LE PAROLE DELL’ARTE – 13


Didascalie delle opere a corredo dell’articolo precedente (n. 12)

Immagine n. 23

Andrea del Verrocchio, Leonardo da Vinci e altri, Battesimo di Cristo, 1475-1478, Olio e tempera su Tavola, m. 1,77×1,51 Galleria degli Uffizi, Firenze

Immagine n. 24

Leonardo da Vinci, (1452 – 1519)  Angelo,  particolare dal Battesimo di Cristo, Andrea del Verrocchio, Leonardo da Vinci e altri,

  1. LE PAROLE DELL’ARTE

Leonardo conosce le regole di bottega ma utilizza tutti gli ‘artifici’ per togliere al soggetto rigidezza e immobilità a favore di una naturalezza e un’animazione, come nel suo Angelo del Battesimo, che non hanno precedenti nella ritrattistica rinascimentale.

Attraverso l’uso sapiente della  tecnica pittorica  dello sfumato, con sottilissimi trapassi cromatici e luminosi egli lascia alle forme un margine  di indeterminazione e   riesce a non fissare in maniera definitiva l’espressione.

È proprio la grande complessità di sfumature psicologiche che rende  Monna Lisa ‘ambigua’.

Se,  in contrapposizione a ‘univoco’ viene riferito al comportamento di una persona, l’aggettivo ‘ambiguo’ – equivoco, doppio, falso – dà adito a sospetti di natura morale. Ma in una logica diversa come quella dell’arte il  termine suggerisce  ricchezza e varietà: significati differenti.

Di etimologia latina  (come la Treccani chiarisce) il termine ‘ambìguo’ è compossto da  amb– «intorno» e agĕre «spingere».

Ecco.  Leonardo  crea l’ambiguità, ci spinge intorno, ci spinge oltre: fa intuire la presenza di un’anima ma, nello stesso tempo, la rende inaccessibile. È come se Monna Lisa, dinanzi allo spettatore alla cui presenza sembra reagire, mutasse espressione per stabilire un  rapporto di comunicazione.

Da notare che le due meà del dipinto, tanto nel volto come nello sfondo infrangono impercettibilmente le leggi della simmetria e anche il  vasto paesaggio che si estende  in lontananza suggerisce  direzioni diverse  di movimento  come piccola  parte di quell’organismo in perpetua trasformazione che è il mondo naturale.

 

Non basta quindi ‘guardare per comprendere’ soltanto La Gioconda ma anche la Primavera di Botticelli la quale, dietro al fascino voluttuoso delle forme, nasconde significati filosofici e letterari.

La sequenza dei personaggi è ormai definitivamente accertata e ognuna delle nove figure si muove diversamente (con impeto o con leggiadria) esprimendo timore, gioia, estasi, contemplazione.

Trappola da evitare: considerare la Primavera di Botticelli soltanto come un semplice esercizio di stile e/o di divertimento. Sarebbe quantomeno poco credibile specialmente in un’epoca come quella rinascimentale che tanto peso dava a segni nascosti e ai significati simbolici e allegorici.

Di nuovo ambiguità, quindi.

Su questo celebre quadro si interrogano da decenni gli storici dell’arte e, come è facile intuire la bibliografia è sterminata. Dare un nome a tutte le creature o esaltarne la sensuale bellezza della forme non significa aver risolto il problema iconografico che deriva sia direttamente dallo spirito del tempo  ma, soprattutto dalla personale elaborazione formale e concettuale dell’artista: quali  le sue fonti letterarie? Quale il senso conplessivo dell’opera?

Come in tutte le forme di cultura esistono teorie diverse e contrapposte  – dati stilistici e formali VS valori contenutistici – che incontrano diffidenza e ostiilità.

La Primavera, nella quale (come in tutte le opere d’arte, di poesia e affini) forma  e contenuto sono intimamente  connessi, attende ulteriori approfondimenti e tentativi di interpretazione.

Sempre.

È questo la cultura.

 

Nessuna opera è indiscutibile.

 

Linguaggi a confronto

 

 

1477–1482                1913