Mancano ancora alcuni tasselli affinché la normativa approvata nel 2017 sia effettivamente operativa. In particolare, attesa l’autorizzazione da parte dell’Ue sul nuovo regime fiscale
Sette anni fa entrava in vigore il Codice del Terzo settore (d.lgs. n. 117/2017), cuore normativo di una riforma nata, un anno prima, con l’obiettivo di disciplinare e valorizzare quel vasto comparto socioeconomico di cui fanno parte associazioni, organizzazioni di volontariato, imprese sociali e altre tipologie di enti non profit. Prima che intervenisse il Codice, pur a fronte di una progressiva e importante crescita, sia in termini numerici che economici, del non profit nel nostro Paese (sono oltre 360mila gli enti secondo Istat, che rappresentano circa il 5% del Pil), la normativa riguardante il Terzo settore risultava frammentata, disorganica, parziale e incompleta.
Il Codice del Terzo settore ha quindi codificato il perimetro, i soggetti coinvolti, le regole di funzionamento, il regime fiscale, gli spazi di coordinamento normativo e decisionale di questo sistema sociale ed economico. Ha così contribuito fortemente, insieme all’intero impianto della riforma, a sviluppare e potenziare tutto l’ambito dell’economia sociale, ascrivendogli un ruolo di primo piano a livello non soltanto nazionale, ma anche europeo.
Sempre nel 2017 sono stati pubblicati anche altri provvedimenti cardine del nuovo quadro normativo: il decreto legislativo sul Servizio Civile Universale, sul cinque per mille, sulle imprese sociali e il decreto del Presidente della Repubblica sulla Fondazione Italia Sociale.
Una riforma non ancora operativa
La riforma del Terzo settore necessita di altri provvedimenti per risultare pienamente operativa.
Primo tra tutti, quello che riguarda la fiscalità: ad oggi, infatti, il Terzo settore è in attesa dell’autorizzazione da parte dell’Ue di alcune norme riguardanti il nuovo regime fiscale. A ciò si aggiungono altre incertezze, come quella legata all’attuazione in concreto del cambio di regime Iva (da “escluso” ad “esente”) per tutti gli enti non commerciali. E tutta una serie di semplificazioni amministrative è attualmente oggetto di discussione parlamentare.
Inoltre, anche se la messa a regime del Registro Unico Nazionale del Terzo Settore (Runts) è sicuramente positiva e sono oltre 122.000 gli enti oggi iscritti, la piattaforma richiede ancora diversi e importanti interventi di semplificazione e usabilità da parte degli enti.
Un problema culturale
Ma il dato ancor più rilevante riguardo la non completa attuazione della riforma è sicuramente di tipo culturale. Il riconoscimento normativo del rapporto tra pubblica amministrazione ed enti del Terzo Settore è tra i portati più rilevanti del Codice del Terzo settore, il cui art. 55 ha fatto proprio il decisum dalla sentenza n. 131/2020 della Corte costituzionale, secondo cui l’amministrazione condivisa “realizza per la prima volta in termini generali una vera e propria procedimentalizzazione dell’azione sussidiaria”, in quanto al Terzo settore “è riconosciuta una specifica attitudine a partecipare insieme ai soggetti pubblici alla realizzazione dell’interesse generale”.
Un riconoscimento normativo, questo, che stenta tuttavia a decollare all’interno del nostro sistema amministrativo, sebbene il coinvolgimento attivo e fattivo del Terzo settore nella definizione e nell’attuazione delle politiche pubbliche, così come della realizzazione del Pnrr, garantirebbe di sicuro di centrare efficacemente importanti obiettivi di sviluppo sociale ed economico sui territori.
Sembrerebbe infatti lecito ritenere che al Terzo settore risulti effettivamente attribuita una funzione, più che di mero esecutore di progetti, di vero e proprio co-protagonista nell’attuazione di politiche pubbliche. Ma non è così. Ci sono realtà amministrative che coinvolgono in modo efficace il Terzo settore, ma ce ne sono anche altre che scelgono di operare in “perfetta” solitudine, pur in presenza di organizzazioni attive e capaci di dare il giusto apporto nell’elaborazione di soluzioni efficaci e rispondenti ai bisogni delle comunità.
Se è indubbio che gli strumenti dell’amministrazione condivisa, ove effettivamente praticati, possono essere garanzia di maggior successo nell’attuazione delle politiche pubbliche, diventa quanto mai cruciale oggi valorizzare la co-programmazione e la co-progettazione tra amministrazione pubblica e Terzo settore: soltanto un’azione congiunta, in termini di competenze, visione ed esperienza, può infatti offrire una risposta efficace e valida ai bisogni sociali, anche coerentemente con la ratio della riforma.
di Chiara Meoli, Cantiere Terzo Settore