79 anni fa El Alamein, una storia d’ardimento


Il 2 novembre del 1942 l’8ª Armata inglese del Maresciallo Montgomery, dopo i primi incerti e alterni scontri succedutisi nei giorni precedenti, sferrò l’attacco decisivo. Dopo le prime infruttuose azioni di sfondamento la preponderante offensiva inglese ottenne il suo scopo. Ogni umana resistenza, seppure portata alle estreme conseguenze, fu vana, pur se i Fanti, i Bersaglieri, i Paracadutisti delle Divisioni italiane s’immolarono eroicamente prima di cedere il passo alle strabocchevoli forze avversarie

di Augusto Lucchese

I primi giorni del novembre 1942 furono micidiali per la già malconcia Armata italo-tedesca, da mesi bloccata in quel di El-Alamein e ormai attestata in difesa, ad appena 65 miglia da Alessandria d’Egitto. Quell’Armata comprendeva, oltre a nove Divisioni italiane – pur se ad organico ridotto e scarsamente dotate di mezzi idonei alla guerra nel deserto – alcune unità corazzate e motorizzate dell’agguerrito e celebrato ”Africa Korps” tedesco.
Le forze italo – tedesche erano agli ordini del Feld Maresciallo Ervin Rommel che, a fronte delle sue indiscusse capacità operative, del carisma acquisito presso le truppe (con cui condivideva quotidianamente i rischi della “prima linea”), della provata tempestività decisionale, era riuscito a ribaltare, nell’arco di circa un anno, la disastrosa situazione in cui erano sprofondate, nel novembre ’40, le malridotte truppe italiane di Graziani. Nel corso di alterne vicende belliche, l’invitto “condottiero” teutonico aveva affibbiato agli Inglesi parecchie eclatanti e pesanti sconfitte. Non per nulla gli era stato attribuito il nomignolo di “Volpe del deserto”. La sua genialità tattica era unanimemente riconosciuta, anche da parte avversaria.
Churchill, nel corso di un suo intervento alla Camera dei Comuni (il Parlamento inglese), ebbe a dire che “essere stati sconfitti sul campo da Rommel non è un disonore” .
Cotanto superlativo “Kommandeur”, però, aveva i suoi limiti e i suoi lati negativi, fra cui la permalosa e “testarda” convinzione di potere sempre avere la meglio nel quadro evolutivo degli eventi bellici. Convinzione che talvolta lo portava ad agire senza coordinare le proprie iniziative con i “camerati” italiani. Nutriva, a tal proposito, una sorta d’avversione verso le direttive provenienti dai suoi immediati superiori gerarchici (tedeschi o italiani che fossero) e sosteneva di accettare ordini solo da Hitler.
Fu così che, dopo le esaltanti vittorie di Ain el Gazala e Tobruk (giugno ’42), rifiutò il parere di Kesserling (Comandante delle forze tedesche del sud Europa) e di Bastico (Governatore della Libia e Capo delle Forze Armate ivi operanti) tendente a fermare ai confini con l’Egitto, almeno momentaneamente, le vittoriose truppe italo tedesche. Ciò in attesa che fosse portata a compimento l’operazione “Esigenza C/3 – Herkules“ destinata ad occupare Malta, la munita base inglese da cui provenivano i mezzi marittimi e arerei che falcidiavano i convogli diretti in Libia. Era parecchio evidente che solo tale atto di forza contro Malta (all’atto della dichiarazione di guerra – 10 giugno 1940 – gli italiani avrebbero potuto occuparla facilmente, quasi senza colpo ferire. Solo che l’ignavia dei responsabili militari dell’epoca fece maldestramente sfuggire l’occasione) avrebbe reso possibile in prospettiva un maggiore, sostanziale e continuativo afflusso di rifornimenti. Oltretutto la citata “operazione Herkules” era già predisposta in tutti i suoi particolari ed era pronta a scattare.
