25 APRILE IN TV SENZA FILM RESISTENZIALI


La scelta avrebbe potuto spaziare tra opere distribuite in un arco temporale di quasi 80 anni

di Franco La Magna

Il 25 aprile in Italia non è un giorno come tanti. E’ il giorno della “renovatio”, della rinascita a nuova vita, della Liberazione, dopo gli anni bui e feroci della dittatura fascista e quelli devastanti, distruttivi e tragici della seconda guerra mondiale. Per questo dai tanti canali Rai o dai vari network sarebbe stato legittimo (come è timidamente accaduto talvolta negli anni passati) attendersi una programmazione cinematografica non usuale, fuori dall’ordinario, dal consueto, con palinsesti fitti di titoli che hanno faticosamente ricostruito quel periodo denso di lutti e di calamità, ma anche eroico, affinché soprattutto le nuove generazioni – spesso ignare – rivivessero attraverso le immagini un’impressione di realtà che nessun testo di storia sarà mai in grado restituire.

La magia del cinema sta anche in questo immergersi nella storia passata per riviverla come in un eterno presente, in un qui ed ora che ne amplifica le emozioni, paradossalmente rendendo nella ricerca di verità la finzione più vera del vero, il reale ricreato più vero del reale vissuto.

Per questo dai più noti “Roma città aperta” (1945) e “Paisà” (1946) di Roberto Rossellini, da “Il sole sorge ancora” (1945) di Aldo Vergano, a “Il bandito” (1946) di Alberto Lattuada, da “Due lettere anonime” (1945) di Mario Camerini, a “Un giorno nella vita” (1946) di Alessandro Blasetti, tutti girati duranti il brevissimo ed esaltante periodo del neorealismo, ai film resistenziali di tutti gli anni ‘50 (tra tutti “Achtug, Banditi”, 1951, di Carlo Lizzani e “Gli sbandati”, 1955, di Francesco Maselli), degli anni ‘60 (“Era notte a Roma”, 1960 di Roberto Rossellini; “La lunga notte del ‘43”, 1960, di Florestano Vancini; “Tutti a casa”, 1960, di Luigi Comencini; “I sette fratelli Cervi”, 1968, di Gianni Puccini) e degli anni ‘70 (“Mussolini, ultimo atto”, 1974, di Carlo Lizzani; “Libera, amore mio”, 1975 di Mauro Bolognini), fino al drammatico diradarsi (ma non del tutto scomparire) del genere tra gli anni ‘80 (“Uomini e no”, 1980, di Valentino Orsini) e ‘90 (“Porzus”, 1995, di Renzo Martinelli; “I piccoli maestri”, 1998, di Daniele Luchetti) e ancora fino alle sempre più rare, purtroppo, opere del secolo appena iniziato (“Il partigiano Johnny”, 2000, di Roberto Chiesa; “Il sangue dei vinti”, 2008, di Soavi), la scelta avrebbe potuto spaziare in un arco temporale lungo quasi ottant’anni, non fittissimo di titoli, ma senz’altro non carente. Una “disattenzione” che è indice dell’ottundimento ideologico e della confusione ormai in atto nel Belpaese da qualche decennio.

 

Alcune delle tante opere appena citate e sconosciute ai più, legittimamente, i tanti telespettatori non necessariamente cinefili avrebbero potuto sperare di vedere oggi, in prima serata, nel piccolo schermo in luogo dei replicanti “Le nuove comiche” di Neri Parenti, “Cloe. Tra seduzione e inganno” di Atom Egoyan o del milionesimo ripasso del “Miglio verde” di Frank Darabont. E non perché questi o qualsiasi altro film in programma questa sera non avessero pieno diritto di cittadinanza e di replica (come da sempre avviene), ma perché la sottrazione di un solo giorno ai 364 rimanenti disponibili certamente non ne avrebbero rubato alcuna visibilità. Unica eccezione “Miracolo a Sant’Anna” (2008, su Rai Movie, alle 21,10) regia di Spike Lee, che sfiora il tema della guerra partigiana. Grama consolazione che poco compensa la “distrazione” dei programmisti televisivi, spesso (per non dire sempre, a dire il vero) pesantemente condizionati dagli imperativi categorici della sempre più invadente pubblicità.