di Gianni De Iuliis
Il 28 giugno 1914 l’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono dell’Impero austro-ungarico, fu ucciso da due colpi di pistola a Sarajevo, in Bosnia-Erzegovina. L’attentatore era uno studente bosniaco, che apparteneva ad un gruppo irredentista chiamato “La mano nera”, la cui attività era appoggiata dal governo della Serbia.
Il gesto fu assunto dal governo di Vienna come il casus belli che diede formalmente inizio alla prima guerra mondiale. Infatti il 28 luglio l’Austria-Ungheria dichiarò guerra alla Serbia, dando il via a un conflitto senza precedenti nella storia, che avrebbe richiesto la mobilitazione di oltre 70 milioni di uomini e la morte di oltre 9 milioni di soldati e almeno 5 milioni di civili.
L’attentato di Sarajevo rappresenta il momento topico di una crisi internazionale che faceva prevedere una guerra di dimensioni mondiali. In particolare una delle zone più a rischio era sicuramente la penisola balcanica. L’irrisolta Questione d’Oriente aveva fatto dei Balcani la “polveriera d’Europa”. Infatti, il disfacimento dell’Impero Ottomano aveva messo in movimento i vari nazionalismi dell’area balcanica, determinando uno stato di continua agitazione.
L’area balcanica era una delle più interessate dalle tensioni nazionalistiche. In quella striscia di terra, considerata strategica per il controllo del Mediterraneo, convergevano gli interessi di alcuni grandi imperi: quello austro-ungarico, che voleva conquistare la Bosnia per estendersi sull’Adriatico; quello ottomano, che era in forte decadenza, ma voleva mantenere il controllo degli stretti e del Bosforo; quello russo, che voleva conquistare gli stretti e il Bosforo per avere un affaccio sul Mediterraneo; quello tedesco, interessato alla leadership sulla regione. A ciò vanno aggiunti gli interessi dell’Italia, che voleva annettere l’Albania.
Ma la protagonista dell’area era sicuramente la Serbia, uno stato che aveva raggiunto l’indipendenza dall’impero ottomano nel 1878 e che era animata dal panslavismo, versione salva del pangermanesimo, con l’obiettivo dichiarato di riunire tutti gli slavi in un unico nucleo statale, la Grande Serbia. La situazione precipita nel 1908, quando l’Austria conquista la Bosnia, provocando il risentimento della Serbia. Questo continuo inasprirsi dei rapporti internazionali nei Balcani sfociò nella prima e seconda guerra balcanica.
Con i trattati di Londra e la pace di Bucarest, l’impero ottomano rinuncia a tutti i territori europei, mantenendo solo gli stretti, il Bosforo e Costantinopoli e l’Albania raggiunge l’indipendenza. Il trattato lasciò tutti insoddisfatti: la Russia non ottenne gli stretti, la Serbia non riuscì a espandersi.
In verità definire in maniera ultimativa le cause della prima Guerra mondiale è un’impresa piuttosto complicata. L’attentato di Sarajevo è solo un casus belli, poiché le cause sono molteplici e più profonde, ma nessuna veramente esaustiva e decisiva.
Possiamo in ogni caso dividerle in tre macro-aree.
Cause politiche, legate alla politica imperialistica tedesca, alla polveriera balcanica, al conflitto franco-tedesco per il controllo di Alsazia e Lorena e all’ Irredentismo che attraversava gran parte dell’Europa centro-orientale.
Cause economiche, legate alla politica imperialistica e coloniale delle potenze europee e alle lobby dei costruttori di armi e delle industrie pesanti.
Cause culturali, derivanti innanzi tutto dall’atteggiamento psicologico delle potenze europee, che consideravano la guerra una possibilità per consolidare il proprio potere e il proprio prestigio internazionale, sottovalutandone i costi in termini di vite umane ed economici. Cause legate anche al clima teorico in Europa e alle tentazioni belliciste nell’opinione pubblica. Il nazionalismo e l’esasperato patriottismo, uniti all’imperialismo, divennero ideologie di massa e cementavano strati sempre più ampi della popolazione, per cui l’altro era spesso un nemico da combattere. La propaganda diffondeva un’idea di politica come contrapposizione ideologica, scontro culturale, concorrenza economica, conflittualità esasperata. La guerra sembrava l’unico sbocco.