Viceversa, la presunta potenzialità della sua Armata, mista ad una buona dose della segnalata “testardaggine”, indusse Rommel a proseguire nell’offensiva verso Alessandria d’Egitto (giugno – luglio 1942), impropriamente ritenendo che gran parte degli indispensabili “rifornimenti” avrebbe potuto procurarseli lungo il cammino, attingendo alle scorte e ai magazzini inglesi catturati. Non fu così. La marcia forzata delle Unità italo tedesche, allungò a dismisura le linee di rifornimento e logorò parecchio l’efficienza dei reparti di prima linea. Lo slancio offensivo, quindi, si arenò, anche in funzione della forte resistenza inglese, nella zona della strettoia di El Alamein, il famoso collo di bottiglia (appena 65 Km.) compreso fra il mare e l’inagibile depressione di Al Qattara.
Mussolini, presuntuosamente convinto dell’esito vittorioso dell’offensiva, s’era frattanto precipitato in Libia, speranzoso di fare il suo ingresso trionfale al Cairo in sella al suo cavallo bianco. Dopo un paio di settimane d’inutile attesa, tuttavia, dovette tornarsene a Roma con le pive nel sacco.
Il negativo esito dei ripetuti tentativi italo tedeschi di superare l’ostacolo di El Alamein (giugno-luglio ‘42) e i violenti contrattacchi sferrati dalle riorganizzate forze inglesi del Generale Auchinleck, portarono ad una situazione di stallo.
Rommel, a fine luglio, comprendendo che ogni ulteriore sforzo offensivo era, a quel punto, del tutto insostenibile, decise di attestare a difesa le provate forze su cui ancora poteva contare. Raccolse l’amaro frutto della arrogante e imprevidente decisione di seguitare dell’azione offensiva verso Suez e fu l’inizio della fine. La sua errata valutazione generò irreversibili conseguenze strategiche e tattiche che influirono parecchio sulla finale sconfitta dell’’Asse.
Di contro, la 8° Armata inglese del Maresciallo Bernard Montgomery (subentrato ad Auchinleck), rifornita e alimentata a dismisura dagli aiuti americani, frattanto sbarcati in forze in Marocco e Algeria e dopo i primi incerti e alterni scontri succedutisi nei giorni precedenti, il 2 novembre sferrò l’attacco decisivo. Dopo le prime infruttuose azioni di sfondamento – che impensierirono financo Churchill – la preponderante offensiva inglese ottenne il suo scopo. Ogni umana resistenza, seppure portata alle estreme conseguenze, fu vana, pur se i Fanti, i Bersaglieri, i Paracadutisti delle Divisioni italiane s’immolarono eroicamente prima di cedere il passo alle strabocchevoli forze avversarie.
Rommel, ormai conscio del disastroso esito della battaglia, s’affrettò a ordinare il “ripiegamento” dei resti del suo ”Africa Korps”, senza tanto impensierirsi della brutta sorte cui stavano andando incontro i reparti italiani rimasti quasi da soli a fronteggiare l’assalto.
L’offensiva inglese sconvolse e superò ogni argine di difesa e, alla stregua di una inarrestabile marea, travolse ogni ostacolo e dilagò verso la Libia occupando, nell’arco di poche settimane, la Cirenaica e la Tripolitania (23 gennaio 1943). Rommel cercò di sminuire la portata della sconfitta asserendo che “l’essere riusciti a porre in salvo il salvabile del suo ”Africa Korps” rappresentava un indiscutibile successo”.
Alla fine, l’ 8° Armata di Montgomery si riversò financo in Tunisia ove, dopo furiosi e alterni scontri, lungo la “linea del Mareth”, con la 1°Armata Italiana del Gen.le Messe (“la battaglia più violenta e selvaggia dopo El Alamein” , come definita dallo stesso Montgomery), si congiunse con le forze americane del Gen. George S. Patton, provenienti dall’Algeria e pur se a lungo bloccate dalla 21° Panzerdivision tedesca nella zona di “El Guettar”, occupando Tunisi il 13 maggio ‘43.
