi è avvenuta nella Siria meridionale e nei dintorni della città di Damasco, prendendo di mira le basi dell’esercito siriano, con un’enfasi sui sistemi di difesa aerea e sulle riserve di missili terra-terra e terra-aria” (https://www.jpost.com/breaking-news/article-832749). Ovviamente, di particolare interesse per Israele saranno le armi chimiche e di altro tipo che non vuole vengano contrabbandate alla milizia libanese di Hezbollah, osserva The Economist (sebbene,a giudizio della rivista, le incursioni nelle alture del Golan, non siano “né giustificate né necessarie” (https://www.economist.com/…/exploiting-disarray-in…).
🇺🇸 Per quanto riguarda gli Stati Uniti, Charles Lister del Middle East Institute twitta che non è mai stata così forte la necessità di mantenere un piccolo contingente di forze statunitensi in Siria, che il presidente eletto Donald Trump, durante la sua prima presidenza, ha cercato di ritirare (https://x.com/Charles_Lister/status/1866238678890123580).
🌐 E per quanto riguarda la regione nel suo complesso, Rajan Menon scrive per The New Statesman: “La Siria post-Assad solleva molte domande. Considerando cosa è successo dal 27 novembre”, quando i ribelli hanno iniziato la loro avanzata, “è prudente evitare previsioni” (https://www.newstatesman.com/…/the-fall-of-assad…). Sul blog di politica russa Politika del Carnegie Endowment for International Peace, Ruslan Suleymanov scrive in modo più deciso: “La Siria diventerà parte del conflitto multidimensionale tra Russia e NATO. Erdoğan ha dimostrato ripetutamente di essere felice di usare la sua influenza su questioni che per la Russia sono dolenti per migliorare le relazioni con l’Occidente (…) La Siria sembra destinata a diventare un’aggiunta significativa a questa lista, rendendo più forte (la Turchia) nelle sue relazioni sia con la Russia che con l’Occidente” (https://carnegieendowment.org/…/russia-syria-uprising…).
🇪🇺 Quanto all’Europa, infine, rimando alle osservazioni di Carmelo Palma: “La Siria è stata fino ad oggi la prova provata di come quando l’Europa e l’Occidente non si impiccia negli affari degli altri e lascia le convulsioni etnico-religiose del mondo arabo al loro corso naturale è poi costretta a spicciarsi – senza alcuna voce in capitolo – conseguenze pure peggiori di quelle che avrebbe voluto evitare con la cosiddetta non ingerenza. Promettere di fermare le valanghe migratorie prodotte dall’esplosione di alcuni stati e dall’estorsione di altri con la minaccia dei blocchi navali può andare bene, come dimostra la parabola di Giorgia Meloni, finché dura la campagna elettorale. Subito dopo, tocca far altro: mettere testa a un principio di responsabilità diverso dalla perenne illusione del free riding politico-strategico oppure – scelta prediletta nell’Ue e in Italia – mettere mano al portafoglio e pagare gli estorsori, presentando la cattività degli aspiranti fuggiaschi, propiziata dalle elargizioni ai carcerieri, come un contributo determinante per la difesa e la sicurezza delle nazioni” (https://www.linkiesta.it/2024/12/siria-asilo-politico/).