24 luglio 1908, l’impresa di Dorando Pietri, il maratoneta più famoso al mondo, anche se la sua gara non l’ha mai vinta


 

Dorando Pietri, il grande atleta di Correggio (Reggio Emilia) che arrivò primo alla maratona dei giochi olimpici di Londra nel 1908 (era il 24 luglio e, pettorina numero 19, tagliò il traguardo in 2 ore e 54 secondi abbondanti), ma sorretto dai giudici di gara perché stremato, e perdendo per questo la medaglia d’oro.

Nella storia delle Olimpiadi rimane vivo il ricordo di un atleta la cui memoria resiste da oltre un secolo, nonostante la sua gara non l’abbia mai vinta.

Nel pomeriggio del 24 luglio 1908 si corse a Londra la maratona delle quarte Olimpiadi moderne: l’italiano Dorando Pietri arrivò al traguardo per primo, ma non vinse. Pietri, esausto, impiegò circa 10 minuti a percorrere gli ultimi 500 metri, e pochissimo prima del traguardo i giudici lo aiutarono a stare in piedi e avanzare. In quel momento fu scattata una foto che è ancora oggi famosissima. Fu quindi squalificato e la medaglia d’oro andò allo statunitense John Hayes. Di Hayes oggi non si ricorda più nessuno; anche dopo 110 anni, invece, Pietri continua a essere conosciuto e celebrato come il simbolo di quelli che non vincono, ma ci provano fino alla fine.

Pietri da ragazzo lavorò come garzone in una pasticceria di Carpi e intorno ai diciott’anni si iscrisse a un’associazione sportiva locale, con la quale iniziò a fare gare di ciclismo: ma il ciclismo era uno sport da poco, e ancora non esisteva il Giro d’Italia. Nel 1904 a Carpi arrivò il famoso podista Pericle Pagliani per una gara dimostrativa, a cui partecipò anche Pietri: perse, ma fece vedere delle ottime qualità. Pietri iniziò quindi a fare gare di fondo e mezzofondo e si qualificò per la maratona di Atene del 1906, ai Giochi Olimpici intermedi, che si tennero per celebrare il decimo anniversario delle Olimpiadi moderne. Al 25esimo chilometro era primo con cinque minuti di vantaggio sul secondo corridore, ma si dovette ritirare perché non stava bene.

Non è dato sapere se Pietri ne facesse uso, ma in quegli anni molti podisti credevano che l’alcol e alcune altre sostanze fossero d’aiuto a reggere lo sforzo. Si dice per esempio che lo statunitense Thomas Hicks – che vinse la maratona Olimpica di Saint Louis nel 1904, dopo che un altro corridore fu squalificato per aver fatto diversi chilometri in macchina – gareggiò dopo aver bevuto un mix di brandy, uova sbattute e stricnina, che ancora doveva essere usata come veleno per topi. Era insomma piuttosto comune, per le sostanze assunte o per l’eccessivo sforzo, che certi corridori collassassero o ci andassero molto vicino.

Alla partenza della Maratona – alle 14.30 del 24 luglio 1908, dal castello di Windsor – c’erano 56 atleti. Pietri pesava 60 chili ed era alto poco meno di un metro e sessanta: il più basso tra i partecipanti.

La maratona olimpica di Londra si corse con un gran caldo. Le cronache di allora dicono che Pietri partì senza andare a tutta, per conservare le energie, e verso metà gara cominciò a recuperare posizioni sugli altri atleti, che avevano seguito il ritmo alto imposto dai corridori inglesi. Pietri si portò nelle prime posizioni e verso la fine seppe –grazie a persone che in bici facevano avanti e indietro tra i vari corridori – che il primo della gara, il sudafricano (quindi al tempo britannico) Charles Hefferon, stava cedendo.

Quando siamo a quattro chilometri e mezzo dallo stadio Hefferon non ha più di 200 metri di vantaggio. La folla lo incita. Quando passa Hefferon questi lo guarda a lungo con un’occhiata triste, poi si sdraia a terra.

A circa due chilometri dall’arrivo, dopo averne corsi 40, Pietri era quindi da solo in testa. E poi l’ingresso al White City Stadium: lo stadio di quelle Olimpiadi, che non esiste più dal 1985.

Mancavano ormai un paio di chilometri all’arrivo, ma Pietri si trovò a fare i conti con l’enorme dispendio di energie effettuato durante la rimonta e la disidratazione dovuta al caldo. La stanchezza gli fece perdere lucidità. Arrivato allo stadio, sbagliò strada. I giudici lo fecero tornare indietro, ma Pietri cadde esanime. Si rialzò con il loro aiuto, ma ormai stremato, faticava a reggersi in piedi da solo.

Era ad appena 200 metri dal traguardo. Gli oltre 75 000 spettatori dello stadio erano tutti in trepidazione per lui. Attorno a lui sulla pista i giudici di gara e persino alcuni medici accorsi per soccorrerlo. Pietri cadde altre quattro volte, ed altrettante fu aiutato a rialzarsi, ma continuò barcollando ad avanzare verso l’arrivo. Quando finalmente riuscì a tagliare il traguardo, sorretto da un giudice e un medico, era totalmente esausto.

Pietri terminò la maratona per primo e poi fu portato via in barella, forse svenuto. Finì la gara in due ore e 54 minuti, ma ci mise dieci minuti a percorrere gli ultimi 500 metri. Hayes finì la sua maratona in due ore e 55 minuti. Nel frattempo arrivarono gli altri atleti: furono 27 in tutto, perché gli altri si erano ritirati, e il 27esimo ci mise più di quattro ore.

Hayes fece reclamo contro l’evidente e illecito aiuto dato a Pietri e dopo averne discusso per diversi minuti i giudici squalificarono Pietri e diedero l’oro a Hayes. Tra lo statunitense e Pietri i presenti avevano però fatto il tifo per Pietri. Tra loro, seduto tra il pubblico vicino al traguardo, c’era anche Arthur Conan Doyle: quello di Sherlock Holmes, che era lì come corrispondente del Daily Mail. Scrisse che «nessun romano antico seppe cingere il lauro della vittoria alla sua fronte meglio di quanto non l’abbia fatto Dorando nell’Olimpiade del 1908» e che era «terribile eppure affascinante quella lotta tra un obiettivo lì davanti e un protagonista esausto».

Dopo la maratona di Londra, Pietri diventò una celebrità in tutto il mondo.

 

 

Fonte: elogioallafollia.altervista.org/