Fra le Divisioni italiane che parteciparono all’epica 2° battaglia di El Alamein, si distinsero, in particolare, gli eroici carristi della “Ariete”, i paracadutisti della “Folgore” e i Bersaglieri del 9° Reggimento che con sovrumano coraggio – pur se consci della propria inferiorità numerica e di mezzi – resistettero sino alla fine. Gli italiani lasciarono sul terreno all’incirca 10/mila morti e oltre 15/mila feriti. Il loro intrepido comportamento ottenne il meritato riconoscimento anche da parte degli avversari. Quella battaglia, seppure persa per la disparità delle forze in campo, segnò una gloriosa vittoria morale in favore degli italiani, a fronte del coraggio, del sacrificio, dello sprezzo della vita dimostrati in quei tremendi giorni di strenua lotta. A conclusione dei cruenti scontri, alcuni ufficiali di Sua Maestà Britannica vollero rendere l’onore delle armi ad una lacera bandiera tricolore. Neppure gli alleati tedeschi fecero mai una cosa del genere.
Le spoglie mortali di oltre 5200 militari italiani sono tumulate nel “Sacrario militare italiano di El Alamein”, costruito tra il 1954 e 1958 nella zona in cui avvennero i combattimenti della 1° e 2° battaglia di El Alamein. Lungo l’agevole strada litoranea, a circa 110 km. da Alessandria d’Egitto, è ubicato a fianco del “Deutsche Kriegsgraberstatte” tedesco e del “Cimitero del Commonwealth” inglese.
Visitando gli imponenti mausolei, rendendo devoto omaggio ai caduti ivi sepolti, si può ben affermare che essi, materialmente e idealmente, irrorarono con il sangue l’infido deserto.
La zona della cittadina di El Alamein dispone oggi di una buona rete viaria, di un buon approdo marittimo ed è modernamente strutturata e attrezzata per accogliere il continuo afflusso di visitatori.
Percorrendo a piedi quei luoghi è ben difficile immaginare lo scenario del luglio e dell’ottobre – novembre 1942, quando il fragore della battaglia, le assordanti esplosioni, il crepitio della mitraglia, coprivano il rombo dei motori e lo sferragliare dei Panzer tedeschi, degli M/42 italiani, dei Tank inglesi, impegnati allo spasimo nei duri scontri che segnarono il corso delle due battaglie di El Alamein.
Riesce impossibile rendersi conto di quale fosse lo stato di fatto della martoriata vita di migliaia di uomini intrappolati come topi nelle precarie trincee scavate fra la sabbia, sotto il continuo fuoco nemico, fra le esplosioni dei proiettili di mortai e cannoni d’ogni calibro, assaliti da nugoli di mezzi blindati e corazzati lanciati all’attacco.
È certamente traumatico rivivere, pur se solo col pensiero, le gesta dei ragazzi italiani della “Folgore” che ardimentosamente si ponevano sotto i carri armati nemici per collocare nel loro sottofondo micidiali ordigni esplosivi, le “mine magnetiche” nate per ben altri usi.
“Inermi contro mostri d’acciaio …” recita lo scritto inciso sulla lapide che ricorda un altro tragico episodio di quell’infausto periodo delle Armi italiane (Monte Castelluccio -Gela- luglio 1943). Anche in quest’ultima dolorosa vicenda, come ad El Alamein, come sul Don in Russia, e ancor prima a Giarabub, sull’Amba Alagi, a Gondar, emerse l’incredibile spirito combattivo dei reparti italiani che coraggiosamente sostennero l’urto incontrastabile di preponderanti forze avversarie.
Le due battaglie di El Alamein sono rimaste a testimoniare, nel tempo, il ricordo di uno dei più tragici momenti dell’immane guerra che si stava combattendo, giusta o sbagliata che fosse, su vari fronti, in terra, in mare e in cielo. I militari e gli ufficiali italiani di prima linea scrissero pagine di indelebile storia, di impavido coraggio, di abnegazione, di orgoglio patriottico, riscuotendo l’unanime ammirazione anche da parte avversa.

Tanto ardimento e tanto sacrificio, tuttavia, non fu mai adeguatamente supportato dall’operato di molti altolocati esponenti dei vari Comandi di vertice che, chiaramente, non meritavano di essere a capo delle Forze Armate dell’’epoca.
Leggere i nomi dei Caduti scolpiti sui cippi marmorei del Sacrario, magari meditando sulla loro tragica eroica fine, apporta indescrivibili emozioni oltre che un senso di ripulsa nei confronti di chi fa del militarismo una fonte di spietato potere e di inconfessabili fini.